di Marco Cedolin
Ci sono
incubi che ti svegliano nel cuore della notte , lasciandoti con il respiro corto e madido di sudore, altri che svaniscono solo al mattino, portando con sé un ricordo evanescente, altri ancora che sono incatenati l’uno all’altro come scatole cinesi, facendo si che ogni risveglio rappresenti unicamente la riproposizione dello
stesso incubo da una diversa prospettiva.
Lo scellerato progetto del TAV in Val di Susa appartiene a quest’ultima categoria e per quanto la cosa possa sembrare paradossale, i cittadini di una valle alpina che ospita all’incirca 60mila abitanti, sono costretti da ormai 20 anni a confrontarsi con una vera e propria macchina da guerra politica, mediatica e militare, decisa a distruggere il territorio in cui vivono, contro la loro volontà , una macchina da guerra determinata a raggiungere il proprio scopo con ogni mezzo.
Non sono bastati i giudizi di tanti economisti che hanno ribadito come l’opera in questione rappresenti un “vuoto a perdere” totalmente privo di qualunque prospettiva di ritorno economico. Non sono bastate le valutazioni di tecnici ed esperti ambientali … … che hanno messo in evidenza come una grande opera di queste dimensioni sia assolutamente insostenibile per una valle alpina già pesantemente infrastrutturizzata attraverso un’autostrada, una linea ferroviaria internazionale a doppio binario, due statali e numerose provinciali, al punto che se la si guarda dall’alto il fondovalle già oggi somiglia ad un’unica colata di asfalto e cemento. Così come non è bastato il crollo del traffico merci, tanto su ferro quanto su gomma che da ormai 10 anni ribadisce la sterilità commerciale di questa direttrice.
Né sono bastati i rapporti dei medici, allarmati per l’aumento di ammalati e mortalità che sarà determinato dallo scavo di gallerie all’interno di montagne ricche di amianto ed uranio. Ed i rapporti dei geologi, concernenti il disastro che un progetto di questo genere potrà causare in un territorio dai delicatissimi equilibri idrogeologici. Sorgenti essiccate, paesi senza acqua, rischio di esondazioni moltiplicato in maniera esponenziale in un territorio già soggetto a piene alluvionali. Non sembra essere bastata la crisi economica sempre più profonda che sconsiglierebbe qualsiasi finanziamento valutabile in decine di miliardi di euro in interventi infrastrutturali che non siano di stretta necessità.
Non è servita neppure la dura lezione impartita dai valligiani nell’autunno del 2005, quando l’intera valle fu militarizzata per oltre un mese, quasi si trattasse dell’Afghanistan o dell’Iraq, ed i cittadini vennero picchiati a sangue ripetutamente, nel tentativo di costruire un cantiere mai arrivato a compimento, perché decine e decine di migliaia di persone, pacificamente ma fermamente lo invasero e lo smantellarono, prima ancora che venisse edificato.
La congrega di politici, prenditori e affaristi senza scrupoli, che culla il sogno di sventrare una valle alpina senza curarsi dei suoi abitanti, per aprire un rubinetto (la Salerno/Reggio Calabria in questo senso ha fatto scuola) destinato a dispensare facili profitti per almeno i prossimi 20 anni, non ha inteso sentire ragioni. Troppo forte l’odore dei soldi e troppo ghiotta l’occasione di appropiarsi, indebitamente ma legalmente di una cospicua fetta del denaro che i contribuenti italiani devolveranno in imposte e tasse nei decenni a venire.
Si sono leccati le ferite, hanno ricucito gli strappi politici, hanno oliato (ed unto) a dovere i giornalisti prezzolati dei media mainstream, si sono inventati alla bisogna tavoli ed osservatori destituiti di ogni fondamento, ma pregni di ufficialità, hanno messo a punto un nuovo progetto assai più devastante e costoso del precedente, con la condivisione dei governi di turno, e adesso si apprestano a tornare all’assalto all’arma bianca, per quella che l’architetto Mario Virano, presidente dell’Osservatorio sul TAV Torino – Lione e grande artefice della rinascita del progetto, ha già ventilato con spirito belluino potrebbe diventare “la madre di tutte le battaglie”.
Battaglia della quale i valsusini, angosciati da un incubo che dura da 20 anni, avrebbero fatto molto volentieri a meno e che consisterà nel tentativo di edificare in località Maddalena di Chiomonte un cantiere propedeutico allo scavo di un tunnel geognostico della lunghezza di 7 km che nelle intenzioni della consorteria che sostiene l’opera, dovrebbe costituire l’inizio ufficiale del TAV Torino- Lione.
Il cui appalto (quello del cantiere) è già stato assegnato a due “note” aziende di Susa per la modica cifra di 1,5 milioni di euro, mentre i lavori di scavo saranno appannaggio dell’altrettanto “nota” [url=http://ilcorrosivo.blogspot.com/2008/10/dal-molin-niente-referendum-nelle.htmlcooperativa CMC di Ravenna[/url] che ha già avuto ampiamente modo di mettersi in mostra sia in Italia che all’estero ed era già deputata a scavare a Venaus nel 2005.
Lasciata da parte l’angoscia, anche il movimento NO TAV durante questi anni non è rimasto con le mani in mano, i cittadini che si battono contro l’opera hanno infatti provveduto ad acquistare una cospicua parte dei terreni che dovrebbero diventare oggetto del cantiere, sui quali è stato costruito un presidio intorno al quale si raccoglieranno, decisi ad impedire la posa anche di un solo paletto, pacificamente, ma con la risolutezza già dimostrata in passato.
Mentre al contempo i due consiglieri regionali del movimento 5 Stelle, Davide Bono e Fabrizio Biolè hanno provveduto a trasferire sui terreni medesimi una roulotte, trasformata per l’occasione nella sede regionale.
Sabato scorso, fra Rivalta e Rivoli, in un territorio prospicente alla Val di Susa, che verrà anch’esso pesantemente interessato dai lavori, si è svolta una manifestazione contro la costruzione del TAV, assai partecipata, forte di oltre 10mila persone, segno inequivocabile che la protesta travalica ormai ampiamente i confini della valle.
L’incubo ritorna, ritornano i presidi, le notti con il cellulare sotto il cuscino e gli scarponi davanti al letto, ritorneranno probabilmente la militarizzazione, i check point, le cariche con i manganelli contro la gente disarmata, le intimidazioni, poiché la scorsa notte i presidianti hanno già dovuto far fronte al primo assalto all'arma bianca, respingendo con fermezza il tentativo d'installare il cantiere.
Tutti gli spettri del 2005 si ripresentano nuovamente, perché l’incubo del TAV, per chi vive in Val di Susa sembra davvero non finire mai, ma ritorna anche il convincimento che grazie alla forza popolare fermare questo scempio è possibile, oltre che doveroso, per chiunque abbia a cuore le sorti della terra in cui vive e il futuro suo e dei propri figli.
Marco Cedolin
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