Quante volte abbiamo sentito dire che è mille volte più pericoloso, statisticamente parlando, viaggiare in automobile che non in aereo? Serve a poco, lo sappiamo, per far passare la paura di volare a chi ce l'ha, ma la cosa è assolutamente vera: se dividi il numero di passeggeri che vola ogni anno in tutto il mondo, per quelli che muoiono su uno di quegli aerei, ottieni una cifra risibile in confronto al numero di persone che salgono in macchina ogni anno, diviso per quelli che muoiono durante il viaggio su quella macchina.
Ma quante probabilità hai, salendo in macchina, di morire per un incidente aereo? Ieri un bimbo di sei anni ha scoperto che per lui ce n'erano a sufficienza. E' morto nella sua automobile, guidata dal padre a non più di 50 all'ora, quando un 737 che stava atterrando all'aeroporto di Midway, a Chicago, è "arrivato lungo", ha sfondato le recinzioni, ed è finito di traverso sull'autostrada che passa accanto. E' stata l'unica vittima di questa tirata di dadi quasi impossibile.
L'episodio sembra contenere la perfetta sintesi del conflitto irrisolvibile in cui ci siamo cacciati, come società, nel perseguire ... ... l'interesse economico al di sopra ogni altra cosa.
Da un estremo abbiamo l'aeroporto di Chicago, che è notoriamente fra i più pericolosi al mondo, poichè la lunghezza delle piste non permette il minimo errore. Specialmente d'inverno, con le piste ghiacciate, se il pilota non tocca terra nei primissimi metri disponibili, si mangia spazio prezioso per una frenata entro i margini di sicurezza. Basta infatti che i reverse non ti entrino subito in funzione - come è successo ieri al pilota del 737 - e la recinzione in fondo alla pista diventa l'ultimo inutile velo che ti separa dalla tragedia.
Dall'altro estremo abbiamo il bimbo morto. E' l'innocenza perduta - la nostra - che abbiamo sacrificato sull'altare della nostra ingordigia, per cui preferiamo mettere a rischio le nostre vite piuttosto che spostare un aeroporto dove ci sia lo spazio sufficiente per farlo.
Le raccomandazioni di sicurezza federali prevedono una zona-cuscinetto, fra la fine di una pista e la recinzione, di almeno 100 metri, ma solo 18 dei 24 maggiori scali americani se la possono permettere. Attenzione, la "prevedono", ma non la impongono. Qui infatti l'ipocrisia regna sovrana: ve lo vedete voi il consiglio d'amministrazione dell'aeroporto di Chicago, che già è costretto a risparmiare sulla carta igienica, per far quadrare i conti, che decide di colpo di gettare un paio di miliardi di dollari, per allungare la pista e deviare l'autostrada, anche se non è obbligato a farlo?
Viene alla mente George W. Bush, che appena eletto, nella primavera del 2001, annunciò che la sua amministrazione non avrebbe imposto ulteriori limiti all'inquinamento industriale, perchè "costava troppo". Lo disse papale papale, con un'alzatina di spalle, senza mostrare il minimo senso di colpa. Anzi, sembrava quasi indignato dalle domande insistenti dei giornalisti: "Ma siamo matti?" sembrava dire "ma vi rendete conto di che cifre stiamo parlando?"
Naturalmente, anche Bush tenne a sottolineare che le modifiche agli impianti non sono proibite, ma sono semplicemente lasciate alla volontà della singola industria. E anche lì, si ammazzarono a dozzine, il mattino dopo, nei consigli d'amministrazione americani, per cercare di convincere gli altri a triplicare al più presto il budget anti-inquinamento.
La domanda che pone l'incidente di Chicago è la seguente: a che punto inizia il diritto della società di far prevalere degli interessi economici - anche considerevoli, in molti casi - a discapito della salute e della sicurezza del singolo cittadino? Ma poi, soprattutto, a chi dovrebbero andare, i maggiori guadagni ottenuti a rischio della nostra sicurezza, se non al cittadino stesso?
Massimo Mazzucco