Evo Morales, il presidente campesino, ha vinto le elezioni boliviane, "en el nombre del pueblo". Non ha superato, di pochissimo, il 50% necessario a garantirsi un mandato assoluto, ma con la legge boliviana, che incarica il parlamento di decidere in caso di maggioranza relativa, lo stesso presidente uscente, Quiroga, ha riconosciuto la propria sconfitta.
E adesso? Gas naturale, petrolio e coca sono le tre grandi variabili in un paese che, stando alle risorse, doverebbe essere fra i più ricchi al mondo, e che invece è il penultimo della fila in Sudamerica, preceduto, in povertà, dal solo Ecuador. Il 66 per cento dei boliviani vive sotto la cosiddetta "linea di povertà".
Il 95 percento dei boliviani è cattolico, il restante 5 percento protestante. Da questo punto di vista, i Conquistadores ... ... hanno fatto bene il loro lavoro, qui, cinquecento anni fa, e di sicuro questo ha avuto un suo peso, nella infinita capacità di sopportazione dimostrata da quel popolo.
Per gas e petrolio, Morales ha già detto da tempo che intende nazionalizzare l'intera produzione. Per quel che riguarda la coca, intende facilitare la produzione locale, invece di limitarla, fino ad arrivare a legalizzarla del tutto. In ogni caso quindi, l'incubo per Washington - almeno ufficialmente - sembrerebbe farsi realtà. Non per nulla l'intera stampa americana ha già reagito bollando Morales di "sinistrismo" pericoloso, e facendo ampio ricorso alle citazioni in cui dichiarava la sua simpatia per Castro e per Chavez. (D'altronde, se vuoi vincere in Bolivia, mica ti metti a dire che sei amico di Bush, no?)
Fin qui, la superficie delle cose. Ma se si guarda appena più con attenzione, si notano ad esempio dichiarazioni di Morales come "verrebbe da chiedersi come mai gli Stati Uniti siano proprio il consumatore numero uno di coca al mondo". Soltanto chi crede alle fiabe infatti non ha capito che il traffico internazionale di droga è in realtà la fonte primaria di introiti per la CIA: non c'è modo migliore per finanziare in nero le costosissime operazioni "sporche", che il governo ufficialmente non potrebbe mai permettersi di autorizzare. Non a caso la tensione fra Talebani e governo americano arrivò al culmine proprio nell'estate del 2001, quando i primi arrivarono a congelare del tutto la produzione nazionale di oppio. E sempre non a caso, una volta "liberato" l'Afghanistan, la produzione di oppio è tornata al 400 per cento di quella precedente allo stop.
Morales ha anche dichiarato di volersi disfare di "20 anni di politica economica neoliberista", ma gli industriali americani, che hanno investito i loro capitali in Bolivia, sanno benissimo che c'è una classe media, nelle zone del sud più ricche e meno "campesine", che non condivide affatto la linea estremista del nuovo presidente, e gli stessi governatori locali, il giorno dopo le elezioni, hanno cominciato a reclamare per ottenere una maggiore indipendenza dai poteri della capitale.
Ci sono poi, soprattutto, i 200 milioni di dollari annui che gli Stati Uniti versano alla Bolivia come "premium" per combattere la produzione di coca, in base ad un patto inter-andino che scade proprio l'anno prossimo.
Morales quindi è con le mani legate da ambo i lati della barricata. Al suo popolo ha promesso libertà dal giogo degli "yanquis," mentre dipende da questi ultimi per riuscire ad non affamare del tutto una popolazione che già vive allo stremo da lunghissimi anni.
L'unica sconfitta che si può immaginare, a questo punto, potrà essere la sua, e con essa, quella dell'intero continente sudamericano, che continua a rifiutarsi di capire di essere considerato dagli Stati Uniti alla stregua di un semplice granaio di casa, con tanto di manodopera incorporata. Lula ne sa qualcosa.
Massimo Mazzucco