Dopo due anni di dura detenzione in un carcere iraniano, sono tornati a casa i due americani che distrattamente avevano attraversato il confine Iraq-Iran durante una “passeggiata turistica” finita male.
In una calda giornata del luglio 2009 Joshua Fattal, Shane Bauer e la sua fidanzata Sarah Shourd – tre “giornalisti freelance”, distintisi soprattutto per il loro attivismo a favore dei palestinesi - decisero di andare a fare una gita turistica nel Kurdistan orientale. Sembra che durante la passeggiata abbiano inavvertitamente attraversato il confine con l’Iran, venendo immediatamente arrestati dai soldati della Guardia Rivoluzionaria. In seguito i tre furono condannati da un tribunale iraniano ad otto anni di prigione: tre anni per ingresso illegale in territorio iraniano – diceva la sentenza – e cinque anni "per spionaggio a favore di una agenzia di intelligence americana".
Nacque così il caso internazionale dei tre “hikers” americani, che dalla prigione iraniana sostenevano di essere stati catturati e condannati ingiustamente. Non solo non siamo spie – dicevano i tre – ma non ci sembra nemmeno di aver attraversato il confine. Se è successo lo abbiamo fatto sicuramente per sbaglio.
A supporto della tesi innocentista, i giornali occidentali sottolinearono più volte che in quella zona montagnosa ... ... il confine non è marcato con precisione, e che soltanto gli abitanti locali sanno esattamente dove si trovi. Ad inasprire la contesa intervenne l’ “
Investigative Fund”, una organizzazione “che promuove e protegge il giornalismo indipendente” nel mondo: dopo una ricerca di 5 mesi, disse questa organizzazione, abbiamo individuato due testimoni oculari (iracheni) che avevano seguito i turisti americani “per curiosità”, finendo per assistere di persona al loro arresto. Secondo questi testimoni – continua l’Investigative Fund – i tre americani si trovavano ancora in territorio iracheno, quando sono comparse di colpo le guardie iraniane, che hanno fatto “gesti minacciosi” verso di loro. Dopo aver sparato un colpo in aria – avrebbero raccontato i due testimoni – le guardie iraniane “sono entrate di alcuni metri nel territorio iracheno, dove non hanno giurisdizione, e li hanno portati via”.
Dopo la condanna, i tre vengono rinchiusi in isolamento. I due ragazzi insieme, la ragazza da sola. Solo per un’ora al giorno i tre possono stare tutti in compagnia. Ad un certo punto la madre della ragazza dice che sua figlia è malata, e denuncia il fatto che in prigione le vengano negate le più elementari cure ospedaliere. La ragazza ha una cisti sospetta al seno, e sembra pure che abbia i sintomi di un tumore alla cervice. Insomma, per evitare di ritrovarsi un cadavere di troppo, gli iraniani decidono di rimandarla a casa “per motivi umanitari”.
I due ragazzi, Josh e Shane, restano in galera. Nel frattempo sono partite diverse iniziative internazionali per aggirare la mancanza di relazioni diplomatiche fra Iran e Stati Uniti. Queste trattative estenuanti vanno a buon fine, grazie soprattutto alla Svizzera, ed in cambio del pagamento di un milione di dollari i due ragazzi vengono finalmente liberati e rimandati a casa.
Quindi, riassumendo, la “versione ufficiale” dei fatti sarebbe questa: tre ragazzi americani con l’hobby del reportage giornalistico, devoti ambientalisti e strenui difensori dei diritti umani, decidono di fare una gita alle famose cascate di Awa, una delle più note destinazioni turistiche del Kurdistan orientale. Dopo aver visto le cascate, invece di tornare a casa, decidono di proseguire la passeggiata verso i monti circostanti. Due abitanti del luogo, che non hanno mai visto un turista in vita loro, si incuriosiscono per la loro presenza e dicono: “Toh, guarda quei tre. Chissà cosa combinano, andiamogli dietro”.
I tre americani vanno su e giù per i bricchi (vedi foto a fine articolo), e ad un certo punto si avvicinano senza accorgersene al confine “che solo gli abitanti locali conoscono con precisione”. Ma, invece di avvisarli del pericolo, i due locali continuano ad osservare incuriositi, finchè sbucano dal nulla i soldati iraniani. Questi a loro volta si guardano in giro, credono di non essere visti da nessuno, e lestamente allungano la zampa in territorio iracheno -
semel in anno licet insanire, dopotutto - catturando i poveri innocenti.
L’organizzazione “Investigative Fund” si mette in moto, e in una zona dove abiteranno sì e no 300 persone ci mette cinque mesi per riuscire a scovare questi due abitanti del luogo. Ma dopo averli trovati, invece di dirgli “coglioni, perchè non li avete avvisati del pericolo?”, preferisce tenere nascosta la loro identità, “per evitare rappresaglie da parte degli iraniani”. (In un classico caso di
excusatio non petita, il Fund si premura di farci sapere che “come è noto i soldati iraniani sono soliti fare incursioni in territorio iracheno”. Ah va beh, diciamo noi, allora hanno fatto bene a tenere nascosta l’identità).
Una volta in prigione la ragazza “a cui sono negate le più elementari cure mediche” scopre da sola di avere un tumore alla cervice. Gli iraniani comunque si spaventano, e la mandano subito a casa.
Dopodichè, “per aggirare la mancanza di relazioni diplomatiche” interviene addirittura la Svizzera, che come è noto è sempre la prima ad offrirsi per mediazioni internazionali di questo tipo.
Infine qualcuno – di cui non si conosce il nome – riesce a mettere insieme un milione di dollari, e lo dona generosamente agli iraniani pur di vedere tornare a casa i due ragazzi ingiustamente condannati.
Dimenticavamo: anche per la liberazione della ragazza era stata pagata una somma di mezzo milioni di dollari, e anche in quel caso nessuno sa da dove siano arrivati quei soldi.
Ma sarà stata sicuramente la Investigative Fund, una organizzazione apertamente votata alla protezione e alla promozione del giornalismo indipendente, specialmente se dedito alla difesa dei diritti dei palestinesi.
Organizzazione che però si era completamente dimenticata di farsi sentire quando furono uccisi dei veri giornalisti indipendenti, che lottavano davvero per i diritti dei palestinesi, come Raffaele Ciriello o Vittorio Arrigoni.
Massimo Mazzucco
Fonti varie:
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NOTA: In
questa immagine di Google Earth si vede che la distanza dalle cascate di Awa al punto più vicino del confine iraniano è di circa 4 chilometri in linea d’aria. Il terreno è tutto di boscaglia montagnosa, come quello che si vede nella foto delle cascate, inserita in alto a sinistra. (Ve li immaginate i tre che “passeggiano distrattamente” in quella direzione per 4 chilometri di boscaglia fitta, su e giù per monti impossibili, seguiti dagli altri due che “sono incuriositi” da quello che fanno, ma stanno zitti e non gli dicono niente?)
Un'altra
immagine della boscaglia che circonda le cascate di Awa. In confronto l'Amazzonia è un'autostrada.