di Marco Cedolin
Fra le tante strenne natalizie che i cittadini italiani si sono trovati a raccogliere sotto il salice piangente, una più delle altre sembra proporsi quasi a titolo di scherno, in quanto risulta disancorata dai fondamenti della logica, in virtù dei quali tanto più un servizio è migliore tanto più si ha diritto a pretendere un equo pagamento, ma quando un servizio è scarso anche il suo costo dovrebbe essere commisurato a tale scarsità.
Dal primo gennaio 2007 viaggiare in treno costa di più, in quanto i vertici delle Ferrovie hanno deciso di aumentare mediamente del 9% (ma con punte che arrivano fino al 15%) le corse dei treni a lunga percorrenza Eurostar, Intercity e Alta Velocità. Sono invece esentati dal salasso i treni Regionali ed Interregionali, veicolo obbligato del pendolarismo giornaliero e gli Espressi.
Credo sia superfluo sottolineare che Intercity ed Eurostar, lungi da essere esclusivamente oggetto di una scelta “elitaria” dei viaggiatori, … … si manifestano molto spesso come veicolo indispensabile per il cittadino comune che abbia necessità di muoversi all’interno dell’inferno di convogli soppressi, ritardi cronicizzati, mancanza di alternative, che costituisce la cacofonica situazione delle Ferrovie italiane. Riguardo all’Alta Velocità è invece preferibile stendere un velo pietoso in quanto si tratta di una proiezione onirica che non va oltre i cartelli nelle stazioni, gli elenchi delle biglietterie, le decorazioni a bordo dei binari e nulla più. Aumentare il biglietto di un “servizio di fantasia” è infatti esercizio altamente empirico tanto quanto dimostrare che i servizi offerti dalle nostre ferrovie meritino effettivamente un aggravio dei costi per il viaggiatore.
Osserviamo un attimo lo stato delle ferrovie italiane, per comprendere se i costi dei biglietti (secondo i vertici delle stesse ferrovie inferiori di quasi il 50% alla media europea) siano commisurati alla qualità di un servizio, purtroppo in stato di ben più grave soggezione di quanto i prezzi non dimostrino, rispetto agli standard europei.
Circa due terzi del sistema ferroviario italiano è costituito da linee a binario unico, una percentuale nettamente superiore a quella degli altri Paesi Europei più avanzati, quali Gran Bretagna, Olanda, Francia, Svizzera, Germania e Belgio.
In alcune regioni la situazione sotto questo aspetto è drammatica, in Valle d’Aosta non esiste un solo chilometro di doppio binario sugli 81 esistenti, in Abruzzo i chilometri a doppio binario sono solo 96 sui 541 totali, in Molise 23 su 266, in Basilicata 24 su 368, in Sicilia 146 su 1387.
Sui convogli italiani la fauna di bordo molto spesso eccelle in biodiversità e spazia dalle zecche alle cimici, agli scorpioni, per giungere fino ai topi ed è parte integrante di una realtà da incubo dove nulla funziona. Non funzionano le stazioni, antiquate, gestite in maniera inadeguata, sporche e con informazioni per i passeggeri spesso frammentarie e di difficile consultazione.
Non funziona la programmazione dei convogli, molti dei quali giornalmente vengono soppressi senza procedere all’adeguata informazione, mentre altri sono costretti a restare fermi in attesa dell’incrocio con il convoglio proveniente dalla direzione opposta, costringendo i passeggeri ad attese che rasentano l’eternità.
Non funzionano le carrozze ferroviarie, dove spesso il riscaldamento è rotto, parimenti ad ogni altro congegno meccanico o elettronico, fino a far si che i vari interruttori messi in bella mostra somiglino a tante piccole lucine prive di significato.
Non funziona il sistema delle coincidenze, pregiudicato a monte dai cronici ritardi che le rendono solo fantasiose ipotesi stampate sulla carta.
Non funziona la nuova gestione dei lavoratori, ispirata al dumping contrattuale che privilegia i tagli indiscriminati di costi e personale, caricando gli oneri sulle spalle dei viaggiatori, sotto forma di disservizio acuto e generalizzato.
Ma soprattutto non funzionano, o meglio non sono adeguati, i sistemi di sicurezza che dovrebbero tutelare l’incolumità fisica di passeggeri e ferrovieri, come l’infinita sequela d’incidenti, spesso mortali dimostra senza pietà. Sui due terzi dell’intera rete ferroviaria italiana (oltre 10.000 km.) il sistema di sicurezza, denominato “blocco meccanico Fs.” è obsoleto e si affida alla segnaletica e alla professionalità di macchinisti e capotreni. La maggior parte delle linee italiane (11.300 km su 16.000) sono prive del Sistema Controllo Marcia Treno (SCMT) indispensabile per la sicurezza. Lungo le linee prive di SCMT, per evitare il costo della presenza di un secondo agente in cabina di guida che sarebbe in questo caso indispensabile, si ricorre all’escamotage dell’apparecchio Vacma.
Tale apparecchio inutile e dannoso, ben lungi dall’esprimere un qualche contenuto tecnologico consiste semplicemente in un pedale che il macchinista deve pigiare ripetutamente come un robot ogni 55 secondi per tutta la durata del viaggio. Sulle nostre linee manca inoltre il sistema radio internazionale, attivo da tempo sui mezzi interoperabili europei, che per mezzo di ponti radio dedicati presenti lungo la linea garantisce il perfetto funzionamento in qualsiasi situazione geografica. I macchinisti sono così costretti a servirsi dei normali cellulari commerciali, con tutti i limiti in termini d’immediatezza, affidabilità e semplicità d’uso a cui si aggiungono le enormi difficoltà di comunicazione dovute alle zone d’ombra presenti nella rete.
Il materiale rotabile è vecchio e in cattivo stato di conservazione, mancano i finanziamenti e spesso per effettuare la riparazione di un locomotore si attinge a pezzi di ricambio prelevati da un altro locomotore della stessa specie. Le locomotive diesel usate per il trasporto regionale hanno un’età media di 23,8 anni, quelle elettriche di 21,3 anni, le motrici diesel cargo di 31,4 anni, i vagoni delle vecchie “littorine” ancora numerosissimi arrivano a un’età media di 44 anni. La maggior parte dei 50.000 carri merci esistenti sulla rete ferroviaria italiana ha un’età media di 30/40 anni.
Queste cifre più adatte a un museo ferroviario che non all’attività su rotaia di un paese che ama definirsi tecnologicamente avanzato, dimostrano quanto sia prioritaria la necessità di un immediato rinnovo del parco circolante.
Ogni giorno vengono soppressi tra 200 e 300 treni, poiché manca il personale che dovrebbe guidarli, oppure mancano fisicamente le carrozze o le motrici.
Se aggiungiamo il fatto che stipendi, buone uscite e pensioni dei manager che hanno contribuito e contribuiscono ad ingenerare questa situazione che ottimisticamente si potrebbe definire disastrosa, sono equivalenti ai ricavi del titolare di una grande industria, ecco che per un attimo ci sfuggono le ragioni per cui dal primo gennaio i viaggiatori siano chiamati a pagare di più per usufruire di un servizio che vale ogni giorno di meno. Probabilmente i biglietti dei treni italiani prima degli aumenti costavano meno della media europea (i salari italiani se è per questo la media europea neppure la immaginano) ma già si rivelavano particolarmente salati a fronte di un servizio ben sotto il limite della decenza, quella decenza che i vertici delle Ferrovie, imponendo i nuovi rincari, hanno dimostrato di non conoscere assolutamente.
Marco Cedolin