[Video in coda all'articolo: "Giovanni Galloni svela importanti retroscena sulle BR"]
La macchina della bugia a volte si muove in maniera brutale e grossolana, buttandoti in faccia la menzogna con una tale spudoratezza che la maggior parte di noi non se ne accorge proprio per quello. Altre volte invece agisce in maniera subdola e silenziosa, inoculandosi lentamente nel sangue della popolazione, fino ad avvelenarla senza farsene accorgere. In un caso o nell'altro, il cittadino l'avrà bevuta, e da quel punto in poi fare marcia indietro sarà sempre molto difficile.
Quando sentiamo, come accade oggi, che il pubblico dibattito viene così insistentemente indirizzato verso la presunta "infiltrazione" da parte delle BR nel sindacato, nasce forte il sospetto di trovarci di fronte a un meccanismo del secondo tipo.
"Cgil scioccata, rialzare livello guardia", intitola l'Ansa. "Il fatto che ci siano nostri iscritti ci inquieta", conferma il segretario generale Guglielmo Epifani. "Nel corso degli ultimi anni avevamo allentato la guardia, ... ... consideravamo come un retaggio del passato la presenza di terroristi nei posti di lavoro" dice il segretario confederale della stessa Cgil, Nicoletta Rocchi. "Ogni grande organizzazione, ha detto il numero uno della Uilm, …
… Tonino Regazzi, non è immune da rischi di infiltrazione da parte dei terroristi". Eccetera eccetera eccetera. Sembra, da come tutti ne parlano, un dato di fatto.
A me però risulta che per essere iscritti a un sindacato sia necessario essere impiegati (dipendenti) in una di quelle categorie che prevedono appunto la rappresentanza sindacale. Come fa quindi un terrorista ad "infiltrarsi" nel sindacato? O già lavora, e quindi è anche già iscritto a quel sindacato, oppure, se non lavora, cosa fa? Si fa assumere apposta, per poi potersi "infiltrare"? ("Salve, fino a ieri ho vissuto ammazzando cristiani, ma da oggi vorrei fare un pò il metalmeccanico. Mi attira moltissimo l'odore della ferriera. Naturalmente immagino che avrete anche un buon sindacato, vero?")
Se invece lavorano già da tempo, e diventano terroristi dopo, allora sono tanto "infiltrati" nel sindacato quanto lo sia un qualunque cittadino nel bar dove fa colazione ogni mattina.
Nonostante l'evidente paradosso, però, l'uso della parola "infiltrato" è molto importante, e il fatto che si ribatta così insistentemente su questo tema - fin dai tempi di Antona, in realtà - sembra essere tutt'altro che casuale.
In questo modo infatti si ottiene, prima di tutto, una lenta ma inesorabile "sporcatura" dell'immagine del lavoratore, facendo apparire il suo luogo di lavoro (e quindi "la sinistra", per estensione inconscia, in quanto "proletaria") come una specie di terreno di coltura marcio e inospitale, nel quale il "terrorista" troverebbe il suo habitat più naturale.
Ma soprattutto, quando si parla di "infiltrati", si stabilisce automaticamente, all'interno di quel mondo, una linea di confine fra il bene e il male - noi, i sindacalisti, i buoni, da una parte, gli altri, i terroristi, le mele marce della società, dall'altra - che porta a pensare che il problema sia localizzato in quel punto del tessuto sociale, e non altrove.
In altre parole, questo incessante tam-tam mediatico sembra voler spostare il problema dell' "infiltrazione" - che sicuramente da qualche parte esiste - nel luogo e sui soggetti sbagliati, andando a tutto vantaggio di chi non vuole che si veda dove corre la vera linea di demarcazione. Si chiama anche specchietto per le allodole.
Invece di suggerirlo noi, che non siamo qualificati a farlo, lasciamo che sia un personaggio come l'onorevole Galloni, ex-presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, a mostrarci un modo diverso, e forse più realistico, per utilizzare il termine che sembra nascondere la chiave dell'intero "teorema terrorismo":
Altro che "sindacati".
Massimo Mazzucco
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