Che il Pakistan sia la chiave di volta del futuro assetto dello scacchiere internazionale lo si era capito da un pezzo.
Con l’attentato di un paio di ore fa, che ha segnato il ritorno di Benazir Bhutto alla terra natìa, ne abbiamo avuto la misura dell’importanza: centoventi morti e duecentocinquanta feriti, in seguito a due esplosioni lungo il percorso del corteo della Bhutto fra le strade di Karachi.
La leader pakistana, che rientrava da 8 anni di esilio a Dubai, non è rimasta ferita, ma quasi tutte le vittime - a parte una ventina di poliziotti - facevano parte del suo entourage, che è rimasto così dimezzato prima ancora di entrare in azione.
La Bhutto aveva ampiamente previsto “sorprese” di questo tipo, preaddebitandole - se mai si fossero verificate – alle “autorità nascoste” all’interno dell’attuale governo. Il marito, molto più esplicito, ha accusato per l’attentato “le agenzie di governo che stanno per perdere potere” in seguto al rientro della Bhutto sulla scena politica.
E’ da tempo infatti che Musharraf, caduto in disgrazia a Washington (in quanto semplicemente non più utile) ha perso anche il supporto interno, a causa soprattutto dell’ambigua alleanza ... ... con gli americani “per combattere il terrorismo”, ovvero i Talebani e le forze a loro alleate che controllano le zone di frontiera con l’Afghanistan.
Il ritorno della Bhutto è stato voluto a furor di popolo, e pare che ci sia stato un accordo dietro le quinte, con Musharraf, nel caso di una probabile vittoria del partito di Benazir, il PPP, alle elezioni del prossimo gennaio.
Il che non toglie che Musharraf sia probabilmente il primo al mondo che non vede l’ora di potersene sbarazzare.
Massimo Mazzucco