I primi anni di Internet sono stati illuminanti, ma anche dolorosi. Grazie all'improvvisa disponibilità di informazione, praticamente illimitata, il velo nel quale eravamo cresciuti è diventato sempre più trasparente, fino a rendersi conto che quasi nulla, se non nulla del tutto, è come ci sembrava in partenza.
Si impara così che le democrazie in cui viviamo sono tali soltanto di nome; che ogni goccia del nostro benessere costa sofferenze moltiplicate per mille; che la medicina moderna si pone tutti i traguardi meno quello di alleviare le sofferenze dell'individuo; che chi paghiamo per informarci in realtà è assunto per ingannarci; che le religioni sono quasi sempre usate ... .. per scopi tutt'altro che spirituali; che le "nazioni sovrane" in cui viviamo non sono che un enorme parco-schiavi, in mano a pochi eletti; che le passioni che ci divorano - il calcio, il sesso, la politica - sono in realtà delle armi sapientemente gestite dai medesimi, che hanno fatto del divide et impera le fondamenta del proprio potere; che la storia "è una bugia su cui ci si è messi tutti d'accordo", eccetera eccetera eccetera.
Insomma, ce n'è abbastanza per far venire le vertigini anche a una statua di marmo scolpita direttamente nella roccia.
Eppure…
Prendiamo ad esempio la colonna di commenti che è seguita alla pubblicazione della lettera a Zucconi. Sono commenti vivi, sentiti, personali, che toccano qualcosa che più o meno ci riguarda tutti da vicino, e si sente chiaramente come ciascuno, nel momento di esprimersi, abbia cacciato fuori i suoi umori più profondi.
Ci sono mille voci, con sfumature maggiori o minori, tutte diverse una dall'altra. C'è quella che dice "che schifo", quella che dice "facciamo qualcosa", quella che dice "non serve a nulla", quella che dice "non ci ferma più nessuno". Ma al di là delle singole idee, l'unica voce che forse ciascuno non sente, perchè troppo impegnato ad ascoltare la propria, è quella che dice "noi esistiamo".
Lo so che sembra retorico, ma è così. Esistiamo, ciascuno come individuo, con gli stessi identici diritti di affermare ciò in cui si crede. E questo nella storia dell'umanità non era mai accaduto.
Io non dimenticherò mai la prima volta che postai qualcosa su un forum pubblico, e credo che per molti sia la stessa cosa: l'idea di vedere lì, nero su bianco, consegnate al mondo le proprie parole, è stata una gratificazione impagabile. L'ho detto, e nessuno lo leva più di lì. Io ci sono, io esisto.
(Poi tornai a guardare le mie parole, poche ore dopo, per gustarmele daccapo, e mi accorsi che erano già scomparse dalla pagina, sepolte e scacciate da altri mille post identici al mio. Cominciai allora ad ingegnarmi per rientrare subito nella discussione, e che non si permettessero mai più di fare senza di me in questo intero universo!)
Se è vero che un uomo si afferma in ciò che fa, è anche vero che non può dire di esistere finchè non si riconosce in ciò che pensa. E nel momento in cui questo accade, scatta un meccanismo per cui la presa di coscienza genera a sua volta nuovi concetti, che una volta espressi vanno a rinforzare il nucleo iniziale.
Più si sa di essere, più si conosce, e più si conosce, più ci si rende conto di essere. Questo indipendentemente dal dolore, che in ogni caso, maggiore o minore, è comunque assicurato. Ma alla fine del rito, una volta squamata la pelle vecchia e rinforzata la nuova, non si farebbe mai più marcia indietro.
La caduta contemporanea, inizialmente spaventosa, di tutto quel blocco di riferimenti che rappresentava le nostre sicurezze, viene ripagata nel tempo da una crescita personale che va a sostituirli, uno per uno, con certezze che non sono più basate sulle apparenze, ma su valori interiori.
E quelli, una volta consolidati, non ce li tocca più nessuno.
Massimo Mazzucco
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