di Giorgio Mattiuzzo
Da ormai qualche tempo si sta affermando una corrente di pensiero secondo la quale, per sfuggire alle continue crisi economiche che percorrono il nostro mondo, bisogna guardare al passato, che offrirebbe una soluzione molto semplice e quasi "miracolosa". L'esempio che più di tutti sta riscuotendo successo è quello della politica economica e monetaria della Germania nazista [1].
E' da sottolineare che questa presa di posizione non va confusa con un generico filonazismo, in quanto viene proposta da persone che non hanno certo alcuna intenzione di instaurare un novello hitlerismo in salsa moderna. E probabilmente, proprio in forza di ciò, questa presa di posizione non si avvede del rischio che, implicitamente, essa promuove.
Il teorema principale è che Hitler avesse conseguito un enorme successo sul piano economico, [...] [...] grazie alla sua capacità di liberare la Germania dalla morsa delle banche centrali, attraverso quella che viene definita "sovranità monetaria", cioè attraverso l'emissione di cartamoneta da parte del governo. Grazie a questa scelta, Hitler avrebbe condotto la Germania fuori dalla morsa dell'inflazione e avrebbe ridato fiato all'economia nazionale.
L'errore che questa tesi porta con sé è duplice. Il primo è quello di far credere che Hitler avesse posto fine all'iperinflazione che aveva afflitto la Repubblica di Weimar; il secondo è quello di non far vedere quale fosse veramente la condizione dell'economia tedesca sotto il regime nazista.
Il discorso è complesso, e qui si cercherà di riassumerlo al meglio, con l'avvertenza che, ovviamente, non potrà essere che una esposizione parziale, valida come spunto introduttivo, ma che necessita di uno spazio ben più ampio.
Bisogna partire, per comprendere cosa è successo, da ben prima dell'avvento di Hitler al potere. E bisognerà uscire dalla Germania, per andare in Francia.
Dopo la fine ufficiale della Prima Guerra Mondiale (11 novembre 1918) le tre potenze occidentali, Inghilterra, Francia e Usa, si riunirono per decidere le condizioni della pace e, nella primavera dell'anno successivo, venne alla luce quello che passerà alla storia come il "Trattato di Versailles". Tale trattato individuava nella Germania la causa dello scoppio della Grande Guerra e, conseguentemente, decretò che doveva essere la Germania stessa a ripagare le potenze democratiche. La prima parte delle riparazioni consisteva in un pagamento di 5 miliardi di dollari in marchi-oro entro il 1921 e la fornitura di alcuni beni e materie prime, come carbone, navi, legname, bestiame [2]. Inoltre intaccava parzialmente il territorio tedesco, portando alcune zone di confine sotto il controllo di vari stati; forse la più importante era la regione della Slesia superiore, un importantissimo distretto industriale, ceduta alla Polonia. In tutto, il 13% del territorio era andato perso.
La Germania inizialmente rifiutò queste condizioni, che poggiavano su un principio decisamente insostenibile e che erano erano state stipulate con l'evidente intento di metterla in ginocchio, anche se poi, stremata dalla guerra e dalla crisi politica interna, accettò. Così Henry Kissinger descrive il Trattato di Versailles:
[i]"I negoziatori del XVIII secolo avrebbero considerato le "clausole della colpa della guerra" assurde. Per loro, le guerre erano delle necessità amorali causate da uno scontro di interessi. Nei trattati che chiusero le guerre del XVIII secolo, gli sconfitti pagavano un prezzo che non era giustificato da principi morali. Ma per [il Presidente americano] Wilson e i negoziatori di Versailles, la causa della guerra del 1914-18 doveva essere attribuita ad un qualche malvagio che andava punito"[/i] [3].
Oltre alle riparazioni, la Germania doveva far fronte, contemporaneamente, ai costi della guerra, che ammontavano a 164 miliardi di marchi, in parte pagati attraverso l'emissione di nuova moneta4, cioè dando avvio ad un processo inflattivo (antecedente quindi all'inizio del pagamento delle riparazioni).
A peggiorare la posizione della Germania, infine, si aggiunse anche la situazione economica internazionale, segnata da un periodo deflattivo, che fece aumentare il valore del debito tedesco in termini reali [5]. Questa insieme di concause ero destinato a far scoppiare una crisi di tali proporzioni da entrare nella memoria collettiva non solo dei tedeschi, ma di tutto il mondo.
A questo punto la Germania cercò di far fronte alla situazione svalutando il marco. Il tentativo era quello di annullare il debito pubblico e salvare l'industria pesante tedesca dai suoi debiti. Di fatto questo era il tentativo di evitare di assolvere alle clausole del Trattato. Ma questa mossa ebbe conseguenze devastanti sulla popolazione tedesca, che si trovava ad avere in mano una moneta che perdeva costantemente valore.
"[...] L'inflazione, lungi dall'essere la conseguenza delle riparazioni, le precedeva. I vari governi succedutisi vi si affidarono come mezzo per eludere i pagamenti delle riparazioni, come pure per scopi di politica sociale interna. Nessun governo tedesco prima del 1923 tentò in alcun modo di stabilizzare la valuta, perché gli industriali tedeschi elaborarono un sistema di "profitto dall'inflazione". Avrebbero ottenuto prestiti a breve termine dalla banca centrale per migliorare ed espandere i loro stabilimenti, e quindi avrebbero ripagato i debiti con una valuta inflazionata.
Similarmente, i grandi proprietari terrieri estinsero i loro mutui con valuta di fatto senza valore. Per contro, chiunque con uno stipendio fisso – in senso lato, la classe media – era vittima dell'inflazione. [...] L'inflazione creò disoccupazione, nonostante l'apparente boom economico. [Essa] fu ovviamente causa di profonde spaccature sociali [...]. Gli industriali, oltre a favorire l'inflazione, che aveva già l'effetto di erodere il pagamento delle riparazioni, ostacolarono direttamente anche ogni genuino sforzo di corrispondere i pagamenti, perché tali sforzi avrebbero verosimilmente portato all'austerità economica interna." [6]
La crisi si era avviata. Nel luglio 1919 un dollaro valeva 14 marchi; nel luglio del 1922 un dollaro valeva 493 marchi. A questo punto la Germania era già allo stremo e chiese agli Alleati di sospendere i pagamenti. La richiesta venne respinta. Quando la Germania mancò una fornitura di legname alla Francia, il Presidente Poincarè ordinò l'occupazione della Ruhr, la quale costituiva
"il cuore industriale della Germania, che, dopo la perdita della Slesia superiore a favore della Polonia, forniva al Reich i quattro quinti della produzione di carbone e acciaio. [...]" [7] Siamo nel gennaio del 1923.
La reazione dei tedeschi fu compatta: nella Rhur venne proclamato lo sciopero generale, riuscitissimo. Tutti smisero di lavorare, e l'esercito collaborò con la popolazione aiutandola a compiere atti di sabotaggio. Da parte sua, il governo iniziò a stampare denaro per sostenere gli abitanti della Ruhr. Questa fu la scintilla che fece esplodere la polveriera. L'inflazione cominciò a galoppare: nel gennaio del '23 un dollaro valeva 18.000 marchi, sei mesi dopo ne valeva 4.600.000. Nel novembre del '23 un dollaro valeva 4.200.000.000.000 marchi (quattro triliardi!).
"[...] la banca centrale (Reichsbank) impiegava circa 30.000 lavoratori e usava 1783 stampatrici in 133 differenti stamperie. Ciononostante non potevano produrre tutta la moneta necessaria. Le città, le autorità regionali, le banche e persino le aziende furono autorizzate a produrre la propria moneta, la Notgeld. In alcuni casi queste banconote non erano fatte di carta. Vennero usati stoffa, legno o cuoio per produrre moneta" [8].
Tuttavia le cause della superinflazione erano chiarissime ai vertici delle potenze coinvolte. Matthias Erzberger, che era stato il negoziatore dell'armistizio con l'Entente e che nel giugno 1919 era divenuto Ministro delle Finanze, una delle figure chiave della politica tedesca di quegli anni, quattro anni prima del picco inflattivo più grave era stato il solo ad accettare le condizioni del Trattato di Versailles, in quanto "le sue clausole potevano essere facilmente eluse" [9].
E così, mentre lo Stato, l'industria pesante e i proprietari terrieri si erano salvati dai debiti e dalle riparazioni,
"la massa del popolo [...] non si rendeva conto di quanto i capitani d'industria, l'esercito e lo Stato beneficiassero della distruzione della valuta. Quello che sapevano era che con un grosso conto in banca non si riusciva a pagare un sacchetto di carote, un po' di patate, pochi grammi di zucchero, mezzo chilo di farina. Sapevano che singolarmente erano in bancarotta. E riconoscevano la fame quando li mordeva, perché succedeva quotidianamente. [...]" [10].
La situazione era ormai fuori controllo e, per porvi rimedio, fu necessario un intervento esterno. Che venne dagli Stati Uniti. Nel 1924 un banchiere di Chicago, Charles Dawes, diede vita al cosiddetto "Piano Dawes", con il quale riuscì a fermare l'inflazione. Soprattutto, riuscì a rendere le pretese degli Alleati meno gravose. Il sistema fu concettualmente semplice: nei cinque anni seguenti, la Germania pagò un milione di marchi in riparazioni, mentre ne ricevette 2 in prestito dagli Usa. Con il restante milione, iniziò a ricostruire la propria industria.
Tuttavia, anche se l'iperinflazione era stata fermata, l'economia non godeva della miglior salute. Ma a questo punto, mentre la Germania cerca di riprendersi, in America la borsa di Wall Street crolla ed inizia la Grande Depressione. I Paesi europei si trovano a dover pagare i debiti contratti con l'America ed anche la Germania si dovrà adeguare. Un'altra crisi si apre, la disoccupazione sale vertiginosamente e la povertà avanza di nuovo.
La crisi economica si somma all'instabilità politica della Repubblica di Weimar. Nel 1930 diviene Cancelliere Heinrich Brüning, che si trova a dover affrontare una situazione estremamente difficile. La sua politica economica sarà poco amata dalla popolazione. Attraverso la legislazione emergenziale consentita dalla costituzione (il famigerato articolo 48), Brüning ebbe come obiettivo il pareggio di bilancio attraverso i tagli al sistema sociale e all'aumento delle tasse, evitando in tutti i modi di ritornare all'inflazione del '23, un ricordo ancor vivo nella mente dei tedeschi. Contemporaneamente, in politica estera il cancelliere riuscì a gettare le basi per un successivo alleggerimento delle riparazioni.
"In politica interna Brüning sconvolse l'equilibrio politico, perché coloro che già tiravano la cinghia, per disperazione, si volsero alla propaganda di destra. [...] La riduzione della spesa, dei salari e delle indennità, sommate all'alta tassazione, erano l'unica soluzione percorribile [se non si voleva ricorrere all'inflazione]. Questo cose, ovviamente, fecero poco per fermare il progressivo aumento del tasso di disoccupazione [...].
Tuttavia molti osservatori concordano sul fatto che i gabinetti di Müller e Brüning (tra il 1928 e il 1932) arrivarono molto vicino alla salvezza economica. Il collasso delle grandi istituzioni finanziarie era stato evitato." [11]
E' in questo contesto, con sei milioni di disoccupati ed il potere politico sull'orlo del baratro, che Hitler sale al potere.
[
La seconda parte verrà pubblicata prossimamente]
Note:
1. Vi sono diversi esponenti di questa teoria; un esempio significativo può essere trovato in E. Brown,
Perché la Germania doveva essere distrutta, Blogghete! (blog), trad. it. G. Freda.
2. W. Shirer,
The Rise and Fall of the Third Reich, New York 1990³, p. 58.
3. Citato in B. Trumbore,
Weimar Germany, Buyandhold.com.
4. W. Shirer,
op. cit., p. 62.
5. B. Trumbore,
op. cit.
6. G. Rempel,
The Weimar Republic: Economic and Political Problems, Western New England College.
7. W. Shirer,
op. cit., p. 61.
8.
Inflation, GermanNotes.com.
9. W. Shirer,
op. cit., p. 58.
10. W. Shirer,
op. cit., p. 62.
11. G. Rempel,
Collapse of the Weimar Republic, Western New England College.