Insieme alla rabbia nel vedere quello che accade in Palestina, molte persone provano anche un frustrante impulso di "fare qualcosa". Qualunque cosa, anche minima, pur di riuscire in qualche modo ad arrestare la spirale di follia che sta travolgendo sotto i nostri occhi la vita di milioni di persone.
C'è chi, spinto dall'indignazione, pubblica ovunque può le immagini dei bambini palestinesi dilaniati dalle bombe. Altri propongono di mandarle a tutti i giornali, oppure di portarle bene in altro nelle manifestazioni, in modo da "risvegliare" in qualche modo le coscienze intorpidite dei nostri concittadini.
Il problema purtroppo è molto più complesso, e c’è il rischio che questo genere di azioni finisca involontariamente per tornare utile proprio a coloro che hanno tutto l'interesse a mantenere intatta questa spirale.
Per ogni immagine di bambino palestinese dilaniato, infatti, Israele sarà sempre in grado di mostrarne una di un israeliano che ha subito la stessa sorte. Anche se sappiamo che la proporzione è di uno a mille, l'effetto mediatico non è aritmetico, ma cumulativo.
In altre parole, lo spettatore che osserva questo valtzer di sangue quotidiano, non sta certo a tenere i conti ... ... di quanti morti siano da assegnare ad un fronte e quanti all'altro. Riporta semplicemente una sensazione cumulativa di violenza reciproca, e per lui la cosa finisce lì.
E purtroppo questo tipo di "pareggio fuori casa" è proprio il risultato che cerca colui che vuole mantenere intatta la spirale di violenza. Essendo la spirale già in corso, a lui non interessa vincere il confronto mediatico, gli basta non perderlo perchè questa resti intatta.
Anche nell'11 settembre abbiamo osservato lo stesso meccanismo, nel dibattito con i sostenitori della tesi ufficiale. Per loro è più che sufficiente confondere le acque della gente, rintuzzando in qualche modo le accuse dei complottisti, per mantenere lo status quo che sostiene già quella versione.
Per riuscire a sbloccare questo genere di situazioni diventa quindi necessario riportare prima di tutto l'attenzione sul vero cuore del problema, che nel caso di Israele non sono i morti insanguinati, ma le ragioni che permettono di ucciderli.
Come già ho scritto altrove, non fu il fuoco a bruciare migliaia di innocenti nel medioevo, fu l’idea che fossero “eretici” a permettere di farlo. Non furono i fucili dei conquistadores ad uccidere milioni di aborigeni americani, fu l’idea che fossero dei “selvaggi” a permettere di farlo. Non sono state le bombe ad uccidere un milione di iracheni, è l’idea che gli islamici siano tutti "terroristi" a permettere di farlo.
Se quindi mostriamo al collega d’ufficio la foto del bambino palestinese massacrato, dicendo “guarda che schifo”, è molto probabile che lui risponda “si però anche loro non scherzano mica”. Se invece si provasse a porgli, ad esempio, questa semplice domanda: Secondo te, perché gli israeliani hanno diritto di difendersi, pur essendo su una terra occupata, mentre i palestinesi non hanno nemmeno quello, pur essendo a casa loro? è possibile che qualche rotella del meccanismo che lo portava automaticamente a decretare il pareggio possa anche incrinarsi.
Solo a quel punto infatti si accorgerebbe di essere stato ingannato nell’attrarre costantemente la sua attenzione sull’argomento sbagliato.
La stessa cosa si potrebbe dire per un corteo che invece di mostrare le foto dei bambini insanguinati portasse ben in alto sugli striscioni la stessa domanda.
Sia chiaro, nessuno si illude di risolvere la situazione in questo modo, ma se proprio uno deve provarci, si assicuri almeno che il suo sforzo non finisca per tornare utile proprio a coloro che cerca di combattere.
Massimo Mazzucco
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