"Sì all'eguaglianza delle opportunità, all'impegno rafforzato dello stato nelle periferie, all'ascolto e al rispetto di tutti; prima, però, deve essere ripristinato l'ordine" ha detto il presidente Chirac, al termine della decima giornata di rivolta nella banlieu parigina.
Ma se ci fossero stati già prima "eguaglianza delle opportunità, all'impegno rafforzato dello stato nelle periferie, all'ascolto e al rispetto di tutti" - verrebbe da rispondere - sicuramente la sollevazione popolare non ci sarebbe stata. Come pensare allora che questo verrà davvero implementato in poche ore, quando fino a ieri nulla di simile si era mai nemmeno profilato all'orizzonte della nostra società?
Fin troppo facile, in questo caso, mettere a nudo la contraddizione scappata di bocca al presidente francese. Ma dietro a quell'ossimoro sociale si nasconde una verità assolutamente impronunciabile: non ci sarà mai "uguaglianza delle opportunità" finchè non esisterà una cultura dell'eguaglianza, e i maggiori nemici di questa cultura, paradossalmente, sono proprio coloro che lottano, … … perchè essa si possa affermare.
Mi spiego: i nemici veri dell'eguaglianza sociale non sono "gli egoisti" come i Bossi o i Calderoli - e tutti quelli che li votano, apertamente o di nascosto - ma i politici "progressisti" che si danno costantemente da fare - sia che lo facciano in perfetta buona fede, sia per racimolare qualche voto in più - per far passare le varie leggi a protezione delle minoranze, etniche, religiose o civili che siano.
A proposito di Parigi si lamenta infatti, dalla "solita" sinistra informe e omologata, che solo il 7 per cento delle classi popolari di origine francese sia disoccupata, mente quasi il doppio sarebbe la percentuale dei disoccupati fra gli immigrati, anche se perfettamente equiparati da un punto di vista legale.
Ovvero, si fa notare - e nessuno lo nega, sia chiaro - come sussista ed imperversi una forma di "razzismo" strisciante, che se ne fotte allegramente delle leggi di pari opportunità, e trova comunque il modo di penalizzare le minoranze meno gradite alla maggioranza del paese.
Ma chi le ha create, prima di tutto, quelle minoranze? Perchè gli omosessuali debbono essere una "minoranza", ad esempio, e "gli adulti che portano i calzoni corti" no? Perchè i musulmani debbono essere una "minoranza", e "i calvi con i baffi all'umbertina no"?
E quindi, siamo davvero sicuri che le leggi fatte per proteggere i diritti di tali "minoranze" non contribuiscano invece - identificandole come tali - a scavare ancora più profondo il solco che le separa dalla cosideetta "normalità"?
Se io, imprenditore di lavoro, mi ritrovo obbligato ad assumere, su cento impiegati, tre omosessuali, due islamici, un handicappato e cinque persone di colore, io lo faccio anche, figuriamoci. Ma poi appena sono andati via gli ispettori li metto tutti a pulire i cessi anche se sono laureati, nella speranza che se ne vadano da soli il più presto possibile.
Cosa succederebbe invece, se io fossi davvero libero di scegliere, e potessi assumere sempre e soltanto quelli che secondo me porteranno il massimo vantaggio, in ciascun ruolo, all'interno della ditta? Succede - certo - che a a parità di offerta, finchè ci sono "bianchi" e "normali" come me, preferisco assumere loro. Ma se per caso un giorno mi capita quello che è bravissimo, e che mi serve a battere la concorrenza, lo assumo anche se è omosessuale, negro e musulmano messi insieme. Anzi, lo impongo, e che si provino a dirmi qualcosa, i miei dipendenti. Al massimo ogni tanto ci faccio su la mia bella battutaccia volgare davanti a tutti, ma quello non me lo leva più nessuno. E alla fine capita pure che magari mi rimane simpatico.
°°°
Naturalmente ho fatto un esempio estremo, che vale solo a livello teorico, mentre nel mondo reale le cose vanno ben diversamente. Ma se fosse il principio che noi seguiamo, a rivelarsi sbagliato, e ad ostacolare proprio quel progresso sociale verso l'accettazione del diverso che molti si auspicano, allora è da lì che bisogna ripartire.
Anche a costo di far soffrire, più di quanto già soffrano, una o due generazioni di appartenenti alle varie "minoranze". Finchè la si smetta di considerarle tali. L'alternativa, parrebbe, è proteggerle, nella vita quotidiana, ma a discapito di quella che faranno in futuro i loro figli e nipoti.
Fare delle leggi a protezione delle minoranze significa solo combattere il sintomo, ma non risalire alla causa, che quindi tornerà a riproporsi regolarmente, finchè non sarà stata debellata alla radice.
Se si sceglie lo stato sociale, allora vanno benissimo le politiche protezionistiche e assistenzialistiche in genere, poichè ad esso si armonizzano e con esso si integrano. Ma se la legge economica che abbiamo sposato - come pare sia ormai avvenuto, con globalizzazione e liberismo rampanti - è quella della giungla, allora della giungla dev'essere anche la legge che regola il mercato del lavoro. In ciascun caso, sono due facce della stessa medaglia, che devono necessariamente armonizzarsi ed intergrarsi dinamicamente - nel bene come nel male - pena lo stallo dell'intero sistema.
Non puoi mettere in campo cinque punte - direbbero i saggi di una volta - e poi impostare la partita tutta sul contropiede.
Massimo Mazzucco