(Estratto dal film “Il Nuovo Secolo Americano” – 2° capitolo: Il ruolo di G.W.Bush).
George double-U Bush, detto Dubia, se ne va.
Con la sua ultima conferenza stampa, tanto sconcertante quanto prevedibile, il 43° presidente degli Stati Uniti lascia la Casa Bianca nello stesso alone di ambiguità con cui vi era entrato, otto anni fa. L’unica differenza è che allora vedemmo, di questa ambiguità, l’aspetto “positivo”, ovvero la menzogna che entra sorridente nelle stanze del potere, per portare a termine un progetto ben diverso da quello dichiarato. Oggi quel progetto è stato svelato, dopo essere fallito miseramente sotto gli occhi del mondo, e Bush indossa la maschera ambigua di colui che finge in qualche modo che non sia successo nulla di grave, mentre cerca di guadagnare al più presto l’uscita.
Nel frattempo, non ha assolutamente capito quello che è successo.
A sua volta ingannato e manovrato, l’uomo che ha prestato il volto a otto anni di crimine legalizzato ha confermato fino in fondo il suo ruolo di patetico burattino, sia nell’entrata in scena che nell’uscita.
Otto anni fa Bush ci raccontava di un mondo perfetto, libero e giusto, nel quale l’America avrebbe fatto da faro al resto delle nazioni, denunciando così l’immagine di cartapesta che i neocons gli avevano dipinto davanti al volto, per poter contrabbandare sotto quell’immagine ogni loro ladreria.
Dicevano a lui che bisognava portare la democrazia nel mondo, e nel frattempo stipavano le portaerei di bombe all’uranio impoverito.
Parimenti, oggi Bush sembra faticare molto ad accettare il fatto ... ... che l’America sia diventata non il faro, ma il fanalino di coda del mondo, soprattutto in termini morali.
E’ quindi evidente che stia pagando le conseguenze della doppia menzogna di cui è stato vittima. Incapace di risolvere da solo il grande enigma, si domanda come sia stato possibile fallire in un intento così nobile, cadendo nel frattempo così in basso.
Solo accorgendosi che l’intento non era affatto nobile, Bush potrebbe comprendere quello che è davvero successo. Ma questo non può farlo, poichè è prigioniero della sua stessa bugia.
E’ la sorte dei burattini come Capitan Fracassa, che entrano in scena minacciando sfracelli nel nome della Giustizia e dell’Amore, solo per essere gettati nel cesto buio, insieme a tutti gli altri, appena lo spettacolo è finito.
Solo una persona vittima di questo doppio inganno può dichiarare - come ha fatto ieri Bush - che “c’è ancora gente là fuori che vuole fare del male all’America, che minaccia di fare del male al popolo americano”.
Solo chi sia vittima della stessa propaganda a cui ha fatto da amplificatore per tanti anni può dire una cosa del genere, pur sapendo che non ci sarà più nessuno a sostentare quella “minaccia”. Questo genere di propaganda funziona solo quando il ministro degli interni, il ministro degli esteri, il capo della CIA, il ministro di giustizia, il direttore dell’FBI e quello della Homeland Security si diano regolarmente il turno nel confermarla nei telegiornali.
Ma quando sei rimasto solo, e continui a dirlo lo stesso, vuol dire che ci credi fino in fondo.
Non a caso, di fronte a chi lo critica per essersi lasciato sfuggire di mano il processo decisionale (per gli eufemismi gli anglosassoni sono impareggiabili), Bush replica dicendo di “aver ricevuto i briefings della CIA ogni giorno, eccetto le domeniche, per otto anni consecutivi”.
Come a dire “non crediate che io fossi un distratto. Le cose le sapevo bene, dalla prima all’ultima”. In quel modo ci conferma di aver sempre creduto alle bugie che gli raccontava la CIA per fargli fare quello che volevano loro.
Che i presidenti debbano costantemente difendersi dalle bugie dei militari e della CIA, che si ritengono gli unici in diritto di gestire la politica estera, non è certo una novità. In questo caso però Bush aveva contro anche coloro che avrebbero stare dalla sua parte, ovvero il vicepresidente e il consigliere personale, Carl Rove.
E’ chiaro quindi che anche una persona molto più attrezzata di lui avrebbe finito per soccombere a questo accerchiamento integrale. Quando ti ritrovi a chiedere consiglio allo stesso vicepresidente che ha appena passato la giornata a Langley per ottenere un qualunque documento che giustifichi un attacco all’Iraq, è altamente improbabile che ti dica poi di non fidarti, perchè secondo lui quel documento è falso.
E così ti ritrovi a fare la figura dell’imbecille davanti al mondo, mentre dichiari con solenne gravità che “l’Iraq ha cercato di acquisire materiale nucleare da un paese africano”.
Ma Bush non può presumere che Cheney l’abbia tradito – se lo avesse capito, l’avrebbe licenziato in tronco: non sarà particolarmente acuto, ma sotto la cintura Bush è fatto come tutti gli altri - e quindi si ritrova a dover cercare altrove la quadratura di quel cerchio.
E infatti afferma, nella conferenza stampa, che “forse è stato un errore dichiarare ‘missione compiuta’ sotto quello striscione”, lasciando capire che per lui la colpa rimane da addebitare a “informazioni errate” dei servizi (“poor intelligence”), all’interno di una campagna di “democratizzazione” del mondo che rimane del tutto legittima ai suoi occhi.
Non ha capito invece che in quell’occasione i suoi fili da burattino lo avevano calato davanti a quello striscione per reiterare al mondo quel concetto di supremazia militare sul quale i neocons contavano di fondare il loro impero.
Idem per Katrina. Se oggi Bush afferma che “forse gli aiuti non si sono mossi con la rapidità sufficiente”, quando lui stesso aveva rassicurato le autorità locali che tutto fosse stato previsto fin nel minimo dettaglio, è evidente che abbiano mentito a lui per primo.
VIDEO: Bush e Katrina
Curiosamente accanto a lui, in quella conferenza a circuito chiuso, era seduto l'impassibile Dick Cheney.
In realtà, che Bush fosse solo un burattino è parso evidente fin dall’episodio che ha dato origine a tutto quanto è successo in questi anni: gli attentati dell’undici settembre.
Nessun attore professionista, nella più magistrale delle sue interpretazioni, saprebbe offrire al pubblico quello sguardo, confuso e preoccupato insieme, che Bush ha messo in mostra per sei interminabili minuti nella scuola della Florida, dopo che fu informato che “era stata colpita anche la seconda torre”.
Mentre anche un attore alle prime armi avrebbe scelto, dovendo impersonare quel ruolo, di alzarsi immediatamente e dire: “Scusate, pare che stia succedendo qualcosa di grave. La mia presenza è richiesta con urgenza”.
E’ quello che avrebbe fatto chiunque al suo posto, non sapendo cosa stesse succedendo nei cieli americani. In fondo, sei il presidente della nazione sotto attacco, non sei il bidello della scuola.
Invece Bush è rimasto seduto a macinare i propri pensieri, sotto l’occhio delle telecamere, cercando di ricomporre un puzzle di cui evidentemente gli mancavano troppi pezzi. E ogni tanto alzava lo sguardo, per leggere i cartelli che il suo staff gli mostrava, con su scritto ”comportati normalmente”, “non dare segni di agitazione”, eccetera.
Questo comportamente è tipico di chi sia abituato a farsi accompagnare per mano dappertutto (chi non ricorda il bigliettino dell’ONU, in cui Bush chiedeva teneramente alla Rice il permesso di andare a far pipì?), ma è soprattutto tipico di chi sia abituato a lasciare che altri decidano per lui, dopo averlo convinto a fidarsi ciecamente di loro.
Tu non preoccuparti - ti dicono - Tu sei l’immagine, tu sei il leader a cui tutti guardano, sorridi e gonfia il petto, che a mandare avanti la baracca ci pensiamo noi. (Accade anche a livelli molto più bassi, quando ad esempio il direttore di produzione dice al regista “Tu riposati, che domani devi essere in forma per la scena di massa. A scegliere le comparse ci pensiamo noi, che tanto è una stupidaggine. Poi ti ritrovi in prima fila i cugini, gli zii e i pronipoti del direttore di produzione, che si assomigliano tutti come gocce d’acqua).
Con lo stesso criterio Bush, che sentiva il dovere impellente di rientare a Washington, veniva dirottato e sepolto in un bunker del Nebraska, “per proteggere il presidente” da una minaccia che Cheney si era inventato di sana pianta. (V. video allegato).
Nel frattempo lo stesso Cheney metteva tutto sotto controllo, e quando Bush rientrava era già pronta per lui la dichiarazione di guerra al mondo che “durerà finchè l’ultimo terrorista non sarà stato catturato e portato di fronte alla giustizia”.
E siccome Bush oggi sa bene che nessun terrorista è mai stato catturato, è più che normale che dica con grande convinzione che “c’è ancora gente là fuori che vuole fare del male all’America, che minaccia di fare del male al popolo americano”.
Non sarà una cima, ma due conti li sa fare pure lui.
Non è facile provare simpatia per un uomo che ha legato per sempre il proprio nome ad una delle pagine più scure della storia americana, ma sembra altrettanto difficile riuscire a provare per lui tutto il disprezzo che meriterebbe chi si è reso responsabile di tali azioni.
Ed ora che esce dal giro, e torna a pascolare le sue vacche, avrà ben poche occasioni per rendersi conto di quanto gli è davvero accaduto in questi otto anni.
Ma non c’è nessuna fretta. Se non accadrà in questa vita, il dolce cowboy rinascerà probabilmente in un campo profughi del medio oriente, e a quel punto tutto ciò che finora gli era sfuggito gli sarà improvvisamente chiaro come il sole.
Massimo Mazzucco