di Andrea Franzoni
Si chiamano «sport-compulsivi», sono mezzo milione solo in Italia e, estratti da qualche cilindro durante l’ultimo Congresso della Società italiana di psichiatria, costituiscono l’ultima frontiera della sindrome psichica. La loro colpa, o meglio il loro problema, è quello di evidenziare una «dipendenza psicologica», concetto tabù per il razionalismo su cui la psichiatria si crede di fondare quanto il “vizio” (o “peccato”) lo è per il pensiero cristiano.
La psichiatria è una disciplina giovane che sta affinando le sue armi e che sta seguendo, riprendendone in gran parte i caratteri, le gloriose orme della religione nel tentativo di creare ed imporre un modello etico e comportamentale condiviso producendo conformismo, stabilità e controllo sociale. Fondata su basi apparentemente opposte, ma in realtà quasi speculari, essa ha tutte le credenziali in regola per affermarsi, nel futuro immediato, come nuovo strumento di omologazione e compattazione del “corpo sociale”. Con una sola novità: il presunto fondamento illuminista, “scientifico”, “colto”, certo più adatto ai tempi dell’usurata mitologia religiosa, … … che rende la psichiatria potenzialmente ancora più solida, categorica e –forse- pericolosa della sua antenata.
Il concetto chiave sul quale questa possibile –e in parte già in atto- rivoluzione (destinata, come il termine indica, a riassestarsi dopo un’apparente svolta –dalla religione alla psichiatria- nella medesima posizione di promozione dell’omologazione) si basa è quello, spesso sulla bocca dei mezzi di comunicazione, di “dipendenza psicologica”.
«Chi vive la forma fisica come un’ossessione - spiega Mauro Carta, associato di psichiatria all’Università di Cagliari - sperimenta una vera sindrome d’astinenza e si sente male se è costretto a stare lontano dalla palestra». Nel caso specifico si arriva quindi a parlare, riferendosi all’attività sportiva, come di una potenziale «droga» che provoca “psicodipendenza” nel 10% dei frequentatori dei centri fitness. «L'esercizio fisico, per il compulsivo dello sport e' fonte di sicurezza e stabilità emotiva- spiega l’esperto- ma purtroppo, come per qualsiasi dipendenza esiste una forte correlazione con altre patologie mentali più e meno gravi».
Lo sport-dipendente quindi ottiene, grazie allo sport, sicurezza e stabilità emotiva ma ciò è male perché c’è qualcosa di tanto minaccioso, nel mezzo, da oscurare l’importante fine raggiunto. «L'allenamento compulsivo –spiega infatti l’agenzia ANSA- si associa nel 30% dei casi a disturbi alimentari come anoressia e bulimia correlati a leggere forme di depressione; un altro 10% di sport-dipendenti presenta disturbi della personalità». In più, minaccia il comunicato basandosi su una ricerca fatta mediante interviste su un campione di 232 frequentatori, il 3% degli sport-compulsivi corre il rischio di arrivare fino all’uso di sostanze dopanti per migliorare le proprie prestazioni.
La prima osservazione che ogni giornalista e soprattutto ogni lettore dovrebbe fare è questa: il fatto che il 30% di coloro che si sfiancano frequentemente in palestra soffra di disturbi alimentari (anoressia, bulimia), così come il fatto che il 3% di loro arrivi a far uso di doping, è dovuto ad una presunta «dipendenza psicologica» o piuttosto dal fatto che solo chi fa molta attività fisica ha “bisogno” di doping –ovviamente- e che molti di coloro che già soffrono di anoressia frequentino assiduamente, nel tentativo di diminuire ulteriormente il loro peso, i centri fitness (e non le trattorie)?
L’impressione è che il rapporto causa-effetto sia rovesciato ad arte tanto che è la palestra a causare l’anoressia e non l’anoressia a “trascinare” il soggetto, nel corso del suo percorso di autodistruzione, verso una frequentazione assidua dei centri fitness. E’ più che evidente che dopati e anoressici frequentino le palestre naturalmente, e non sotto l’influsso di qualche strana dipendenza. Questi numeri, tuttavia, sono solo fumo negli occhi con i quali si cerca di dare una parvenza di scientificità, di fronte all’opinione pubblica, a qualcosa che di fondato non ha nulla. Quello che la psichiatria teme e tenta di correggere è, infatti, l’aspetto irrazionale che c’è nella pratica “maniacale” di uno sport o di qualunque altra cosa.
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La lente non si concentra sulle cause e sui meccanismi che generano insicurezze, insoddisfazioni e sofferenze ma condanna le pratiche, giudicate “ossessive” (in psichiatria lo sono i comportamenti o i pensieri irragionevoli accompagnati da stati d’ansia) e eccessive, attraverso i quali si cerca una serenità e –paradossalmente- un equilibrio interiore.
La psichiatria è infatti una disciplina che nasce dal tentativo di spiegare l’inconscio, i lati “oscuri” della mente umana e, quindi, l’irrazionale –ma anche l’istinto- presente nell’uomo. Chi non segue, nel proprio ragionamento, procedimenti logici e razionali è, per la psichiatria, un soggetto anomalo, deviato, da correggere per normalizzare. Il soggetto affetto da “dipendenza psicologica” è un soggetto non libero nel proprio processo decisionale: egli è come deviato dalla via della ragione e questo, per lo psichiatra, è un elemento negativo da correggere e escludere.
L’uomo “standard” è sereno, indipendente, perfettamente libero ed in grado di prendere ogni decisione in autonomia, usando illuministicamente al meglio il dono della ragione e valutando cause ed effetti, costi e benefici, fino ad optare per la soluzione migliore. L’uomo “psicodipendente”, al contrario, è un uomo debole e trascinato dai bassi istinti, dai fumi dell’alcol o della palestra che oscurano il suo raziocinio e che rischiano di metterlo, ad ogni bivio, nelle condizioni di risultare dannoso per sé o –soprattutto- per gli altri andando magari ad ingrossare la schiera dei killer psicopatici “incapaci di volere”. Compito dello psichiatra è quello di mantenere gli uomini puri da dipendenze e stranezze; di difendere la società dall’imponderabile costruendo un mondo di uomini retti, di plastica, fedeli alla sola applicazione della propria ragione.
In questa prospettiva (ingabbiare l’anormale e l’irrazionale quando ancora si presenta allo stato embrionale nel tentativo di omologare per scongiurarne dimostrazioni più gravi) anche un bambino irrequieto (ADHD, Sindrome da Iperattività e Deficit di Attenzione, sedata in milioni di bambini nel mondo con psicofarmaci di derivazione anfetaminica), introverso (“Disturbi del comportamento) o “Tecnomaniaco” (o “sindrome del giapponesino”, psicodipendente da computer e telefonino, pandemia denunciata nel medesimo convegno) è un potenziale pericolo, un attentato all’ordine da riportare dentro i canoni e da rieducare prima che possa degenerare in manifestazioni pericolose anche per gli altri.
Ogni segnale “anomalo”, minaccia infatti la psichiatria, può essere la radice –per esempio- di una strage familiare, di pedofilia o di violenza domestica, che devono per forza avere una spiegazione e dei sintomi preliminari che bisogna imparare a identificare. «Il comportamento del paziente –infatti- non può più essere ridotto ad una somma di sintomi, ma va analizzata l’intera storia personale, il percorso di vita». Per scoprire la “fabbrica del mostro”.
Il problema però non è semplice: l’uomo è infatti profondamente guidato dalle dipendenze psicologiche tra le quali si possono annoverare le piccole abitudini, le comodità, le manie, l’irrazionalità costruita dal consumismo fino ai sentimenti più elevati e necessari quali l’amore. Per non parlare dei “colpi di genio” o dell’arte, apoteosi dell’irrazionale ma nel contempo orgoglio del genere umano. E non esistono evidenze biologiche alle sindromi teorizzate dalla psichiatria mondiale.
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Questa crociata razionalista è in evidente continuità con l’opera cominciata, sulla base degli stessi timori, dalla religione. La completa libertà di scelta razionale è infatti la versione post-illuminista del cattolico libero arbitrio e la “dipendenza psicologica” è la versione speculare del “peccato” che porta l’uomo a tradire la propria essenza. Stabilisce il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana». Allo stesso modo, parafrasando, la dipendenza psicologica è una mancanza contro la ragione e la verità, che si manifesta attraverso un perverso attaccamento a determinate realtà (es. palestra, amore, giornalismo), che ferisce la natura (razionale) dell’uomo e attenta ai normali rapporti interpersonali (“disturbi del comportamento”).
Si ripropone così, in chiave moderna, il vecchio dualismo medievale (ma figlio della Grecia classica) tra materia e “mondo delle idee”, tra bassi istinti e alta metafisica (oggi ragione), tra vizi carnali e “atarassia” (assenza di bisogno), tra turbamenti terreni e Nirvana. L’uomo deve sopprimere i suoi desideri e il suo istinto, fin dalle questioni più quotidiane, fino al perseguimento di un dominio completo del raziocinio sullo spirito e sulla maligna carne.
Quello che una volta poteva essere un giudizio morale di natura sovraumana tanto pesante da portare a una correzione o all’esclusione sociale del peccatore oggi, nell’epoca in cui la religione e la sua mitologia perdono nell’occidente la loro presa sociale, è una diagnosi di sindrome o di dipendenza psichiatrica. Il look cambia e diventa più moderno; il senso però è lo stesso: preservare la società come corpo unitario attraverso l’omologazione e l’esclusione del diverso (o dell’innovatore percepito anch’esso come una minaccia).
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Sia la psichiatria che la religione si servono, per l’esercizio della loro funzione, di una “casta” di ministri preposti a stabilire le regole e proprio a questa burocrazia il deviato è invitato, oggi come ieri, a rivolgersi.
Curiosamente, agli albori della psichiatria, il suo intreccio con la religione era evidente: la psichiatria era uno strumento per imporre l’etica religiosa rinchiudendo e tentando goffamente di correggere i “viziosi” tanto che, per molti anni, la classe psichiatrica ha rinchiuso, nelle proprie strutture, persone colpevoli semplicemente di condotte immorali (pigri, alcolisti, prostitute, libertini, litigiosi, vagabondi). Qualcosa di questo sodalizio innegabilmente rimane; tuttavia oggi la psichiatria è nel pieno della propria emancipazione ed evoluzione e le due entità sembrano correre su percorsi paralleli talvolta sostenendosi talvolta sfidandosi.
Il titolo dell’ultimo convegno italiano è stato proprio “Metamorfosi della Psichiatria contemporanea” e, casualmente, si è tenuto contemporaneamente al Congresso Ecclesiale di Verona. Qui Papa Benedetto XVI ha denunciato proprio «una nuova ondata di illuminismo e laicismo» e ha invitato i cattolici ad «allargare gli spazi della razionalità» per «riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene» coniugando «teologia, la filosofia e le scienze». La religione, dunque, comprende il pericolo generale che corre, denuncia l’illuminismo e contemporaneamente pretende di continuare a proporsi come fonte di “vero” e “bene”, cioè dell’etica, basandosi proprio sulla completa ragione (scienza ma anche teologia e filosofia) che arroga a sé.
Religione e psichiatria, come detto, hanno lo stesso obiettivo: l’omologazione e il conformismo.
L’omologazione della società su un modello tendenzialmente conservativo, tuttavia, non è una sovrastruttura, un qualcosa di imposto dall’alto da un misterioso e perverso potere. Il conformismo è infatti un’esigenza della società stessa che ha la necessità di riconoscersi, di identificarsi, di convivere secondo canoni e etiche coincidenti isolando l’imponderabile, ciò che cioè può minacciare il suo ordine e la sua incolumità. Religione e Psichiatria, quindi, sono un elemento funzionale alla società che è, per sua natura, basata su un’identità comune e su una tavolozza di valori, regole, canoni ai quali i membri si devono omologare e sui quali religione e psichiatria vigilano combattendo la paura del cambiamento e dell’irrazionale. La religione e la psichiatria, si potrebbe quindi dire, sono un gradino sotto al conformismo, con la sua natura legata all’istinto e al concetto di clan, in grado di usare l’una o l’altra per concretizzarsi e quindi all’origine di queste diverse manifestazioni.
L’efficacia della religione anche come strumento di potere è risieduta, per secoli, nella sua capacità di determinare, imporre e anche preservare stili di comportamento senza essere percepita come una forza arbitraria né vincolante ma, anzi, sostenuta da solide basi e rivolta –nell’immaginario comune- alla difesa del bene comune dalle minacce più svariate. Le efferatezze compiute dal potere sotto il suo sguardo, e le vicendevoli manipolazioni, sono sotto gli occhi della Storia.
Chissà che la psichiatria, in un futuro prossimo, non possa acquisire lo stesso fondamentale ruolo affermandosi come forma di controllo, condanna e repressione socialmente condivisa di ogni comportamento per qualche motivo “straniero” e sconveniente.
Nuove streghe, grandi o piccole, da bruciare sull’altare della ragione.
Andrea Franzoni (Mnz86)
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