Il film “L’Altra Dallas” analizza tutti i fatti relativi all’assassinio di Robert Kennedy, avvenuto il 6 giugno 1968 nelle cucine dell’Hotel Ambassador di Los Angeles, e conferma come il caso sia tutt’altro che risolto: nonostante vi siano almeno venti persone che hanno visto Sirhan Sirhan sparare a Kennedy, infatti, sono emersi nel corso del tempo svariati elementi che tendono decisamente a scagionarlo.
Quello più importante è il numero totale di colpi sparati: furono 11, mentre la pistola di Sirhan poteva contenerne soltanto 8. Questo fatto basterebbe, da solo, a confermare la presenza di un secondo sparatore nelle cucine dell’albergo, e quindi di un complotto per uccidere Kennedy. Una registrazione audio, analizzata di recente da diversi laboratori specializzati, conferma che furono almeno dieci i colpi sparati quella sera.
L’autopsia e le testimonianze inoltre suggeriscono che nessuno dei colpi mortali possa essere partito dalla pistola di Sirhan, il cui ruolo sarebbe stato invece quello di attrarre su di sè l’attenzione dei presenti, mentre il vero assassino – un professionista assoldato per l’occasione - agiva indisturbato alle spalle di Kennedy.
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Il film è accompagnato da una raccolta di materiali storici, fra cui un'intervista inedita di Sirhan dalla sua prigione in California, e alcuni dei più importanti discorsi fatti da Robert Kennedy ... ... nella sua breve carriera politica. Quello che segue è uno dei più noti ed efficaci:
Seguono alcuni estratti degli altri discorsi di RFK che compaiono nei “Contenuti Speciali” del DVD.
Dal discorso di CAPE-TOWN, Sud Africa - 6 giugno 1966
Negli anni bui dell’apartheid Robert Kennedy improvvisa una visita in Sud Africa, mette in totale imbarazzo l’establishment politico locale, e accende nel popolo dei neri una fiamma di speranza destinata a durare fino alla conquista dell’indipendenza nazionale.
ESTRATTO:
”Al cuore della libertà individuale sta la libertà di parola, il diritto di esprimere e comunicare le proprie idee, di differenziarsi dai rozzi animali della foresta; il diritto di richiamare i governanti ai loro doveri e ai loro obblighi; e soprattutto il diritto di affermare la nostra appartenenza a un corpo politico - la società – fatta dalle persone che condividono la nostra terra, le nostre tradizioni ed il futuro dei nostri figli.
Alla pari con la libertà di parola sta il diritto di essere ascoltati, di avere voce nelle decisioni dei governi che determinano la vita degli uomini. Tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta - la famiglia, il lavoro, l’educazione, un luogo in cui allevare i propri figli e riposare la propria mente - tutto ciò dipende dalle decisioni dei governi, e tutto ciò può essere spazzato via in un attimo da un governo che non dia ascolto alle richieste della sua gente. E io parlo di tutta la gente.
I diritti fondamentali dell’uomo possono essere protetti e preservati solo laddove vi sia un governo che risponda non solo ai ricchi, non solo a quelli di una certa religione, non solo a quelli di una certa razza, ma a tutti gli uomini della società.”
Dal discorso di CLEVELAND - 5 Aprile 1968
Il giorno dopo l’assassinio di Martin Luther King, Kennedy pronuncia a Cleveland, in Ohio, il suo più famoso discorso contro la violenza.
ESTRATTO:
“Ogni volta che la vita di un americano viene spezzata da un altro americano, ogni volta che viene lacerato quel tessuto vitale che un altro uomo ha così pazientemente e dolorosamente intrecciato, per se stesso e per i suoi figli, l’intera nazione ne viene umiliata.
Eppure noi tolleriamo un livello sempre crescente di violenza, che ignora sia la nostra comune umanità che le nostre pretese di civiltà. Accettiamo tranquillamente resoconti giornalistici di civili che vengono massacrati in terre lontane. Glorifichiamo l’assassinio sugli schermi del cinema e della TV, e lo chiamiamo “intrattenimento”. Troppo spesso giustifichiamo coloro che vogliono costruire le proprie vite sui sogni infranti degli altri.
Vi sono americani che vanno all’estero a predicare la non-violenza, ma poi in casa nostra si dimenticano di metterla in pratica. Vi sono coloro che accusano altri di incitare le rivolte, quando in realtà sono loro a fomentarle, con il loro comportamento.
C’è anche un altro tipo di violenza, molto più lenta ma devastante quanto un colpo di fucile o una bomba nella notte. E’ la violenza delle istituzioni; l’indifferenza, l’inanità, la lenta apatia. Questa violenza colpisce i più poveri, e avvelena le relazioni fra gli uomini che hanno una pelle di diverso colore. È nella lenta distruzione di un bambino per fame, nelle scuole senza libri, e nelle case senza riscaldamento d’inverno.
Quando insegni ad un uomo a odiare e temere suo fratello, quando insegni che l’altro è inferiore a te per il colore della sua pelle o per quello in cui crede, quando insegni che quelli diversi da te minacciano la tua libertà, il tuo lavoro o la tua famiglia, insegni anche ad affrontare gli altri non come concittadini ma come nemici, e ad essere accolto da loro non con cooperazione ma con sopraffazione, ad essere soggiogato e reso schiavo.
Alla fine impariamo a guardare ai fratelli come estranei, come persone con cui condividiamo le strade ma non la comunità; come persone legate a noi dal luogo in cui vivono, ma non da uno sforzo in comune. Impariamo a condividere soltanto una paura comune, un comune desiderio di distanziarci l’uno dall’altro, una spinta comune a rispondere alle differenze con la violenza.
Dobbiamo riconoscere la vanità delle false differenze fra gli uomini, e imparare a crescere nello sforzo di far crescere gli altri. Dobbiamo riconoscere di fronte a noi stessi che il futuro dei nostri figli non può essere costruito sulle disgrazie degli altri. Dobbiamo riconoscere che questa breve vita non potrà mai venir nobilitata nè arricchita dall’odio o dalla vendetta. La nostra vita su questo pianeta è troppo breve, e il lavoro da fare è troppo grande, per permettere che questo odio continui a diffondersi nel nostro paese.
Di certo non si può cancellare il problema con un semplice programma, o con una legge.
Forse però potremo ricordarci, almeno ogni tanto, che coloro che vivono con noi sono nostri fratelli, e che condividono con noi lo stesso breve istante di vita; che essi desiderano, esattamente come noi, solo la possibilità di vivere in pieno la loro vita, raggiungendo il massimo delle proprie soddisfazioni e delle proprie finalità.”
Dal discorso di S. Josè, California – 3 giugno 1968
La decenza umana è il cuore del problema: è indecente che un uomo si spezzi le mani sotto il sole tutto il giorno, senza avere la possibilità di vedere un giorno suo figlio frequentare un’università. È indecente che un uomo che vive nei quartieri poveri di New York, di Chicago o di Los Angeles, debba consegnare la propria vita - l’unica vita di cui mai disporrà -nelle mani della disperazione e della disfatta.
Ed è indecente che noi mandiamo i nostri giovani e a morire in uno stagno dall’altra parte del mondo. Chi di loro avrebbe potuto scrivere un poema? Chi di loro avrebbe potuto trovare la cura per il cancro? Chi di loro avrebbe potuto diventare un campione sportivo? Chi di loro avrebbe potuto regalarci la magia di una risata dal palcoscenico, avrebbe potuto costruire un ponte, oppure un’università? Chi di loro avrebbe potuto insegnare a leggere a un bambino? Ecco perchè dobbiamo riportare a casa i nostri uomini dal Vietnam.
Il 5 Giugno 1968, nella sua stanza dell’Ambassador, Kennedy concede una intervista TV in cui prosegue il discorso sul VIETNAM:
ESTRATTO:
La guerra in Vietnam ci pone delle importanti questioni di ordine morale. Che diritto abbiamo, noi in America, di andare ad uccidere decine di migliaia di persone, di rendere milioni di persone dei senzatetto, di uccidere donne e bambini come stiamo facendo?
Ogni anno nel Vietnam del Sud rimangono senza gambe e senza braccia 35.000 persone, e altri 50.000 civili perdono la vita. Migliaia di bambini vengono uccisi in seguito alle nostre azioni militari. Che diritto abbiamo, negli Stati Uniti, di compiere queste azioni, solo perché vorremmo proteggerci, o per evitare un problema maggiore per noi?
Io mi domando seriamente se abbiamo o meno quel diritto. Dovremmo poterlo sentire, qui negli Stati Uniti, cosa avviene quando lanciamo il napalm, un villaggio viene distrutto, e i civili vengono uccisi.
Poche ore dopo questa intervista Kennedy fu ucciso.
Massimo Mazzucco
QUI potete vedere una sintesi del film (25 minuti), oppure ordinare il DVD.
Approfitto per comunicare che questo sabato, 21 giugno, il film “Il Nuovo Secolo Americano” sarà presentato al Festival di Taormina.