di Andrea Franzoni
La “Cronaca nera”, che tanto riempie i nostri telegiornali, non ha mai nulla di reale da insegnarci. Essa è un’appendice al telegiornale o al quotidiano, una nota già di per sé superflua che non aiuta a capire nulla, né a formarsi un’idea reale, né ad aiutarci a dare un nome ai fenomeni che condizionano la nostra vita, né a muoverci ad adattarci ad essi né a contrastarli, tramite varie forme di impegno e rappresentanza, per riprendere un po’ le redini del nostro mondo. Allora perché essa ha tutto questo rilievo e suscita tutto questo interesse?
Proviamo per analogia. Un servizio sul funzionamento dello stato, o sul panorama politico italiano o internazionale, aiuta lo spettatore a formarsi un’idea sul “sistema”, sui governi e sui partiti che se li contendono, aiutandolo a prendere un’etichetta fra le tante proposte e polarizzando scontri spesso quasi ridicoli per trascinare i cittadini alle urne oliando l’impressione che tutto sia sotto il nostro controllo. Un servizio sulla cronaca estera ha lo scopo di dare una collocazione nel panorama internazionale alla nostra civiltà e ai nostri valori, sostenendo implicitamente o esplicitamente una centralità dell’occidente dovuta al suo stato di maggiore sviluppo politico ed economico ma soprattutto culturale: il “vivere nel migliore dei mondi possibili” che si nutre dei “capricci” dei Chavez e dei Fidel Castro, della litigiosità dei paesi come l’Iraq … … o dei popoli come il palestinese, dello stacanovismo dei cinesi o della prepotenza dei russi, dei presunti furti di bambini e degli incendi nei campi rom. A seconda dei governi e degli orientamenti avremo una semplice superiorità, con un atteggiamento di simpatia simile all’interesse per gli animali strani, o la convinzione che è giusto colonizzare menti e culture con il nostro “way of life”.
Un servizio sulla astratta povertà nel mondo offre la giusta spruzzata di ipocrisia al Tg senza offrire spiegazioni ma lasciando inteso, fra le righe, che l’occidente anche in questo caso è pietoso, caritatevole e comunque centrale e imprescindibile nel caso, un giorno, si voglia sollevare la situazione di queste anime perse. Un servizio sui reali inglesi, sul matrimonio di Tom Cruise o sul figlio di Totti, insegna allo spettatore da che lato guardare e lo fa tornare bambino: un dolcetto che generalmente si conserva per la fine. Questo è quello che il cittadino desidera e che il telegiornale (anche perché fatto da altri cittadini) offre.
Come si colloca però in questa prospettiva la “Strage di Erba”, l’omicidio del piccolo Tommy o quello dei coniugi Donegani?
Questa “Cronaca nera” (o meglio “Gossip Nero”, “chiacchiericcio”) non ha guadagnato una parte centrale nell’informazione per una semplice ragione di curiosità macabra e morbosa, quanto perché ha uno scopo profondamente terapeutico e consolatorio.
Un crimine provoca più angoscia, sgomento e quindi interesse quanto esso appare indiscriminato ed immotivato. Il motivo per cui il terrorismo suscita tanta paura è proprio la percezione (reale) che esso colpisca a caso nel mucchio senza distinguere buoni e cattivi, belli e brutti, retti o pervertiti: benché le vittime e i danni siano statisticamente irrilevanti (si pensi ai morti per incidenti stradali, cancro o depressione e suicidio, nettamente maggiori) il terrorismo minaccia tutti e non c’è modo o comportamento per salvarsi da questa roulette. Non basta mettere la cintura, guidare con prudenza, evitare il fumo o le droghe, usare il preservativo o scoprire le gioie spirituali dell’astinenza, mangiare tanta verdura, comprare un vestito firmato o un naso alla Brigitte Bardot.
Lo spavento è ancora maggiore di fronte ad un crimine nato in tempo di pace e nella cellula della società che si vuole più pacifica e unita cioè la famiglia, il vicinato o, comunque, la quotidianità. Nessuno si cura delle prostitute, dei “tossici” o degli anziani soli che vengono uccise, muoiono o scompaiono da qualche parte. Nella cronaca nera che riempie i telegiornali lo spettatore rivede sé stesso: una persona normale, un onesto cittadino, un padre o una madre di famiglia. Per consolarsi esso ha bisogno di due cose: da una parte di convincersi che le circostanze del crimine non erano proprio così “normali”, e che quindi una forma di esclusione e chiusura di chi sembra anche leggermente diverso può essere la chiave per la propria attiva salvezza; dall’altra parte trovare il colpevole ed urlare la propria rettitudine nella misura in cui si è diversi dal “mostro”.
Il telegiornale si innesta su questa angoscia e su questa fame di notizie con impronta terapeutica. Prima di tutto esso fa da cassa di risonanza allo sdegno popolare, alle fiaccolate, alle sottoscrizioni e ai discorsi nei bar con i quali, tutti, si prodigano per rilanciare, in massa, la tranquillità di un corpo sociale retto, onesto, capace di provare dolore e interesse, distante anni luce dalla follia dell’omicida. Questo ovviamente non cambia la realtà di disinteresse se non di attriti che slegano, nella vita quotidiana, il singolo da ciò che gli sta intorno.
In secondo luogo il telegiornale segue aggressivamente le indagini, sforna fin dal primo minuto un presunto colpevole da vivisezionare in prima pagina per ripristinare la pace messa a repentaglio dalla “mina vagante”, dà addirittura l’impressione di collaborare con la giustizia e con lo Stato a cui tutti improvvisamente si rivolgono.
Infine analizza il colpevole con lo scopo di stilare un profilo distante dalla quotidianità nel quale, da tempo, sono presenti i germi del pazzo omicida. Il colpevole deve diventare una sorta di mostro, rendendo il suo crimine non più “immotivato” ma quasi evitabile. Non può dal “Bene” nascere “Male”, altrimenti tutti noi siamo ugualmente in pericolo.
Generalmente si scava nel passato o nelle abitudini degli assassini veri o presunti per costruire un profilo di potenziale omicida da evitare dando una via di scampo, o almeno un comportamento da mettere in atto, al comune cittadino.
Esemplare la strage di Erba, dove i giornali assegnarono in un primo momento il ruolo di colpevole ad un tunisino, padre e marito delle vittime che stanno alla base della strage. L’uomo, oltre che essere tunisino (e quindi propenso nell’immaginario ad utilizzare lo sgozzamento), faceva parte di una coppia mista (fonte di instabilità per abissali differenze culturali) avendo sposato un’italiana. Inoltre era appena uscito dal carcere grazie all’indulto avendo un passato scomodo da spacciatore. Non una brava persona qualunque, quindi: già il crimine passava dallo status di “angosciosamente inspiegabile” a “evitabile” consolando lo spettatore. Oggi i colpevoli sembrano i vicini di casa, diventati in poche ore maniaci dell’ordine, silenziosi, che si alzavano alle cinque del mattino e litigavano con i vicini perché –a loro dire- facevano chiasso. Un buon motivo, d’ora in poi, per chiudere ancora di più la porta in faccia ai nostri dirimpettai.
Ancora più significativo il caso precedente, quello del sequestro (e omicidio) del piccolo Tommaso Onofri. Inizialmente era stato accusato il padre, Paolo. Dopo oltre una settimana dalla scomparsa, infatti, era stato trovato un garage di proprietà del padre con un computer su cui erano stati scaricati file pedopornografici. Prima uomo comune per eccellenza, Paolo Onofri era diventato improvvisamente un mostro tendente alla perversione e quindi probabile assassino del figlio. «Questa è una storia orrenda. Dove niente è come sembra, dove il tempo che passa sembra una sentenza, dove un padre preferisce la tutela del proprio ego alla salvezza di suo figlio» scriveva il Corriere della Sera. Oltre al materiale pedopornografico, che Onofri diceva di raccogliere per una denuncia, l’articolo evidenziava la presenza, nel garage segreto alla stessa moglie, di “testi new age”. «Nel lunghissimo interrogatorio di mercoledì notte gli è stato spiegato che forse è il caso di cominciare a collaborare, che qui il tempo passa troppo veloce. Lui si è imbestialito». Come ogni uomo a cui è stato rapito il figlio, improvvisamente sbattuto in prima pagina con l’accusa di essere un mostro accusato dell’omicidio del figlio stesso. « La sera dopo il sequestro, con la moglie e i figli stravolti dall’angoscia, l’uomo comune tornerebbe a casa alle tre di notte, dopo aver girovagato per la campagne guidando e parlando al cellulare per ore, ripetendo il copione la sera seguente?» aggiungeva il cronista del Corriere adducendo nuove “prove”.
Le indagini hanno poi rivelato che Paolo Onofri era completamente innocente, e qualche giornaletto scrisse anche che era stato ucciso due volte. Dell’accusa di pedofilia non si è saputo più nulla, o meglio nessuno più si è (ovviamente) interessato; Paolo Onofri è tornato a essere la vittima da trattare con delicatezza. L’attenzione si è spostata sul vero assassino: Mario Alessi. Muratore siciliano, qualche anno prima aveva rapinato due giovani che si erano appartati violentando, con un complice, la ragazza. Non un uomo comune, quindi: un mostro, un depravato. E anche questo crimine si è allontanato dalla famiglia qualunque.
Si potrebbe pensare a Guglielmo Gatti, colpevole di avere ucciso gli zii e uomo solitario “con l’aria da assassino”. O ad Annamaria Franzoni, una pazza che va a piangere in televisione, aveva avuto un’infanzia repressa e, con il figlio morto da poco, aveva l'ardire di chiedere al marito, con i nervi a pezzi, di farne un altro.
Per distruggere un uomo e per costruire un mostro basta poco, ma per lo spettatore è sufficiente. Rimarranno sul campo luoghi comuni, forme di discriminazione ed esclusione sociale, di emarginazione del “diverso” e, chissà, di “correzione” degli introversi o dei maniaci dell’ordine. Il tutto per un rischio, ad oggi, statisticamente prossimo allo zero.
L’insegnamento della Cronaca Nera è semplicemente questo, e vi sono buone possibilità sia errato. Creando nuovi pregiudizi, nuova frammentazione, nuove forme di incomprensione e minore interesse a comprendere, a rispettare e a provare sano interesse per chi ci sta attorno, chissà che non si crei solo ulteriore crimine ed ulteriore divisione.
Andrea Franzoni (Mnz86)
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