Ripubblichiamo, per l'occasione, questo articolo di un paio di settimane fa.
Le discussioni sull'argomento voto/non-voto sono state numerose, e possiamo tranquillamente dire che tutti abbiano avuto la piena opportunità di confrontarsi e di esporre la propria opinione. Risulta anche chiaro a questo punto che bene o male ciascuno di noi si è formato un'idea precisa, e ormai difficilmente vorrà cambiarla, prima delle elezioni.
E' importante però cercare un comune punto di accordo, che valga per tutti, almeno su una questione di fondo: le presunte responsabilità di ciascuno di fronte ad un certo risultato piuttosto di un altro.
Qualcuno, ad esempio, ha già espresso il timore che quelli che avranno scelto di votare siano poi accusati, da coloro che non intendono farlo, di avere in qualche modo "le mani sporche di sangue", andando a delegare ... ... chi ha già chiaramente espresso l'intenzione di non ritirarsi dall'Iraq. Che di destra o di sinistra si tratti, infatti, da quel punto di vista le cose pare che non cambieranno (almeno non subito). Altri, che non votano, potrebbero invece sentirsi accusare da chi si è dichiarato "per il meno peggio" di aver favorito un'eventuale vittoria della destra, oppure viceversa. Le combinazioni potrebbero essere infinite.
Ma sarebbe profondamente ingiusto, in ogni caso, approfittarsi dell'onestà di coloro che hanno rivelato apertamente il loro pensiero, per poi rinfacciarglielo a seconda dell'esito elettorale. (Non per nulla, nella vita pubblica, il voto è segreto).
Inoltre, dobbiamo tutti fare uno sforzo per distinguere chiaramente la fase del confronto, che c'è stata, da quella del voto vero e proprio, che sta per arrivare.
Durante il dibattito, che dovrebbe essere servito a ciascuno per verificare le proprie convinzioni, confrontandole con quelle altrui, ciascuno ha buttato sul tavolo gli elementi che riteneva più importanti rispetto alla decisione finale. E lo ha fatto in totale buona fede, convinto di ciò che sosteneva, e non certo per fare proselitismo di bassa lega per una fazione piuttosto che per l'altra. (Questa è, fra le altre cose, la quintessenza di un sito come il nostro).
Io stesso, ad esempio, ho apertamente sostenuto la teoria delle "mani sporche", e ho detto chiaramente che nella mia scala di valori la partecipazione a questa guerra è sufficientemente importante da impedirmi di votare uno qualunque dei candidati oggi in lizza. Ma quella è la mia scala di valori, che metto volentieri in discussione, ma che non posso pretendere venga per forza adottata da chiunque. Altri infatti hanno tutti il diritto di reputare più importanti, nella loro scala di valori, cose completamente diverse dalla guerra.
E qui non siamo davanti ad un preciso referendum "guerra sì" o "guerra no", ma a vere e proprie elezioni politiche (almeno in teoria, è chiaro), nelle quali la guerra gioca oggi un ruolo importante, ma tutt'altro che unico.
Il voto di ciascuno quindi sarà la risultanza di un delicato e complesso computo, fatto di pro e di contro, di scelte morali e di esigenze pratiche, di ragionamenti e di intuizioni, che ognuno di noi farà nel silenzio della sua coscienza, sulla sua lavagna personale. E in ogni caso, visto i tempi che corrono, non sarà un processo facile per nessuno.
Se quindi alla fine la nostra coscienza ci avrà detto, ad esempio, "ho deciso di votare", questo andrà considerato come il risultato complessivo di quel computo. Idem per chi avrà deciso il contrario, come per qualunque altra decisione possa esistere. Su quella lavagna ognuno ha il sacrosanto diritto di metterci e di toglierci tutto e soltanto quello che vuole lui.
Non esistono (per fortuna) parametri assoluti da cui dedurre ciò che è bene e ciò che male, ciò che è importante e ciò che non lo è, ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, inequivocabilmente e per tutti.
Ognuno usa i propri parametri, e ne rende partecipi gli altri, in piena buona fede, nel momento della discussione, ma poi si ritira nel rispetto per le decisioni altrui, e rimane a fare i conti soltanto con la propria coscienza.
Massimo Mazzucco
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