di Massimo Mazzucco
Chi non si è domandato almeno una volta, in questi giorni, "ma come si può arrivare a tanto?" E chi non si è risposto, altrettante volte, "va beh, bisogna proprio essere bacati nel cervello, per farlo". Noi stessi, appena uscita la notizia, ci domandavamo che cosa mai avessero messo in testa a questi ragazzi, per arrivare a fare quello che hanno fatto. Perchè da soli, uno pensa, non è possibile regredire di interi millenni in poche settimane.
E invece pare che la risposta sia molto più semplice, anche se ancora più agghiacciante delle immagini stesse che tutti stiamo cercando di digerire.
Tra le mille trasmissioni TV dedicate all'argomento, in America, è comparso ad un certo punto un ricercatore universitario, che ha mostrato degli spezzoni di un esperimento fatto in un’università della California, nel lontano 1972. Un gruppo di volontari avrebbe vissuto per un mese in un ambiente creato appositamente per loro, che replicava in tutto e per tutto un carcere di massima sicurezza. Il gruppo venne poi diviso, per sorteggio, fra carcerati e carcerieri, e furono date loro regole e condizioni che replicavano anch’esse nei minini particolari quelle di un carcere vero. Sarebbero stati inoltre isolati dal mondo, senza possibilità di comunicare con l’esterno, mentre avrebbero potuto ricevere ispezioni in qualunque momento, ma mai senza un minimo di preavviso. Quello che i volontari non sapevano, è che c'erano (sì, già allora!) delle telecamere nascoste in ogni locale della finta prigione. Per i primi due o tre giorni, tutto sembrò funzionare normalmente... ... ma da un certo punto in poi (quello che il professore ha chiamato il "breaking point"), si sono cominciate a notare sfumature di disprezzo e di cattiveria verso i detenuti, che presto - molto presto - sono degenerate in comportamenti simili a quelli che abbiamo visto ad Abu Grahb. Troppo simili per archiviare la faccenda come una pura coincidenza.
Vi sono stati episodi di prevaricazione violenta, molti dei quali a sfondo sessuale, sia da parte del singolo sia da parte di un gruppo più o meno ristretto di secondini. Man mano è così emersa fra questi ultimi una curiosa tendenza (ricordiamolo, tutta gente come noi, in teoria), a misurarsi l'un con l'altro nelle invenzioni più sofisticate per provocare tormenti al carcerato. E quando è stata annunciata un'ispezione, si sono messi immediatamente tutti d'accordo per coprirsi l’uno con l’altro, mentre minacciavano i prigionieri, se mai avessero parlato, di raddoppiare loro le dosi di sevizie appena finita l'ispezione. E talmente terrorizzati dovevano essere i prigionieri, che in effetti nessuno ha aperto bocca di fronte agli ispettori.
Certo, lì non ci sono stati i morti messi sotto ghiaccio, e certo il sangue non è scorso come nella realtà irachena, ma va anche detto - e qui sta forse l’aspetto più sconvolgente di tutti - che i responsabili hanno deciso di interrompere l’esperimento, “per motivi etici”, prima che degenerasse in qualcosa di simile. E delle previste quattro settimane, si era soltanto al sesto giorno.
Sembrerebbe quindi che la condizione di potere assoluto – di vita e di morte, nei casi reali - su un altro essere umano, debba scatenare in noi qualcosa di primordiale che ovviamente non ricordiamo, ma che di certo non se n’è ancora andato del tutto.
O forse aveva ragione lo scienziato stesso, quando commentava il suo esperimento alla luce dei fatti odierni: la natura umana è sempre quella, non è cambiata di una virgola nell'arco di tutta la storia, e non si vede perchè dovrebbe farlo in un futuro vicino o lontano. L'unica differenza quindi, fra paesi barbari e paesi civilizzati, è che questi ultimi dovrebbero sia evitare di creare un terreno fertile per degenerazioni di quel tipo, sia implementare controlli rigorosi e sistematici per assicurarsi che non avvengano comunque.
Certo, viene da dire, ma se il capo stesso del Pentagono, con tutti i suoi generaloni, sono ben contenti che invece avvengano – anzi, li incoraggiano proprio, a quanto pare - allora il problema non è più di natura umana, ma diventa di responsabilità personale, e di primissimo ordine criminale.
Viene a questo punto il sospetto che sia questo il vero motivo per cui Rumsfeld non vuole dimettersi: in quel suo gesto testardo ed apparentemente incongruente, non ci sarà invece la conferma silenziosa, verso tutti quelli che sopravviveranno all’ epurazione di facciata, che “dopo si continua esattamente come prima”?
Massimo Mazzucco