All’inizio della corsa allo spazio, negli anni ‘60, girava una barzelletta molto divertente: al ritorno sulla terra di Yuri Gagarin, Krutschev dà una colossale festa al Cremlino. Durante le festa il leader russo prende da parte Gagarin e gli dice a bassa voce: “Senti, vorrei chiederti un grande piacere. Io sono certo che tu, da lassù, abbia capito che Dio esiste. Ti dispiace però, per ovvii motivi, non dire nulla?” Qualche settimana dopo Gagarin è a Roma, dove la sua impresa viene festeggiata con altrettanto entusiasmo dagli italiani. Alla festa è presente anche il Papa, che a un certo punto si avvicina a Gagarin e gli dice sottovoce: “Avrei un grande favore da chiederti. Io sono certo che tu, da lassù, abbia capito che Dio non esiste. Ti dispiace però, per ovvii motivi, non dire nulla?”
Indipendentemente dal fatto che siano davvero arrivati sulla Luna, i cosiddetti “moonwalkers” hanno certamente orbitato nel vuoto atmosferico, a qualche centinaio di chilometri dalla superficie terrestre, e sono stati a diretto contatto con il profondo infinito che ci circonda. In questo senso è molto interessante vedere che fine abbia fatto ciascuno di loro, dopo un’esperienza che in un senso o nell’altro deve certamente averli toccato nel profondo.
Innanzitutto, bisogna notare che entro un anno dall’ultima missione lunare (1972) tutti i moonwalkers avevano lasciato la Nasa. Una statistica certamente curiosa, visto che lo status di “eroi” che avevano acquisito gli avrebbe permesso di accomodarsi in posizioni di tutto rilievo, con un salario di certo soddisfacente. Invece solo due di loro sono rimasti nell’ambito dell’industria aerospaziale, ma comunque lontani dalla “famiglia” in cui erano cresciuti, mentre gli altri si sono dispersi come i componenti di una banda rock che si disintegri all’apice del successo. Tre di loro sono morti entro pochi anni, e non tutti in circostanze cristalline. Alan Bean si è messo a dipingere quadri, Neil Armstrong si è chiuso in un silenzio impenetrabile, ... ... Buzz Aldrin ha avuto una profonda crisi personale, che lo ha portato all’alcolismo e sull’orlo del suicidio, Charlie Duke e Jim Irwin sono diventati predicatori evangelici.
Ma la vicenda più interessante di tutte, dal punto di vista “spirituale”, è sicuramente quella di Ed Mitchell, l’astronauta di Apollo 14 che al suo ritorno sulla terra ha fondato a Los Angeles l’Istituto per le Scienze Noetiche. Alla base di questa filosofia sta un netto rifiuto del razionalismo cartesiano (che vuole mentre e corpo come entità separate e indipendenti), al quale contrappone una visione organica e olistica dell’universo, molto vicina al panteismo einsteniano.
Per Mitchell non può esistere esperienza oggettiva, in quanto questa presume necessariamente uno stato di coscienza soggettivo, mentre il rapporto fra spirito e materia è visto in luce dualistica, come i due volti di una stessa medaglia: interconnessi e interdipendenti, secondo principi “quantistici” che sarebbero stati confermati da recenti esperimenti scientifici.
In altre parole l’Universo – e con esso noi al suo interno - è per Mitchell una entità intelligente che cresce ed impara strada facendo, per cui il suo stesso evolversi impedisce di trovare un qualunque punto di riferimento che faccia da parametro nella ricerca di una verità oggettiva.
Un altro aspetto affascinante della sua visione è il continuo parallelo con le verità scientifiche accertate, che non vengono mai negate da Mitchell, ma anzi compenetrate e rafforzate dall’aspetto spirituale, o “sottile”, che si viene rivelando. Un pò come la luce – sostiene Mitchell - che è materia ed energia insieme, tutto l’Universo è insieme una forma di “pensiero” e la sua rappresentazione fisica.
Quella che segue è la registrazione di una conferenza tenuta a Los Angeles da Ed Mitchell nel 1998. Purtroppo fu fatta con mezzi di fortuna, e la qualità lascia molto a desiderare, ma il racconto della sua esperienza vale davvero la pena di essere ascoltato. (Ripetiamo, che Mitchell stesse davvero “tornando dalla Luna”, o che stesse orbitando attorno alla terra, in attesa di rientrare nell’atmosfera, fa ben poca differenza, e non è certo nell’ambito del dibattito “moon-hoax” che questa testimonianza viene proposta).
Massimo Mazzucco
(Trascrizione)
Quando andai sulla Luna, 27 anni fa, la convinzione generale, sia per la scienza che per la teologia, era che noi fossimo il centro biologico dell'universo.
Ma negli ultimi 25 anni quel concetto è profondamente cambiato, è oggi credo che non ci sia più nessuno, fra coloro che abbiano approfondito seriamente la materia, che ancora creda che noi siamo al centro biologico dell'Universo.
Ed è anche di questo che parleremo stamattina: in che genere di Universo ci troviamo?
Questo naturalmente ci porta al fatto che io abbia avuto l'onore di essere scelto fra un gruppo di privilegiati, che per primi hanno esplorato un altro pianeta, la nostra Luna. Ho avuto il privilegio di aver fatto parte di quel gruppo, con gente meravigliosa, e abbiamo fatto quello che abbiamo detto di aver fatto: abbiamo completato la nostra missione, abbiamo ottenuto interessanti dati scientifici, e li abbiamo riportati indietro, per poter osservare da vicino per la prima volta un altro mondo.
Ero però del tutto impreparato per quello che mi è accaduto sulla via del ritorno.
Avevamo completato con successo la missione, e il mio compito, come responsabile del modulo lunare e delle attività sulla superficie lunare, era praticamente terminato. Sulla via del ritorno ero una specie di "ingegnere operativo", in una astronave che funzionava molto bene, e avevo ben poco da fare oltre a tenere d'occhio i vari indicatori... e contemplare l'Universo.
E l'impatto nel vedere la Terra dallo spazio, di vederla collocata nel Cosmo, di vedere le stelle e le galassie e i gruppi di galassie e pianeti, l'essere in grado di vederli dalla Terra come mai li avevamo visti, dieci volte più luminosi e dieci volte più numerosi, è stato per me qualcosa di assolutamente travolgente.
La prima cosa che mi venne in mente fu un'interconnessione, il fatto che non siamo in un Universo - come dice la nostra scienza - fatto di molecole che rimbalzano una contro l'altra come palline da ping-pong, ma che si tratta di un sistema molto più intelligente e organizzato, di un "sistema organico", in cui le molecole del mio corpo e quelle della navicella spaziale erano dei prototipi realizzati in una remota epoca cosmica.
Questo mi ha colpito personalmente, è stato un grosso impatto a livello emotivo e non soltanto razionale.
Ed è interessante che questo momento sia stato accompagnato da una esperienza mistica, estatica, come quella di chi giunge finalmente in vetta a una montagna.
Allora ho capito che la nostra storia è incompleta, che la nostra scienza è incompleta, e forse anche ingannevole, e che anche le tradizioni cosmologiche [religioni] emerse dalle antiche culture erano incomplete, e forse anche ingannevoli, e che le domande su chi siamo e dove veniamo, in questa nuova epoca spaziale, andavano reimpostate daccapo.
Questo è essenzialmente quello che mi è successo durante il viaggio.
Quando sono rientrato mi sono trovato con un bruciante desiderio di capire che tipo di organismo fosse il nostro, quale tipo di cervello ci permette di vedere le cose in una diversa prospettiva, per poi rimanere così trasformato da questa realizzazione? Con un pò di ricerca, grazie anche a Manly Hall e alla lettura di alcuni suoi lavori, ho scoperto che quello che io avevo vissuto viene descritto nella tradizione mistica come l'esperienza samadica, nella quale si riesce a vedere l'Universo nelle sue varie parti - atomi pianeti e molecole - ma si comprende che c'è una unità di fondo, e questo è accompagnato da un senso di estasi.
Questo mi ha portato su un sentiero di ricerca nel quale ho compreso che le questioni fondamentali che ci poniamo, nella contrapposizione fra la "cosmologia culturale" e la "cosmologia scientifica" [fra religione e scienza], dipendano da una domanda che si pone al centro di tutto: qual'è la natura della nostra coscienza?
(Fine I parte)
E' necessario essere iscritti e loggati per postare commenti.