Un interessante articolo da
Asia Times, tradotto per luogocomune da Giorgio Mattiuzzo, chiarisce molti aspetti poco noti di una parte del mondo che sta assumendo sempre maggiore importanza nel determinare gli equilibri a livello globale.
L'India regge le sorti dei progetti della NATO
Riassumendo il legame decennale tra Russia e Nato, un analista militare russo ha scritto: “le relazioni tra le due entità sono un matrimonio di convenienza, dove marito e moglie vivono insieme, spesso escono con gli altri in coppia, e mostrano di rispettarsi l'un l'altra in tutti i modi. Allo stesso tempo, dormono in stanze diverse e fanno la spesa separatamente. Ogni parte insegue innanzitutto il proprio interesse e, sebbene la coppia sia formalmente sposata, non si possono definire una vera famiglia”. [1]
Il ritratto di un matrimonio combinato non disturba eccessivamente gli indiani. Ma sarebbe un saggio pensiero per Delhi considerare quanto incredibilemente breve si sia dimostrato il flirt della Russia con la Nato quando si è scontrato con la realtà dei fatti.
Mentre la Nato intensifica il corteggiamento dell'India, Delhi dovrà pensare a quale genere di relazione desidera avere. Non sorprende che, quando il Ministro degli Esteri indiano Pranab Mukherjee e il segretario generale della Nato Jaap de Hoof Scheffer si sono incontrati a New York il 28 settembre, entrambe le parti abbiano scelto di mantere lo storico incontro di 45 minuti di basso profilo.
Washington sta sinceramente cercando una cooperazione tra Nato ed India. Mentre la Nato si sta riorganizzando per nuove missioni in Africa e Asia meridionale, ... ... mentre avanza in Medio Oriente verso l'Oceano Indiano in cerca di cooperazione globale (attualmente conta 20 alleanze), l'India inevitabilmente rientra in questo piano. Questo è divenuto assolutamente evidente il mese scorso.
Esercitazioni Nato nell'Oceano Indiano
C'era qualcosa di molto intenso nella storica visita della forza navale Nato nell'Oceano Indiano, il mese scorso. La missione della Nato comprendeva navi di sei nazioni membre, che sono salpate dall'Europa il 30 giugno. [...]
Hanno partecipato alla missione le navi di Portogallo, Paesi Bassi, Germania, Danimarca, Canada e Stati Uniti, che formano il cosiddetto
Standing Naval Maritime Group[1], uno dei quattro dell'alleanza Atlantica. Dopo aver fatto scalo a Città del Capo, le navi sono entrate nell'Oceano Indiano la prima settimana di settembre, hanno condotto esercitazioni al largo delle coste della Somalia e sono arrivate alle Seychelles per uno scalo di quattro giorni tra il 14 e il 18 settembre. [...]
Un comunicato della Nato ha riportato che il dispiegamento nell'Oceano Indiano mirava a “dimostrare la continua capacità di risposta dell'alleanza alle emergenti situazioni di crisi su scala globale ed a incoraggiare stretti legami con le forze navali della regione e con altre organizzazioni marittime”. Scheffer ha detto che “la sicurezza marittima, fornendo una rotta sicura alle spedizioni e supportando un approccio internazionale a protezione ai rifornimenti di energia è priorità massima per la Nato”.
[...]
L'Africa chiama
Le cosiddette sfide globali sono, in un modo o nell'altro, evidenti in molte delle nazioni della regione dell'Oceano Indiano che, quindi, diviene un teatro della massima importanza per l'alleanza. Ma questo non è il quadro completo.
Il
leitmotif della rinnovata lotta per l'Africa da parte delle potenze occidentali è giustificato in larga parte dalla crescente sfida cinese al dominio occidentale sull'Africa e dalla necessità di proteggere il petrolio. Quasi il 15% percento delle importanzioni americane di petrolio vengono dall'Africa.
Il futuro ruolo della Nato nell'Oceano Indiano fa parte di una ben pianificata strategia occidentale. La missione navale nell'Oceano Indiano è coincisa con un'altra importante iniziativa di Washington. Lo
Africa Command (Africom) dell'esercito Usa, di recente creazione, riflettendo il valore strategico di lungo termine dell'Africa, è pronto a cominciare le operazioni in ottobre.
Il nuovo comandante dell'Africom, il generale William E. “Kip” Ward ha messo in evidenza la “necessità di una stretta coordinazione” con la Nato. Ed infatti, sin dal luglio 2005, la Nato ha fornito il trasporto aereo per le forze di
peacekeeping in Darfur. Ma Ward ha anticipato un più profondo e molto ampio coinvolgimento della Nato in Africa.
La scorsa settimana ha detto che “l'Africom potrebbe assistere gli sforzi della Nato sul continente africano assicurando stretta coordinazione di contributi e capacità americani alle operazioni e all'addestramento Nato. La Nato è la sola ad essere adatta a permettere l'accesso dell'Africom agli interessi europei ed alle potenzialità ed all'esperienza sul continente africano [...]
I compiti principali dell'Africom sono importanti. Secondo le parole di un ufficiale di alto grado Usa, non si tratta di “cercare militanti in aeree senza legge o con governi deboli” o di “inseguire i terroristi per l'Africa”; piuttosto, essi includono tra le altre cose “la conduzione di operazioni a livello continentale” e “se necessario, la conduzione di operazioni militari”.
E' siginificativo che il 20 settembre Washington abbia spinto per una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu riguardo all'Afghanistan con un nuovo elemento – la componente di intercettazione marittima all'interno dell'operazione
Endurig Freedom della coalizione a guida Usa.
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Il nuovo provvedimento da effettivamente alla coalizione il diritto di intercettare e abbordare imbarcazioni sospettate di portare armi o rinforzi per i gruppi terroristi che operano nell'area al confine tra Pakistan e Afghanistan. Ciò serve allo scopo di legittimare le future attività marittime della Nato nell'Oceano Indiano e nel Mar Arabico – un minaccioso sviluppo sullo sfondo della crisi Usa-Iran.
La Nato nel Pacifico asiatico
Allo stesso tempo, il
Mediterranean Dialogue (1995) e lo
Istanbul Cooperation Initiative o ICI (2004) hanno già portato l'alleanza dal Mediterraneo orientale alla regione del Golfo Persico. La presenza della Nato nel Golfo Persico si è stabilizzata quando l'Arabia Saudita è divenuta un partner dell'ICI in gennaio. L'alleanza ora è pronta a prendere in considerazione un collegamento ufficiale con il
Gulf Cooperation Council, che comprende Barein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirai Arabi Uniti.
Al confronto, la regione dell'Oceano Indiano rimane un “vuoto” per la Nato, anche se ha già fatto progressi nell'aerea del Pacifico asiatico. Ovviamente la Nato da a intendere che la questione non è al punto in cui può o dovrebbe essere, ma indica i modi per permettere l'alleanza di agire ovunque i suoi interessi di sicurezza collettiva siano in gioco. Insiste nell'affermare che non “si sta spingendo in Asia o nella regione del Pacifico”, ma nazioni come il Giappone, l'Australia, la Nuova Zelanda e la Corea del Sud hanno manifestato interesse nel cooperare con la Nato, e l'alleanza li ha accolti con favore.
A differenza che con i partner del Golfo e del Medio Oriente, che sono tutti regimi autoritari, l'alleanza si fa vanto di condividere “valori comuni” con i suoi partner asiatici. Qui il ritornello della Nato è “valori comuni e minacce alla sicurezza comuni”. E' facile vedere che tale esclusività è intesa a tener fuori la Cina.
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Dal punto di vista del Giappone un programma di sicurezza congiunto con la Nato includerebbe la non proliferazione nucleare in Asia (Corea del Nord e Myanmar), prevenire un conflitto tra la Cina e Taiwan e bilanciare la
Shanghai Cooperation Organization, nella quale Cina e Russa giocano un ruolo principale. Coinvolgere la Nato nei problemi della sicurezza dell'Asia nord-orientale e assicurarsi un deterrente credibile contro la Cina attraverso una più intensa collaborazione con la Nato costituirebbe l'obiettivo ottimale del Giappone.
La collaborazione del Giappone con la Nato si muove in parallelo ad altre due cooperazioni con gli Usa e con l'Australia. In marzo il Giappone e l'Australia hanno siglato uno storico patto di difesa con l'Australia. Tokyo e Washington hanno già iniziato ad installare uno scudo missilistico in Giappone. In aprile, ufficiali di Giappone, Usa e Australia si sono accordati per studiare un piano per un sistema missilistico congiunto. I progressi su questo fronte sono stati rapidi.
Allo stesso tempo, la Nato ha anche accettato la visione secondo cui il sistema missilistico a lungo raggio degli Usa non intacca l'equilibrio strategico. Più importante, la Nato è aperta all'idea di “legare” al sistema Usa i propri sistemi missilistici di difesa nazionali a corto e medio raggio.
Benché lo scudo missilistico sia stato progettato come un sistema di difesa, la Cina non la vede così. Secondo lo studioso cinese Jin Limbo, dell'Istituto di Studi Internazionali della Cina, “noi [la Cina] non possiamo considerarlo un sistema difensivo solo perché si chiama così. Sin dall'antichità sia le lance che gli scudi sono considerati delle armi nella cultura cinese – perché gli scudi possono rendere le lance inutili.” La Cina vede lo scudo missilistico dell'alleanza Usa-Giappone-Australia come un sistema per frenarla.
Attraversare l'Oceano Indiano
Per qualsiasi sistema di sicurezza nella sponda asiatica del pacifico (Usa, Giappone e Australia), l'India rimane l'obiettivo da cogliere. Ugualmente, senza l'India, le alleanze della Nato nella regione dell'Oceano Indiano rimarranno sostanzialmente deboli. Abe, durante la sua recente visita in India, ha invitato l'India a entrare a far parte della coalizione delle democrazie asiatiche.
Così l'India ha partecipato alle esercitazioni navali con Usa, Giappone ed Australia il mese scorso, nella Baia del Bengala. Chiamata esercitazione “Malabar”, aveva uno scopo simile a “Talisman Seber” di giugno, tra Usa e Australia (con il Giappone come osservatore), che ha coinvolto 20000 militari americani e 7500 autraliani, supportati da una portaerei, 10 navi americane, 20 australiane e 125 aerei.
Sia “Malabar” che “Talisman Saber” hanno mantenuto la facciata di esercitazioni contro gli atti di pirateria, di traffico di droga e per coordinare i soccorsi in caso di disastro e per intenti umanitari. Ma sono state facilmente viste come il modello di un sistema di difesa collettivo in via di formazione, sotto la guida degli Usa.
Il Giappone sta premendo perché l'India entri in una cornice di cooperazione difensiva con esso. [...]
Contemporaneamente, gli Usa stanno premendo anche per una “interoperabilità” delle proprie forze armate con quelle dell'India. Ingenti sforzi in questa direzione sono evidenti da entrambe le parti. Negli ultimi cinque anni, per esempio, più della metà delle esercitazioni militari tenute dall'India con forze armate straniere sono state svolte con gli Usa. Ovviamente, questa “interoperabilità” con le forze armate Usa consentirebbe all'India di fare parte dei piani americani per un sistema missilistico di difesa.
La Nato corteggia l'India
In questo modo un modello si sta sviluppando. Per quanto concerne Delhi, la questione espone il problema dell'India di non essere in grado di affrontare la fenomenale ascesa della Cina. I colloqui a Tokyo e Canberra secondo cui l'emergere di una situazione “unipolare” sullo scacchiere asiatico non è desiderabile trovano facilmente risonanza a Delhi.
L'incontro tra il ministro degli esteri indiano e il segretario generale della Nato a New York la scorsa settimana dovrebbe essere collocato su uno sfondo più ampio rispetto al limitato quadro dell'Afghanistan. La consultazione Nato-India è finora rimasta non pubblicizzata a livello ufficiale. Tradizionalmente Delhi non ragiona secondo la mentalità dei blocchi contrapposti e l'opinione pubblica indiana in larga parte è contraria a questa visione.
Ogni aperto avvicinamento ad una forma di sicurezza collettiva Asia-Nato inevitabilmente influenzerà le relazioni dell'India con la Cina (l'India condivide la difficile situazione dell'Australia in questo). Quindi l'India deve usare la bacchetta magica nel prossimo futuro. In un importante discorso durante una visita in Tailandia il 14 settembre, Mukherjee ha evidenziato che “la cooperazione indo-cinese è una variabile fondamentale per lo sviluppo e la pace regionali e globali, e per l'ascesa dell'Asia come centro politico ed economico del nuovo ordine internazionale.”
Tre giorni dopo, rivolgendosi alla comunità strategica a Seul, il ministro ha sottolineato l'importanza di una “economia asiatica realmente integrata, che si svilupperà a partire dal potenziale economico di India e Cina”. Esprimendo sicurezza sul fatto che “il partenariato strategico e cooperativo dell'India con la Cina maturerà e crescerà stabilmente” e ha aggiunto che “la sensibilità verso le mutue aspirazioni è la base per costruire fiducia reciproca. Ci sono spazio e opportunità sufficienti per entrambi di crescere e svilupparsi.”
La sfida per la diplomazia indiana sarà di interpretare credibilmente le implicazioni della sua “partnership strategica” con gli Usa. Sta crescendo e sta man mano prendendo piede la percezione che l'India si stia schierando all'interno di un sistema di sicurezza asiatico guidato dagli Usa. Chiaramente la richiesta del segretario generale della Nato di avvicinarsi al ministro degli esteri indiano non è stata fatta senza l'assenso di Washington.
M.K. Bhadrakumar ha svolto la sua carriera diplomatica nell'Indian Foreign Service per oltre 29 anni; è stato ambasciatore dell'India in Uzbekistan (1995-1998) e in Turchia (1998-2001).
(Traduzione di Giorgio Mattiuzzo per luogocomune.net)
Note alla traduzione:
1. Versione originale:
India holds key in NATO's world view , Asia Times, 6/102007.
2.
Standing NATO Response Force Maritime Group 1: lo SNMG1 è una delle forze di reazione rapida della Nato, in precedenza noto come Standing Naval Force Atlantic (STANAVFORLANT).