di Andrea Franzoni
L’Europa è stata un enorme imbroglio. L’Unione Europea, è giunto il momento di dirlo, è una struttura non democratica che sta operando, provvedimento dopo provvedimento, un colpo di stato generale pilotato dall’alto al quale gli stati non si possono opporre.
A capo di questo golpe continentale ci sono i soliti noti. i complessi finanziari e assicurativi, transnazionali e a capo di colossi con diramazioni in tutto il globo e in ogni settore economico, che già tirano i fili dell’economia del Terzo Mondo mediante la Banca Mondiale (BM) e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), che regolano il commercio (WTO), che hanno sistemato burattini e loro amici alla Casa Bianca e che ora, grazie al cavallo di Troia dell’Unione Europea, hanno preso il controllo … .. anche del vecchio continente. Vittime di questa rivoluzione silenziosa e mascherata che vede praticamente tutte le forze politiche complici (in Italia Prodi quanto Berlusconi, se non di più) sono i popoli di tutto il mondo: africani, sudamericani, asiatici e europei.
Generalmente si nomina questo processo inarrestabile “Globalizzazione”. Il fenomeno, ampiamente studiato e con una storia ventennale alle spalle, è responsabile della povertà diffusa e della crescita del divario fra ricchi e poveri, dato scientifico e incontrovertibile, riferita sia a paesi diversi (divario tra paesi ricchi e terzo mondo) sia ai singoli paesi (divario fra poveri e ricchi all’interno dello stesso stato). Il dogma che sta alla base del concetto economico di globalizzazione è il neo-liberismo, dottrina economica sciagurata riaffermata con forza dell’Inghilterra prima e dagli USA poi, che ha già dimostrato sul campo quanto possa essere devastante.
Le conseguenze di pochi decenni di globalizzazione selvaggia imposta da FMI e BM sono strettamente correlate all’aumento del divario poveri-ricchi e tuttavia sono molto varie. Volendo fare una lista breve e imprecisa, non si possono non menzionare la distruzione delle economie locali e dei mercati interni (un intero stato africano, per esempio, produrrà solo banane e dovrà importare il grano che prima produceva e che improvvisamente non si potrà più permettere), la fine dello stato sociale (pensioni, sussidi, sanità e scuola pubblica), il crollo del potere d’acquisto e delle condizioni di vita dei popoli (mediante, ad esempio, la svalutazione), la privatizzazione forzata delle risorse naturali (acqua, energia elettrica, petrolio, spiagge) e la spogliazione dei parlamenti e degli organismi democraticamente eletti di ogni autonomia di governo e di azione economica e sociale.
La globalizzazione, quindi, sospende la democrazia imponendo talmente tanti vincoli alla politica da ridurne lo spazio d’azione fino a assumere il governo dei paesi tramite le già citate organizzazioni sopranazionali economico-commerciali (non comanda nemmeno l’ONU, insomma, ma FMI, BM e le varianti locali come appunto l’Unione Europea).
La crisi e la stagnazione che stanno affondando da anni il tenore di vita per la prima volta anche dei cittadini dei paesi ricchi e che stanno determinando la fine della cosiddetta “classe media” non ha praticamente altro colpevole se non questo sistema perverso e oligarchico che si arricchisce e si ingrassa ai danni della maggioranza delle persone. E’ facile, data questa premessa, intuire se la “ripresa economica” di cui si parla è plausibile o se è una chimera.
In Italia è tempo di finanziaria. E il governo Berlusconi, nel fare questa finanziaria, non è assolutamente libero. Lo spazio d’azione è ridottissimo perché forti sono i vincoli imposti dall’Unione Europea.
Il governo italiano, dopo anni di privatizzazione dei servizi e delle attività statali più redditizie (magari risanate con soldi pubblici prima di essere vendute, una volta rimesse a nuovo, sottoprezzo), si trova ad avere entrate ridotte. A fronte di questa riduzione di entrate, portata all’estremo con la riduzione delle tasse (in Italia, per fortuna, non vige ancora l’aliquota unica) praticata demagogicamente e dogmaticamente come neo-liberismo prescrive (ironicamente i governi sembrano ancora credere a chi dice che la liberalizzazione dei mercati è l’unica soluzione mentre invece è la causa unica della crisi) lo stato non si trova più nelle condizioni di finanziare adeguatamente quel poco che gli rimane (parte dell’istruzione, parte della sanità, pensioni) e si vede costretta a ulteriori privatizzazioni, inevitabili se si vuole rientrare nei parametri europei. Questa serie di riforme (definite Macroeconomiche) è stata messa in atto (e viene messa in atto continuamente) negli stati del Terzo Mondo (con le ben note conseguenze) tramite i ricatti di FMI e BM, è imposta ora all’Europa. A capo dell’UE, infatti, vi sono per lo più personaggi provenienti da FMI e BM e graditi ai poteri forti mondiali. Le conseguenze per lo stato che osasse non rispettare le imposizioni delle lobby economiche e dei loro organismi sarebbero il biasimo della comunità europea, le sanzioni economiche, l’interruzione del flusso di prestiti e di investimenti dei capitali esteri che farebbe crollare l’economia locale e l’isolamento dalla comunità internazionale e quindi dagli acquirenti e dai finanziatori stranieri (gli stessi che stanno a capo di questa perversa macchina, nonché gli unici ad avvantaggiarsene), fino alla tragica e ipotetica esclusione dalla Comunità Europea.
Le privatizzazioni dei servizi e la scomparsa dello stato sociale, giusto per puntualizzare, agisce a esclusivo svantaggio dei cittadini, uniche vittime del regime cosiddetto di austerity. Altra arma nelle mani dell’UE è la Banca Centrale e la conseguente eliminazione del vecchio civile concetto di sovranità monetaria.
L’Europa, continente con la più grande tradizione democratica e di stato sociale del mondo, è stato l’osso più duro da rompere per i poteri forti che conducono il mondo, come nei peggiori film (ma questa è realtà), alla rovina. Colpo dopo colpo, però, anche l’Europa è sull’orlo del baratro e, dalla posizione in cui è, non ha assolutamente via di scampo. L’ultimo tassello in ordine di tempo è la “Direttiva Bolkestein” che andremo a spiegare.
La Direttiva Bolkestein, mai sottoposta al parere dei cittadini e nemmeno dei rappresentanti eletti, è stata concordata con oltre 10.000 grandi colossi economici senza che nemmeno un tavolo con le parti sociali fosse convocato. In via d’approvazione, sarà l’ennesimo giogo a cui gli stati europei dovranno sottostare. L’unica volta che i cittadini europei sono stati chiamati a esprimere un giudizio in merito all’attuale idea di Unione Europea l’Europa è stata bocciata. E’ successo in Olanda e Francia, nei referendum consultivi sulla Costituzione Europea che è stata il pretesto per affondare l’UE e la Bolkestein.
Una mobilitazione europea contro la direttiva Bolkestein è prevista per il 15 ottobre [link in coda].
La Bolkestein (dal nome del Commissario Europeo per la Concorrenza e il Mercato Interno dell' uscente commissione Prodi) vede il governo italiano, stando alle dichiarazioni del commissario La Malfa, come “apripista”. Ma vediamo che pista stiamo aprendo, dove questa pista ci porterà e perché l’opposizione e il fallimento della Bolkestein (in verità pura utopia) è per noi comuni cittadini una questione di vita o di morte.
Due sono i principi espressi dalla Bolkestein: la competitività all’interno dell’Europa nel campo dei servizi e il principio di “paese d’origine”.
La liberalizzazione totale dei servizi e delle risorse (dall’istruzione alle poste) è atta a favorire la penetrazione dei colossi multinazionali nei mercati dei servizi europei (dopo quelli del Terzo Mondo). Ordita anche con lo scopo di “dare il buon esempio” agli stati ai quali questo provvedimento è stato imposto per decenni, questo provvedimento segna la fine dello stato sociale europeo, della sanità e dell’istruzione pubblica, dalla fornitura di acqua potabile alle pensioni, e l’abolizione definitiva della democrazia effettiva con l’instaurazione opposta della plutocrazia, del governo delle multinazionali e del Darwinismo sociale.
Il “principio del paese d’origine”, invece, è già deputato a causare un fenomeno di dumping sociale con conseguenze tragiche per l’Europa e per la convivenza civile. Attraverso questo principio un fornitore di servizi è sottoposto esclusivamente alla legge del paese in cui ha sede l'impresa, e non a quella del paese dove fornisce il servizio. Se un’impresa polacca distacca suoi lavoratori in Francia, ad esempio, questi lavoratori saranno soggetti alla legge polacca (e non alla legge francese, come accadeva fino ad oggi). Un lavoratore polacco in Francia (o in Italia), quindi, riceverà salario polacco, lavorerà per un numero di ore previsto dalla legislazione polacca e sottostarà alle norme di sicurezza e al trattamento previdenziale e assicurativo polacco. Lo stesso succederà per un’impresa francese che avrà la bella idea di spostare la sede legale in Polonia: i suoi lavoratori, anche se francesi, percepiranno un trattamento “polacco”. E’ chiaro come, in termini di competitività per le imprese, sarà comodissimo affidare il lavoro a queste imprese (rimanendo nell’esempio) polacche, decisamente meno costose e più redditizie. Per il lavoratore francese non resterà che rimanere disoccupato o, in alternativa, rassegnarsi a ricevere un trattamento e uno stipendio “polacco” in Francia, con buona pace delle conquiste sindacali di decenni di lotta e di civiltà.
Andrea Franzoni (Mnz86)
Per maggiori informazioni visitare il sito della campagna italiana
Stop Bolkestein e
Attac.
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