22.05.04 - Se la Francia già era vista con odio, ultimamente, da buona parte degli americani “conservative”, da oggi la dose resterà come minimo triplicata, almeno fino ad elezioni avvenute. La grande colpa dei “French Fries”, secondo i nazionalisti a stelle e strisce, era stata quella di fare da ostacolo “insensato” (però letale) alla missione comune in Iraq, bloccando sul nascere qualunque risoluzione ONU che non prevedesse un controllo militare dell’ONU stessa (davvero, che stupidi ‘sti francesi). E ieri al danno si è aggiunta anche la beffa, con la giuria del Festival di Cannes che ha osato premiare addirittura con la Palma d’Oro l’ultimo documentario dell’uomo che agli ultimi Oscar aveva gridato in diretta mondiale “Presidente Bush, vergognati!”
Il premio è giunto veramente inaspettato, anche per i più “in” del circuito cinematografico: era accaduto infatti solo una volta, nel lontano 1956, che fosse un documentario (di Jacques Custeau, l’esploratore sottomarino) a vincere il premio più prestigioso. Sarà soltanto un caso, ovviamente, ma quest’anno a presiedere la giuria...
... c’era Quentin Tarantino, figlioccio adottivo di Oliver Stone, e uomo di punta della banda liberal-estremista (detto dalla destra, ovviamente) della Hollywood di questi anni. Sull’onda del suo documentario Oscar di 4 anni fa, Bowling at Columbine*, Moore ha ora realizzato Farenheit 9/11, un film-inchiesta che cerca di mettere in luce il passato della famiglia Bush, il loro coinvolgimento con i mille traffici di armi e di petrolio, e soprattutto i loro poco noti - ma innegabili - legami con la famiglia bin Laden.
E una delle domande chiave che il film pone, è proprio perchè mai nel pomeriggio dell’11 Settembre, quando tutti gli aeroporti degli Stati Uniti erano rigorosamente chiusi da ore, a Washington sia stato permesso il decollo di un volo privato, che portava in fretta e furia la famiglia bin Laden fuori dagli Stati Uniti.
Pare che il film, a dare un’occhiata trasversale alle recensioni, sia tutt’altro che un capolavoro, ma questo non toglierà ormai ai distributori americani l’obbligo di mostrarlo nelle sale USA con una distribuzione almeno decente: se a questo punto non lo facessero, infatti, potrebbe fare dei danni ancora maggiori.
E poi, non è detto che non risulti essere anche un ottimo affare. E qui scatta forse l’aspetto più “divertente” di tutta la faccenda: mentre fino a ieri Hollywood e Washington si erano tenuti graziosamente per mano (tu fai la guerra, noi facciamo i film di guerra), oggi i due colossi si debbono necessariamente scontrare in maniera diretta.
Ma alla fine deciderà, come sempre, il dio dollaro: se i distributori vedranno che il film marcia, lo pomperanno da tutte le parti, a dispetto di un’amministrazione semore più in rovina, se invece vedono che fatica a prendere quota, lo affosseranno velocemente in una qualche distribuzione di serie C.
Ma in nessun caso lo avranno fatto per fare piacere o dispiacere a Bush. Anche lì, come fra tutti noi mortali, pare che le amicizie durino solo finchè ci sono dei buoni interessi in comune: finiti quelli – è proprio il caso di dirlo – a la guerre comme a la guerre.
Massimo Mazzucco
* A Columbine, cinque anni fa, due studenti autodichiaratisi "nazi-skin" seminarono panico e morte nella scuola locale (morendo loro stessi), e il fatto portò in primo piano il problema del libero commercio di armi da fuoco negli Stati Uniti. A difenderlo, con finanziamenti miliardari, c'è da sempre la NRA, la più potente lobby in assoluto che operi a Washington.
VEDI ANCHE:
NRA. UNA SIGLA DA RICORDARE, NELL’ANNIVERSARIO DI COLUMBINE