Un interessante articolo di Blondet sulla "questione meridionale" vista da nord. I toni sono decisamente forti, ma c'è qualcuno che se la sente di dargli completamente torto?
di Maurizio Blondet
Anni fa andai in Sicilia in vacanza (mai più); e ci andai in auto, ossia sottoponendomi al ricatto malavitoso, orrendo ed offensivo dell’intelligenza e della civiltà, chiamato “Salerno-Reggio Calabria” (mai, mai più). All’imbarcadero, una enorme fila di auto in attesa del traghetto per Messina, e dei giovanotti che pretendevano di lavarci i vetri a noi in attesa – naturalmente prendendo di mira in modo specialmente molesto le targhe del Nord. Quando apostrofai duro uno di loro, non volevo mi lavasse il vetro , quello protestò con la seguente frase: “Ecche ddevo fa? Devo andà a rrobbà?!”
Il turismo nel Meridione è vissuto così. Come una opportunità interstiziale di fornitura di servizi-ricattuccio, una via di mezzo tra l’accattonaggio e il furtarello. Sto esagerando? Poche settimane fa m’imbarco ad Orio al Serio (Bergamo, il Nord) per Tessalonica, dove mi attende un resort 5 stelle che mi costerà la metà di qualunque destinazione turistica italiana, sul mare, davanti a una foresta…Ebbene, cosa succede? Cerco un carrello bagagli, e non ne trovo. Non c’è alcun carrello bagagli, nemmeno uno. Sono scomparsi da Orio al Serio. Negli aeroporti moderni ce ne sono a disposizione migliaia, in immensa abbondanza e gratis; negli italiani, sono a pagamento; a Orio al Serio, non ce ne sono affatto.
Poi mi accorgo che c’è un tizio, con una valigetta sdrucita a mano, che sta lì seduto in attesa. Ha un carrello e ci ha messo sopra la sua vecchia valigetta. [..] La sua faccia – somiglia ad Euardo De Filippo – lo dichiara un figlio della linea genetica osco-campana. In breve, una famiglia straniera piena di valige cerca disperata un carrello, il De Filippo glielo offre: “Damme due euri”.
Un quarto d’ora di osservazione in attesa del volo consente di appurare che ad Orio, nel Nord, s’è instaurato un racket. Un racket dei carrelli, terronico. Ciò che colpisce in questa faccenda, è – come chiamarla? – la micragnosità, la grettezza meschina: col turismo altri popoli fanno miliardi, gli osco campani puntano ai due, tre, trenta euro. Intralciando il turismo.
E’ la stessa miseria documentata da vari servizi giornalistici nel “giro d’affari” straccione attorno a Pompei: la bancarella che si fa pagare un occhio la bibita calda allo straniero assetato, e che dispone – a pagamento – di un cesso chimico da 2,5 euro per gli stranieri a cui scappa, e che ovviamente non trovano cessi e toilettes nella zona archeologica più visitata della Campania.
Il business di Pompei è ostaggio dei camorristi, quasi tutti assunti come “personale”, “custodi”, impiegati. Sono quelli che lasciano migliaia di turisti al sole per due ore, mentre loro “hanno l’assemblea”. Sono criminali che si sono impadroniti di un bene dell’umanità e lo trattano come fosse cosa loro. E quel che offende non è tanto che siano delinquenti con mentalità da delinquenti, ma che siano così piccini, da non saper approfittare di un business che renderebbe miliardi e darebbe lavoro a centinaia di migliaia di napoletani, osco-campani e fescennini.
Occupano una spazio per impedire che siano altri, con grandi idee, a farci affari da milioni.
In passato ho già notato che attorno a Pompei non è sorto un Hilton, un Holiday Inn, un resort di quelli che esistono dovunque nelle località turistiche del mondo – anche del terzo mondo – 500 camere, servizio tutto compreso, che farebbero affluire centinaia di migliaia di turisti a spendere milioni di euro al mese. Sapete perché? Perché la Camorra ha sì i capitali, ma non ha la testa, nemmeno il senso degli affari, la grandezza mentale per gestire gli Hilton e i resort. Così impedisce – attraverso i colleghi camorristi in Regione – che vi si insedino attorno a Pompei. In modo che loro possano mantenere il loro business del taglieggio sui WC. Il business del cesso.
Il risultato: i turisti stranieri arrivano con le navi da crociera. Dormono lì e non spendono nulla negli alberghi napoletani. Vengono caricati sul pullman per la visita a Pompei, e ripartono al più presto, anche per evitare i borseggi, i molesti che offrono servizi-cesso a pagamento, e la sporcizia che si accumula.
Fondi europei sono stati stanziati, per sviluppare Pompei ed aprirla ad un turismo diverso, moderno, fantasioso, colto e di massa; magari affiancare l’area archeologica con una Pompei ricostruita di cartongesso (un parco tematico, si dice all’estero) dove i turisti possano mangiare i cibi di allora nelle caupone, visitare la taverne, assaggiare il garum, e il vino al miele mesciuto da giovinette osco-fescennine in costume, farsi spiegare le scritte sui muri uguali a quelle del primo secolo (ma non sbiadite), assistere alle danze delle danzatrici, allo spettacolo serale di “suoni e luci” che riproduce i i bagliori del Vesuvio di quella notte fatale…Nulla.
I camorristi (pardon, dipendenti) sono in assemblea. La Regione ha lasciato smorire i fondi europei, perché la camorra chiamata assessorato non è riuscita a convincere Bruxelles che i soldi li desse a lei, e faceva una meraviglia: avrebbe portato i turisti a vedere come si fabbrica a’mozzarella. Altro che archeologia! A’ mozzarella, ecco quel che vogliono vedere i turisti! Ovviamente, è il contrario: la camorra non capisce se non la mozzarella.
Anni orsono, un giornalista – mica un prolet napolitano, un giornalista del Mattino – intervistato in un’inchiesta di Report sulla de-industrializzazione della Campania (era un esperto), alla ovvia considerazione dell’intervistatore che quelle spiagge bruttate ed inquinate per sempre da fabbriche pubbliche dismesse erano sottratte al turismo, si rivoltò: “Turismo! Il Nord ci vuole ridurre a fare i camerieri”. Subito dopo, Report mostrava come i tedeschi abbiano fatto diventare un luogo di attrazione turistica la zona industriale (dismessa) della Ruhr: un agglomerato di ruggine che non può essere nemmeno chiamata “archeologia industriale”, perché era in funzione fino agli anni ’80. Una distesa di capannoni, silos, nastri trasportatori, tettoie sotto le quali arrugginivano i macchinari colossali del carbone e dell’acciaio….Ebbene, il parco tematico della Ruhr era riuscito a diventare una grande impresa turistica – in attivo, mica in perdita. Come? A forza di idee, di fantasia, di cultura e di senso dello spettacolo, di modernità. Nessun tedesco lì era “ridotto a fare il cameriere”; il turismo implica professioni alte ed anche altissime, direttori d’albergo, creativi, redattori di riviste, linguisti, realizzatori di video… naturalmente l’osco-fescennino non riesce a concepire se stesso se non come “cameriere”. Come servo, si pensa.
E si inalbera pure, il campano: volete fare di me un cameriere? Finalmente, mostra dignità, orgoglio, anzi superbia. Quell’orgoglio che non dimostra quando si contenta di taglieggiare il turista occasionale col suo cesso chimico, quella dignità che non riesce a trovare in sé per impedire il degrado vergognoso della ex città più bella del mondo (andate a vedere i quadri del Golfo nell’800), che produce disoccupazione “organizzata”, la trova quando si tratta di ribellarsi al destino manifestamente turistico della sua regione. Destino che, beninteso, è riuscito ben bene a stroncare per sempre, a forza di accumulare rumenta, di lordare le onde, di distruggere le coste con le casette abusive, di far paura al viaggiatore di essere borseggiato o altrimenti derubato al ristorante, di rigettarlo con la maleducazione dialettale, furbesca, cialtrona.
E’ qui che si pone un problema, e che dovrebbe porselo il popolo meridionale (a cui noi del Nord trasferiamo ogni anno 60 miliardi): sono forse cretino? Io che i stimo tanto più intelligente dei nordici, io erede della Magna Grecia, sono magari – invece – un idiota? Un rozzo arretrato cafone incapace di approfittare delle occasioni , di mettere al servizio la sua intelligenza di una qualche iniziativa decente? Forse perché non ho intelligenza alcuna?
Vediamo: gli stranieri vanno e spendono più nel Trentino Alto Adige (mezzo milioni di abitanti) che in Sicilia (5 milioni di abitanti). Sono più attratti dalla Lombardia e dalla Toscana che dalla Campania. Non vi viene il dubbio, meridionali, che i visitatori e i turisti cerchino un livello di civiltà che voi non siete in grado di dare? Che, forse, non volete dare?
La domanda che dovete porvi questa: voi che siete così intelligenti e furbi, non è che siete, collettivamente, stupidi? Provate a identificare l’Idiota Collettivo, e come egli riesce ad allontanare i turisti che vi porterebbero miliardi soldi e lavoro.
L’Idiota Collettivo è, essenzialmente, un enorme maleducato. Un rozzo cafone, un bifolco che non riesce a mettersi nei panni del prossimo. Il Cafone Collettivo non si domanda: che cosa piacerebbe trovare a me se andassi all’estero? Cosa apprezzerei?
Il Cafone Collettivo non può porsi la domanda, perché, mentalmente, è uno che vive ancora nel mondo rurale. Non è uscito dall’angustia campestre di quando faticava per il latifondista. Lui può considerarsi moderno, avere un bagno in casa ultra-piastrellato (in Sicilia i bagni sono smaglianti anche nelle case abusive); però quando si piega a fare il turismo, torna al passato da cui viene. Torna ad essere lo zappatore per cui fare la cacca non era un problema; la si fa nei campi, perdio! E quale carta igienica? La foglia, o anche la pietra, basta. E l’acqua corrente? Ma non facciamo ridere!
Così siamo un paese dove il turista giudica carente “l’accesso ai servizi igienico-sanitari”. L’unico in Europa. E sicuramente la lagnanza non riguarda il Trentino Alto Adige e nemmeno, nonostante tutto, la Lombardia. Siete voi, bifolchi meridionali, che dovete mettervi nei panni dello straniero e chiedervi: a me farebbe piacere trovare un bagno pulito?
Non può, il Cafone Collettivo, per un motivo ben noto: il suo repertorio di curiosità è estremamente ristretto. Il faticatore a giornata non legge e non ne ha bisogno, il suo paesaggio mentale è quello delle zolle. Se gli offrissero di andare Parigi o a Londra, non saprebbe cosa farvi. La sua ottusità e rozzezza non lo rende curioso del mondo e degli usi e costumi altrui, né delle cose immateriali di cui ha bisogno l’uomo civilizzato.
Del vasto mondo, gli interessa solo una cosa: come si mangia? Per secoli è stata l’ossessione del faticatore: quando se magna? Se magna tanto? Riempirsi la panza, ecco il millenario problema dello zotico campestre. Il napoletano civile, il siculo magari progressista (professionista dell’antimafia), senza tabù (un governatore finocchio gli va benissimo), appena si deve occupare di turismo non ha in mente che quello: come se magna in Italia nun se magna da nessuna parte – è il suo dogma cafonesco – e quindi, il turista lo attiriamo col magnà. Anzi, nemmeno lo attiriamo: viene lui qui, e noi lo derubiamo sul conto alla trattoria.
Tutto il resto che il turista chiede: trasporti puntuali, pulizia delle strade, wi-fi che altrove in Europa sono in ogni bar ed albergo, non servono. Sulla zolla, il bifolco zappatore non poteva nemmeno concepire che qualcuno, nel mondo civilizzato, ne abbia bisogno. La possibilità di prenotare online? Non preoccupa né commuove gli albergatori meridionali. Eppure “il fatturato generato dall’online è del 26% in Spagna, il 39 per cento in Gran Bretagna, l’88% in Irlanda…in Italia il 18%”.
Per “qualità e infrastrutture del trasporto aereo” siamo al settantesimo posto. E’ logico, cosa vuoi che serva al faticatore a giornata, allo zappatore che siete, appena si tratta di turismo. Lo zappatore non sa nemmeno cosa sono gli aeroporti, figurarsi poi quelli moderni, gli hub – che hanno sotto le piste tre o quattro livelli di trasporti pubblici, ferrovie, metropolitane, bus, – e ovviamente carrelli per i bagagli.
Il motivo della sporcizia delle strade di Roma, che tanto allarma lo straniero (dove sono capitato?) si spiega non solo con la criminalità che ha occupato i servizi comunali. Il vero, profondo motivo è il millenario rapporto che il bifolco ha mantenuto con la “sporcizia” della stalla: un rapporto, bisogna dirlo, amichevole.
Il miscuglio di paglia fradicia e di fatte di vacca, lo rendeva contento: è letame, sparso sui campi o nell’orto fa crescere bene la verdura. Lo ammassava in una fossa a fianco della casa colonica. La puzza di piscio che vi si sprigionava sempre più acuta era grata alle sue nari: sta fermentando, diventa un buon concime.
Sono tempi che crediamo passati per sempre. I veri coltivatori, moderni – da distinguere accuratamente dal cafone, lo zappatore a giornata – hanno ampiamente superato questa fase. Invece il romano, appena si deve occupare di visitatori stranieri (e ne riceve tanti, per via del Papa) torna ad essere il pecoraio che per secoli ha vegetato fra i grandiosi ruderi, portando le sue greggi a brucare sotto l’arco di Tito o al Foro. Che oggi i rifiuti siano lattine e pezzi di plastica, inadatti a trasformarsi in concime, non l’ha ancora colto: per lui, la strada di città è una parte del pascolo. Lui se ne sta lì, fra le capre, credendosi ancora il pittoresco personaggio che ritraevano i contemporanei di Goethe; offre piatti della sua cucina pecoraia e pecoreccia, pajjata, coda alla vaccinara, pasta alla carrettiera…. è il Settecento agro-mentale quello in cui vive.
E in Sicilia? Un tempo, tanti anni fa, andavo a Nord di Messina, sulla costa. Una costa coperta fin sulle spiagge di aranceti e mandorli. Un paradiso terrestre. Adesso, sradicati gli agrumeti, il Siculo Collettivo ha riempito, anzi intasato il lungomare delle sue case abusive. Si noti, gente che abita a cinque chilometri, a Messina o al Faro, “deve” farsi la casa abusiva sulla “sua” terra, per “andare al mare”. C’è qui un sovrappiù di stupidità di fronte a cui la mente si arresta, abbacinata: perché lo fa? Deve far vedere agli altri Sicul-Collettivi che è”roba sua”, e che ci fa quel che vuole? Un assessore siculo infatti disse una volta, a mo' di spiegazione: “ Qui da noi c’è la cultura dell’abusivismo”. Impagabile. E’ una cultura, l’abusivismo. Cioè l’insieme dei “valori” collettivi che tiene insieme un popolo nei secoli. In Sicilia, se non si abusa, ci si sente fuori posto, traditori della nazione.
Vabbé, torno a discorso. Fra le casette abusive in cemento a Nord di Messina, ho provato a scendere per le stradelle abusive cercando di raggiungere la lingua di spiaggia che hanno lasciato. Tutte le casette erano piene di gente che “stava al mare”. Lo stare al mare consiste nel fare grandi magnate, con cibi portati da casa, in compagnia. Ma soprattutto, di cozze. Quintali di gusci di cozze ingombravano la stradella, vere a proprie montagne che le donne avevano buttato appena fuori dalla loro stessa porta abusiva di casa abusiva. La puzza di cozze che marciscono al sole, provate a immaginarla. Ma a quella gente allegra, non dava fastidio. Non si provavano nemmeno a portarle (tutti avevano macchine, a volte lussuose) in qualche discarica, almeno lontane dalla loro casette abusive in cui a fare la pennichella e passavano, pare, le notti. No, gli piaceva la puzza. La puzza di rifiuti organici che ha sempre circondato o’Cafone Collettivo nei secoli, non cessa di essere grata alle nari dei loro bisnipoti.
Poi si scopre che il Meridione “è cresciuto la metà della Grecia”. In Grecia sono stato da pochissimo, e posso dirlo: all’aeroporto di Tessalonica, nessuno ha fatto sparire i carrelli. La gente è povera ma non losca, non occupa abusivamente spiagge, non si appropria dei beni e patrimoni comuni come fosse suoi, o della sua casta. I greci somigliano ai meridionali? Ma sono educati, gentili. Se si occupano di turisti, si mettono nei panni dello straniero e si chiedono: cosa vorrei io, se fossi all’estero? In un albergo da 24 euro a notte, c’era il wi-fi. Siccome sono salito su un bus per andare al museo di Salonicco (ve lo consiglio) e non ero fornito di biglietto – mi avevano detto erroneamente che potevo farlo a bordo – una signora settantenne, certo povera, mi ha dato un biglietto e non ha voluto il costo. Per questo tornerò in Grecia. In Sicilia, mai più.
Semplicemente, pongo il problema: vendere turismo significa anche “vendere” il Paese, la sua civiltà, civiltà che si manifesta soprattutto nel rendere servizi di buona grazia a chi li paga. Non è un mestiere per ottusi, arretrati mentali, cafoni risaliti dal profondo dei secoli. Ma noi restiamo a quello stadio.
Come mai? “Come convincere un popolo che non è tanto intelligente?” si domandava Ortega y Gasset. Parlava degli spagnoli: che al confronto di Calabresi e Siculi, di Campani e Pugliesi, hanno un turismo fiorente, che fa vivere e prosperare intere regioni. Il problema forse è questo. Gli stupidi, esistono in ogni paese. In ogni popolo, sono persino la maggioranza. Ma come mai in Italia solo lo Stupido ha voce in capitolo, e impone il suo stile da pecoraio da età della pietra, la sua inciviltà, la sua volgarità, la sua ottusità e incapacità di mettersi nei panni del visitatore, ossia del prossimo? Come mai ha preso il potere?
Non so. Domando. E’ lui che ostacola il turismo e lo sviluppo del Sud.
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