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Columbine, 1999. Charlton Heston, presidente della NRA nel 2001
NRA. UNA SIGLA DA RICORDARE, NELL’ANNIVERSARIO DI COLUMBINE.
di Fabio de Nardis
20.4.04 - National Rifle Association. Letteralmente, associazione nazionale delle carabine. Nata a New York nel 1871 per garantire il diritto dei cittadini americani a possedere armi da fuoco (ed usarle all’occorrenza), e’ semplicemente la lobby più potente d’America, ed è letteralmente in grado di fare o disfare un presidente. Per avere un’idea del peso che può avere l’NRA, basti pensare a questo: nel momento caldo del dopo-11 settembre, quando il ministro di giustizia Ashcroft riusciva a far passare una legge repressiva dopo l’altra, l’unica legge che stranamente non trovava posto nel famigerato Patriot Act era proprio quella che imponeva dei controlli più rigidi sull’acquisto di armi da fuoco alle fiere nazionali di settore. Ovvero, mentre si poteva tranquillamente arrestare un marocchino solo per aver pronunciato la parola “tagliacarte”, chiunque poteva andare ad una fiera e portarsi a casa dieci carabine a canne mozze, senza nemmeno che l’FBI controllasse prima la sua fedina penale. La grande “paura” per i terrorismo finiva improvvisamente, laddove iniziava il portafoglio dei produttori di fucili.
E proprio sabato scorso, l’”altro” presidente degli Stati Uniti, Dick Cheney, è intervenuto alla convention annuale della NRA per mettere in guardia i delegati sulle intenzioni del candidato democratico, John F. Kerry, di rimettere in discussione.... ... il Secondo Emendamento della costituzione, ovvero quello che legittima il possesso e l’uso delle armi da fuoco per qualsiasi cittadino. Cheney, parlando di fronte alla lobby al gran completo, ha affermato che “l’approccio di Kerry al secondo emendamento è stato quello di regolare, regolare e regolare sempre più” (che orrore!), mentre Bush è il solo che “abbia mostrato rispetto per l’Associazione, ha guadagnato i suoi voti, e ne ha saputo apprezzare il sostegno” (impedendo ad Ashcroft di introdurre quella legge, si suppone).
Nell’intento di prolungare nei tempi moderni una filosofia di vita che appartiene al Far West (ti ammazzo io prima che mi ammazzi tu), la NRA organizza ciclicamente dei seminari di addestramento sotto il motto: “Refuse to Be a Victim!” (rifiuta di essere una vittima!). Il regista premio Oscar Michael Moore le aveva dedicato un ampio spazio nel suo interessantissimo documentario “Bowling at Columbine” – tragedia di cui proprio oggi ricorre i quinto anniversario* - in cui cercava di testimoniare, e nello stesso tempo comprendere, l’amore viscerale che moltissimi americani hanno per le armi. Ne risultava il quadro drammatico di un popolo senza alcuna fiducia nelle istituzioni, convinto che ogni cittadino si debba attrezzare per farsi giustizia da solo. E pensare che negli anni Sessanta i politologi Almond e Verba, nella loro analisi comparata sulla “Civic Culture”, guardavano agli Stati Uniti come a un modello di cultura civica democratica il cui indicatore principale era proprio la fiducia nelle istituzioni. Si vede che le cose cambiano.
Per quel che riguarda il peso politico, l’NRA getta sul piatto oltre quattro milioni di iscritti (quasi quanti quelli della CGIL in Italia), che in occasione delle elezioni si mobilitano compatti in favore dei candidati che sostengono l’industria delle armi. Ovvero, da sempre, i repubblicani. Non è un caso che alle presidenziali del 2000 l’NRA si sia mossa attivamente per sconfiggere il democratico Al Gore (che aveva promesso invece restrizioni nel settore), arrivando a dare, in Florida, un contributo decisivo alla vittoria di Bush. Lo ha confermato lo stesso fratello del presidente, Jeb Bush, alla scorsa convention della NRA, dove ha dichiarato: “Se non fosse stato per il vostro coinvolgimento attivo, state certi che oggi George W. Bush non sarebbe presidente degli Stati Uniti d’America” (Ora sappiamo chi dobbiamo ringraziare per questo regalino!).
Per questa ragione oggi lo staff presidenziale guarda con particolare attenzione agli orientamenti di voto del gruppo, e gli promette pieno appoggio a livello legislativo. Dopo il discorso di Cheney, alla convention, è toccato ad un membro della NRA criticare le posizioni troppo “soft” di Kerry (che tra l’altro ha sempre dichiarato di possedere armi da fuoco) affermando: “Io so solo che la mia famiglia possiede armi da tre generazioni. Personalmente ho un fucile a canne mozze che è appartenuto al mio bis-nonno (evidentemente il dettaglio è importante), e se solo il governo provasse a portarci via le armi, scateneremmo una guerra civile”. (C’è più di una semplice metafora, in questa frase, in quanto i nostalgici del Sud fondamentalista cercano ancora la rivincìta della guerra civile vera e propria, persa contro un federalismo che non hanno mai accettato fino in fondo). Gli si accoda un veterano dell’associazione, Claude Willougby (98 anni), che dichiara: “Ho già il quadro di fronte a me (è il peso degli anni che lo rende veggente): se venisse modificato il II emendamento i criminali terrebbero le loro armi, mentre i cittadini perbene rimarrebbero indifesi”.
Quindi il caro Bush, specie nella nuova veste di War-President, può dormire sonni tranquilli. Anche quest’anno potrà contare sulla protezione di quattro milioni di body-guard armati fino ai denti (e non in senso metaforico). Se poi a qualcuno dovesse scappare di ammazzare un qualche pedone alla fermata dell’autobus, o di massacrare una mezza dozzina di scolari innocenti, non c’è problema; qualche mussulmano da incolpare lo si trova sempre.
Fabio de Nardis
(* Columbine è la scuola dove cinque anni fa due esaltati sedicenni, infarciti di pseudo-filosofia neo-nazi, uccisero una dozzina di studenti, per poi morire loro stessi nello scontro a fuoco con la polizia).
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