di Enrico Sabatino
A otto anni dagli accordi di Kumanovo che hanno messo fine ai 78 giorni di bombardamenti NATO sulla Serbia, si sta avvicinando il momento in cui la comunità internazionale dovrà esprimersi sullo status definitivo del Kosovo. Dopo tattiche dilatorie e continui temporeggiamenti per procrastinare l’ora X, la clessidra ormai non può essere capovolta per l’ennesima volta.
Nei mesi scorsi l’inviato dell’ONU per lo status finale del Kosovo, il finlandese Martti Ahtisaari, ha presentato il suo piano al Consiglio di Sicurezza dell’ONU dopo averlo in parte emendato a causa del parere negativo serbo, ma soprattutto dopo aver atteso l’esito delle elezioni politiche serbe del gennaio scorso, vinte sostanzialmente dagli ultranazionalisti del Partito Radicale, che esclusi dal governo hanno però ottenuto la presidenza del Parlamento con Tomislav Nikolic - il braccio destro di Vojislav Seselj, ora sotto processo all’Aja per crimini di guerra.
Il piano Ahtisaari basa le sue conclusioni sul fatto che un ritorno allo status quo ante 1999 non è possibile, e che l’unica opzione concreta rimane quella dell’indipendenza “sotto controllo della comunità internazionale”; prevede anche che il Kosovo possa avere una sua bandiera, un suo inno nazionale, possa inviare ambasciatori, avere una sua costituzione, una sua polizia e un servizio d’informazione, ed essere membro di organizzazioni internazionali.
Per compensazione, Ahtisaari ha inserito la protezione delle minoranze etniche kosovare, in primis quella serba. A loro sarà garantita la protezione fisica e dei luoghi di culto, e la comunità internazionale s’impegna a tutelare i serbi ... ... con “un alto grado di controllo sui propri affari, con la concessione di sei nuove municipalità governate da serbi e una maggiore partecipazione nell'istruzione superiore e nella sanità”.
Il piano prevede inoltre che la missione ONU in Kosovo venga sostituita da una massiccia missione UE che si occuperà di polizia e giustizia, ed una più piccola, guidata dal cosiddetto Rappresentante Civile Internazionale, che avrà poteri ampi nell'intervenire nella vita politica kosovara, sul modello dell'Alto Rappresentante in Bosnia, con diritto di veto sugli atti che vengano meno al divieto di congiungersi ad altri Paesi – come per esempio le altre entità albanesi – all’obbligo di proteggere la minoranza serba in Kosovo e darle adeguati diritti e all’obbligo di proteggere i circa 40 siti della chiesa serbo-ortodossa che restano nel territorio kosovaro. Sono questi divieti ed obblighi che limitano la sovranità di un Kosovo che, per il resto, agirebbe come un paese indipendente.
Ma gli accordi di Kumanovo prevedevano invece la restituzione del Kosovo alla Serbia sei anni dopo. E la definizione dello status finale non può non tener conto del documento che ha concluso la guerra del 1999, la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 10 Giugno 1999, di cui fanno parte integrante gli accordi tecnico-militari di Kumanovo.
Nella Risoluzione infatti vengono confermate esplicitamente la “sovranità e integrità territoriale della Repubblica Federale di Jugoslavia” e “una sostanziale autonomia del Kosovo”.
Anche le conclusioni del G8 del 6 Maggio 1999 prevedevano ugualmente l’integrità territoriale della Jugoslavia, che all’epoca era ancora una Federazione tra Serbia e Montenegro.
La guerra infatti non avrebbe potuto essere conclusa il 10 giugno senza questo riconoscimento dell’integrità del paese.
Il 26 Marzo scorso però il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha rimesso al Consiglio di Sicurezza il piano Ahtisaari sul futuro status del Kosovo.
Ma poiché l'attuale status legale internazionale del Kosovo è sancito dalla Risoluzione 1244, serve una nuova risoluzione per porre termine al mandato Onu e trasferire i poteri al Rappresentante Civile.
Ed è a questo punto che non c’è accordo su come procedere, con la Russia che insiste per una prosecuzione delle trattative onde evitare una soluzione imposta o non condivisa.
Lo scenario che però si aprirebbe può dare linfa anche all’eventuale ipotesi di un riconoscimento unilaterale.
E infatti Bush nei giorni scorsi lo ha fatto capire chiaramente durante la sue visite in Albania e Bulgaria affermando che “Il Kosovo deve essere indipendente e il momento per far progredire il piano Ahtisaari è adesso; a un certo punto, presto o tardi, bisognerà dire basta”.
Aggiungendo poi il contentino da dare alla Serbia in cambio del suo consenso all’indipendenza del Kosovo, e cioè l’eventuale ingresso nell’UE e nella NATO.
Ovviamente le parole di Bush sul Kosovo non sono piaciute affatto al premier serbo Kostunica che ha affermato “I serbi sono disgustati dall'impegno del presidente degli Stati Uniti perché sia concessa al più presto l'indipendenza al Kosovo e mai perdoneranno gli americani se ciò accadrà. Gli Stati Uniti hanno il diritto di sostenere alcuni Stati in base ai loro interessi, ma non regalando loro qualcosa che non gli appartiene. Il bombardamento americano della Serbia è già stato un grosso errore per il secolo passato e per quello presente e il sostegno unilaterale all'indipendenza del Kosovo sarà un nuovo errore, un ulteriore atto di violenza ingiustificata, che non sarà dimenticato dal popolo serbo. Se l'America vuole ignorare il diritto internazionale deve sapere che la Serbia respingerà qualsiasi forma di indipendenza per la sua provincia meridionale''.
Kostunica poi non ha escluso la possibilità di rompere i rapporti diplomatici con quei Paesi che dovessero riconoscere un Kosovo indipendente e sovrano.
Anche la Commissione UE, che sostiene il Piano Ahtisaari, è contraria a riconoscimenti unilaterali e ha ribadito che la decisione sullo status finale del Kosovo deve essere presa dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Quindi i Paesi occidentali sono nel loro insieme favorevoli all’indipendenza del Kosovo ma la Russia è nettamente contraria e si oppone anche ad una nuova Risoluzione ONU a cui porrebbe comunque il suo veto, dal momento che continua a ripetere che non sosterrà nulla che non sia il risultato di un accordo tra serbi e albanesi, che però sembra alquanto improbabile.
Ma la politica russa sulla questione del futuro status sembra mirare soprattutto a ritardare i tempi della Risoluzione per ottenere maggior potere contrattuale in altre trattative – come ad esempio quelle sullo scudo stellare e sull’ingresso della Russia nel WTO.
Comunque, un’ipotesi alternativa si sta facendo avanti ed è quella della spartizione, con la regione di Metohija che rimarrebbe alla Serbia nel caso del rifiuto totale del piano Ahtisaari.
Il Kosovo, oltre allo storico valore simbolico per i serbi rappresentato dal ricordo della battaglia di Kosovo Polje del 1389 in cui i serbi furono massacrati dai turchi, costituisce territorialmente il quindici per cento circa della Serbia.
La zona che la Serbia potrebbe riuscire a sottrarre all’indipendenza del Kosovo è circa meno di un quarto, ma la maggior parte della minoranza serba in tutta la provincia non si trova in questa zona perché vive soprattutto nelle varie enclave sparse nel territorio. Inoltre esiste la questione delle miniere di Mitrovica che - sebbene al momento obsolete, improduttive e inquinanti - rappresentano tuttavia una risorsa fondamentale per un futuro sviluppo.
E a ciò si aggiunge anche il problema dello status delle chiese e dei conventi serbo-ortodossi a sud del fiume Ibar che dovrebbero godere di una sorta di extra-territorialità.
Una spartizione dunque creerebbe certamente altre difficoltà, ma forse più superabili rispetto alle conseguenze di una ‘indipendenza condizionata’ che costringerebbe a una situazione di convivenza impossibile ed esplosiva.
Il Kosovo rappresenta perciò un test cruciale per la politica estera e di sicurezza dell’UE e per i futuri rapporti tra Occidente e Russia; ma, oltre al futuro della Serbia e del Kosovo, anche l’impatto indiretto della scelta che il Consiglio di Sicurezza ha di fronte non è indifferente.
Infatti se passerà “l’indipendenza controllata” o se, ancor peggio, si arriverà a riconoscimenti unilaterali di “un’indipendenza incontrollata”, potrebbe verificarsi un effetto domino per i serbi di Bosnia, per gli albanesi della Macedonia, per l’Abkhazia, l’Ossezia del Sud, la Transinistria, per i curdi e per altre aree calde nel mondo. Tutti si sentiranno autorizzati a insistere nelle loro mire secessioniste.
Inoltre non è affatto scontato che la Serbia accetterà passivamente l’indipendenza de facto del Kosovo. Un mese fa circa un gruppo di nazionalisti radicali serbi ha annunciato a Krusevac, nel sud della Serbia, la creazione di una milizia popolare di volontari pronti a unirsi all’esercito e alla polizia per combattere in Kosovo.
Nessuno in Serbia ha dimenticato questi otto anni di contropulizia etnica, con 200.000 serbi e altrettanti rom in fuga nel terrore, 1800 persone uccise (serbi, rom e albanesi moderati), altrettanti desaparecidos e 150 monasteri ortodossi distrutti.
Per non parlare poi di chi governa da otto anni in Kosovo, in mano a ex criminali di guerra e svariati clan mafiosi dediti ad ogni tipo di losco traffico.
L’ora X sta scoccando e qualsiasi decisione definitiva comporterà gravi conseguenze nell’area e non solo. A cominciare proprio dal Kosovo, che è già una mina pronta ad esplodere.
Enrico Sabatino