Marco Cedolin
Si chiama “Lay Off” ("licenziamento") ed è il nuovo videogioco realizzato dalla Tilfactor in collaborazione con la New York University, con lo scopo di spiegare le dinamiche sociali attraverso l’esperienza videoludica. Un proposito molto ambizioso, perseguito dai programmatori in maniera alquanto parcellare, dal momento che nel contesto ludico i “lavoratori” vengono rappresentati unicamente sotto forma di un’ inutile zavorra di cui occorre disfarsi al più presto con ogni mezzo, senza che la loro presenza costituisca alcun valore.
Le regole del gioco sono molto semplici (a dispetto di quanto risultino complesse nella realtà le dinamiche sociali che i soloni della N.Y. University intenderebbero spiegare) il divertimento assicurato solo nel breve periodo, la “morale didattica” assai impalpabile, dal momento che i realizzatori propongono come panacea alla crisi l’equazione più licenziamenti uguale più profitti, senza preoccuparsi di
cosa accadrà quando l’impresa non avrà più dipendenti.
Il giocatore, non appena accomodatosi dinanzi alla console, si trasforma come per incanto da risorsa umana in “tagliatore di teste” sotto forma dell’amministratore delegato di una corporation che deve recuperare il profitto perduto, nell’unica maniera in cui è possibile recuperarlo (finchè dura) all’interno di una società profondamente malata come quella contemporanea, cioè
licenziando i dipendenti in maniera implacabile. Con la malcelata soddisfazione determinata dalla metamorfosi (sia pur virtuale) da vittima ad aguzzino, ... ... il giocatore dovrà fare di tutto per riuscire ad allineare i lavoratori sotto forma d’icona nella maniera corretta, un po’come accade nelle slot machines, al fine di poterli eliminare, recuperando la possibilità di
ottenere finanziamenti dalle banche.
Per rendere maggiormente realistico (ed istruttivo) il contesto, sullo schermo vengono continuamente aggiornati dati relativi alla crisi economica, con dovizia di particolari riguardanti i finanziamenti pubblici destinati ad evitare
il fallimento di
quelle banche ed assicurazioni presso le quali s’intende (secondo lo scopo del gioco) recuperare credito.
Naturalmente (per bontà dei programmatori) i lavoratori, a differenza degli zombie di Resident Evil, vengono rappresentati come esseri umani, che posseggono una storia di vita ed hanno mogli, mariti, figli pronti a
piangerne le sorti. Senza dubbio un tocco di delicatezza che li pone un gradino al di sopra dei poliziotti che vengono massacrati in GTA o ai mafiosi di Londra che cadono come mosche in the Getaway. Una volta licenziati finiscono in coda all’ufficio di collocamento, dove saranno destinati ad attendere una nuova occupazione per un lasso di tempo che rasenterà l’eternità, dal momento che (particolare evidentemente sfuggito agli universitari che studiano le dinamiche sociali) tutte le altre corporation non potrebbero assumerli essendo anch’esse impegnate a licenziare.
Ci sono anche i banchieri ed i finanzieri, quelli che dopo avere creato la crisi ora beneficiano dei finanziamenti pubblici, ma il giocatore non può licenziarli (ah le dinamiche sociali) e deve accontentarsi di ruotarne l’icona, senza che possano perdere l’occupazione.
Lay Off non sembra in verità un videogioco destinato ad entrare nella storia, dimostrandosi povero di fantasia e scarsamente efficace nella spiegazione di dinamiche sociali che gli stessi ideatori dimostrano di non avere compreso fino in fondo. In compenso rappresenta una cartina di tornasole utile per apprezzare il grado di
degenerazione e disumanizzazione ormai raggiunto dalla nostra società e soprattutto (visti i risultati del lavoro) ci lascia con la speranza che i programmatori della Tilfactor e gli esperti della New York University possano raggiungere presto le icone dei dipendenti di Lay Off e fare loro a lungo compagnia all’interno dell’ufficio di collocamento.
Marco Cedolin
http://ilcorrosivo.blogspot.com/
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