IL PAPA PESCATORE
Joseph Ratzinger ha concluso davanti al mondo la sua transfigurazione in Benedetto XVI. Una delle cose che sembra aver voluto sottolineare, nei discorsi di questi giorni, è che nel suo programma prevede di ''non fare mai la mia volonta', e non seguire le mie idee, ma, con tutta la Chiesa, mettermi in ascolto della parola e della volonta' del Signore, e lasciarmi guidare da lui, in modo che sia lui stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia''. Curioso ruolo, che sembra volersi dipingere addosso, molto più simile a quello di un pilota automatico, "incantato" dalla luce del faro divino, mentre riceve le istruzioni per guidare in porto il miliardo e oltre di cattolici nel mondo. Certo sarebbe stato più entusiasmante se Ratzinger si fosse anche ripromesso di ascoltare il miliardo e oltre di cattolici, e poi riferire magari al Signore di cosa avremmo bisogno noi qui sulla Terra. Tipo un paio di preservativi in più per chi muore di AIDS, ad esempio.
Ma è da troppi secoli ormai che quel tipo di comunicazione viaggia soltanto in una direzione, dall'alto in basso, col vicario di Cristo a fare da interprete per l'umanità, e noi che restiamo ... ... relegati nel ruolo di chi deve ascoltare e basta.
Anche le sue ripetute dichiarazioni di umiltà, come "ho pregato fino all'ultimo di non essere scelto, ma alla fine Lui mi ha voluto", hanno tanto l'aria di essere solo un alibi, che giustifichi un ritorno alla rigida dottrina medioevale che tanto affascina il nuovo capo della Chiesa.
Ratzinger ci ha poi fatto sapere che la Chiesa e' ''viva'', ''giovane'' e gioiosa e chiede ai fedeli di pregare per lui e mostrargli ''amore, fede, speranza''. Anche qui, se si fosse sprecato a dirci che pregava anche lui un pò per noi, di certo non si arrabbiava nessuno. Ma tant'è, noi obbediremo, e pregheremo certo per lui.
Il Papa ci ha poi svelato il significato misterioso del pallio, il simbolo che ha ricevuto durante la messa di consacrazione: esso simbolizza il buon pastore, che va a cercare la pecorella smarrita. Chi temeva un papa innovatore, anche solo nel linguaggio, può quindi tranquillizzarsi: con Ratzinger si ha piuttosto la sensazione che, se solo potesse, si farebbe restaurare il soglio originale tagliato nella pietra dei tempi di Costantino. ''L'umanita' - ha detto Benedetto XVI - è la pecorella smarrita che nel deserto non trova più la strada''. Anche qui, la potenza innovatrice della metafora lascia decisamente il segno. (Ma che bisogno c'era di impararsi tutto Tommaso d'Aquino a memoria, se poi ci deve trattare come dei bambini di otto anni?)
Ma la frase-chiave di questo intricato enigma allegorico ci giunge alla fine, velata di dolce zucchero divino, quando il Papa ci dice che il pastore dovrà dare alla pecora "il vero bene, nutrirla con la verità di Dio, della parola di Dio''. Anche durante l'Inquisizione, se è solo per quello, Torquemada & C. erano convintissimi di fare il bene del condannato, nel torturarlo sulle braci ardenti prima di attaccarlo agli argani per squartarlo vivo.
Il secondo simbolo che ci ha spiegato il Papa è quello del pescatore. Anche qui, la sorpresa è stata grossa: ''Il compito del pescatore di uomini è bello e grande, perchè in definitiva è un servizio reso alla gioia, alla gioia di Dio che vuole fare il suo ingresso nel mondo''. Che possiamo dire, noi poveri peccatori? Felici di farle da triglia, Santità.
Nonostante la banalità da Prima Comunione, Ratzinger ha sentito il bisogno di chiarire meglio il suo pensiero: ''Bisogna tirare gli uomini fuori dall'oceano di tutte le alienazioni, verso la terra della vita, verso la luce di Dio e noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini''. Ma scusate, un secondo fa non eravamo tutti persi nel deserto?
Ma non era finita. Inebriato dalle vertigini della propria metafora, Ratzinger proseguiva: ''Ancora oggi la Chiesa e i successori degli apostoli sono invitati a prendere il largo sull'oceano della storia e a gettare le reti, per conquistare gli uomini a Cristo''. Speriamo proprio che non gli diano retta. I superstiti dei Maya messicani, dei Mapuche cileni e degli Indiani nordamericani tremano ancora al ricordo dell'ultima "retata", gettata nel nome della "conquista a Cristo" cinque secoli fa.
Un altro segno inequivocabile del papato che ci attende è il ripetuto riferimento alla Chiesa di Roma "fecondata dal sangue dei martiri". Anche l'inno con il quale il Papa è stato accolto alla basilica, lo "Ianitor coeli", contiene casualmente la celebre frase "Roma felice, imporporata del sangue prezioso dei martiri". Sappiamo tutti come il martirio storico dei cristiani - che certo nessun nega - venga troppo spesso usato da chi difende il passato della Chiesa, per coprire gli ottanta e passa milioni di esseri umani che sono stati ammazzati, nel corso dei secoli, nel nome del Dio di Pietro e Paolo. Altrove abbiamo già fatto questi conti, di sicuro carenti per difetto.
Una leggera distrazione per Ratzinger, quando, travolto dal suo stesso impeto di auto-umiliazione, ha chiesto al popolo di Piazza S. Pietro "comprensione se faccio errori, come capita a ogni uomo". Ma come? Non fu proprio lui a censurare impietosamente il teologo suo connazionale, Hans Kung, per aver osato mettere in dubbio il dogma dell'infallibilità papale?
A questo punto è arrivato il cruciverba a chiavi incrociate, con tripla interpretazione double-face: "Siamo dalla parte del Crocifisso - ha detto con felina ambiguità Ratzinger - e non dalla parte di quelli che hanno crocifisso". Perchè non ha detto genericamente "e non dalla parte del male", invece di andare a rimarcare una ferita tutt'altro che sanata nei rapporti giudeo-cristiani? Perchè tornare ad isolare così distintamente gli ebrei dal resto del mondo, accomunandoli ad un male tanto antico quanto presunto? Anche all'inizio del suo discorso, a pensarci bene, Ratzinger aveva salutato separatamente ''i fratelli del popolo ebraico'' e ''tutti gli uomini del nostro tempo, credenti e non credenti". Cosa sarà? Un'intrepretazione tutta sua del concetto di "popolo eletto", o soltanto una coda di paglia lunga da qui fino a Tubinga?
A coloro che vorranno difendere Ratzinger, sostenendo che l'antisemitismo cristiano se n'è andato con l'Inquisizione, ricordiamo solo che quando il Rabbino di Praga andò a lamentarsi dal Vescovo della città, per le crescenti deportazioni degli ebrei, l'alto prelato rispose che "nulla si può contro la pedagogia divina". Sempre a proposito di alibi, e di "ordini dall'alto".
Non dimentichiamo infine che fu Ratzinger a mandare a monte, qualche anno fa, la commissione congiunta ebraico-cristiana che stava finalmente per portare in luce i documenti secretati dal Vaticano, relativi ai tempi di Pio XII e delle deportazioni degli ebrei. (Adesso forse si capisce meglio quanta fatica debba aver fatto Woytila per riuscire a pronunciare quel mezzo "scusa" malriuscito nei confronti degli ebrei).
In chiusura comunque il Papa bavarese ci ha tranquillizzato, dicendo che ''chi apre le porte a Cristo non perde niente, assolutamente niente di ciò che rende la vita libera, bella e grande".
Beh, è già qualcosa. Certo, se uno pensa che noi per un attimo ci eravamo addirittura illusi di poterci guadagnare, nell'aprire le porte al Cristo…. Va bè, accontentiamoci di quel che passa il convento, vuol dire che al massimo sarà per un'altra volta.
Massimo Mazzucco