di Salvatore Viglia
- Dica.
- No, lei dice “Duca”, io dico dica.
- Se lei dice dica, io che dico?
La metafora del grande Totò veste in pieno la questione Pacs divenuta, per opportunità DI.CO.
Il braccio di ferro con la Chiesa, rischia di esondare i limiti della decenza. Stato e Chiesa pretendono di dire la loro in una questione che si presta molto bene a strumentalizzazioni, ideologiche da un lato e religiose dall’altro. Se uno Stato laico non è in grado di prescindere dai dettami impositivi della dottrina della Chiesa, diventi confessionale. Si affidi ad una sorta di sharia occidentale, dove la dottrina della Chiesa sia La Legge.
Le motivazioni, per bocca di Monsignor Rino Fisichella vescovo ausiliare di Roma, sarebbero di tre ordine di motivi: … … dottrinali, culturali e politici.
Dottrinali, in quanto i DICO non promuoverebbero la famiglia sovvertendo la norma scritta del Creatore che la vuole quale fondamento della società; culturali, perché i giovani sarebbero distratti da forme alternative di famiglia che non li aiuterebbero a prendere decisioni durature per la loro vita. In questo modo, storditi dall’eccessivo “assortimento” delle scelte, i giovani si indebolirebbero e, con essi, la famiglia e l’intera società; politici, e cioè una intolleranza laicista che consentirebbe alla Chiesa di esprimersi sì, ma imponendole di non compiere ingerenze.
Ecco un classico esempio, come se non bastasse, di contrapposizione tra poteri.
Il parlamentari saranno chiamati presto a votare questa legge. La posizione dei cattolici è quella più scomoda: «Un parlamentare cattolico –ha detto Monsignor Fisichella- non può favorire con il proprio voto una legge che contraddice in maniera manifesta, come in questo caso, la promozione della famiglia fondata sul matrimonio monogamico, tra persone di sesso diverso».
In poche parole, i cattolici che siedono in parlamento dovrebbero votare contro i DICO per ragioni di coscienza. Dimenticando, però, che molti tra questi, con quella stessa coscienza che li ha contraddistinti e li ha caratterizzati nel corso della loro storia, sono divorziati e convivono da moltissimi anni.
Qui ci troviamo al cospetto della difesa della forma più che della sostanza. Il problema delle coppie di fatto, è una realtà oramai incontrovertibile se non si ritiene ipotizzabile la riapertura dei tribunali inquisitori.
Paradossalmente, l’opposizione della Chiesa alla legge sui diritti dei conviventi, avrebbe un senso, e lo avrebbe secondo i dettami della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, se si ritornasse alla sanzione ecclesiastica vera ed affettiva declamata da un giudice ecclesiastico in forma solenne.
Viceversa, sembra piuttosto una “investitura” unilaterale e bizzarra alla carica di deputato e di senatore di questa Repubblica da parte dei “togati” della Chiesa.
Monsignor Fisichella dice: «Il “no” non è negoziabile»; io dico: «Se dico “si” ai DICO ma sono cattolico, cosa mi succederà? Sarò punito, cacciato dalla casa di Dio, sarò messo al bando ed indicato come peccatore, mi tatueranno una “lettera scarlatta” sul petto come si faceva per le fedigrafe nel medio evo?».
Forse perché il perdono è una pratica che non viene più esercitata dalla Chiesa? Si deve ritenere, come per il sig. Welby, che le conseguenze consistano in questa negazione?
Allora se è così necessario che lo dicano apertamente. Fuori la politica dalla Chiesa.
Salvatore Viglia