Attorno alla figura sempre più labile del già poco incisivo Presidente Bush, si sta venendo a creare una serie di analogie che ricorda molto da vicino gli storici momenti del Watergate.
Tanto per cominciare, è proprio uno dei due giornalisti passati alla storia per il caso Watergate, Carl Bernstein, a lanciare il sasso nello stagno, con un lungo articolo su Vanity Fair di questo mese, che invoca a chiare lettere un processo di impeachment contro Bush da parte del Congresso americano (il Parlamento).
Carl Bernstein è la figura "minore" del duo del Washington Post che una trentina di anni fa portò ad affossare la carriera del presidente Nixon. Bob Woodward, "bello e brillante" (nel film
Tutti gli uomini del presidente , che raccontava la storia di Watergate, era impersonato da Robert Redford) ha fatto carriera sulle copertine e in televisione, ed è stato da sempre il cocco dei salotti di Washington.
Ma Bernstein (che nello stesso film era impersonato da Dustin Hoffman) sta mostrando di non essergli assolutamente da meno, ... ... in quanto a tenacia, accuratezza nella ricerca, ed acume della sua penna.
Già così come stanno le cose, Bush è destinato a passare alla storia per l'undici Settembre, per la malaugurata guerra in Iraq, e per il disastro di Katrina, ma il ritratto impietoso che Bernstein dipinge si allarga fino a coinvolgere l'intera truppa di neocons che lo circonda, mettendone a nudo la
forma mentis che sta alla base stessa di tutti i disastri, a livello globale, combinati da costoro in questi ultimi anni.
La lista dei capi di imputazione redatta da Bernstein è agghiacciante, ed il fatto che nonostante questi innegabili errori il Presidente sia riuscito a rimanere in sella, facendosi addirittura rieleggere, la dice lunga sull'impatto emotivo che deve aver avuto sulla popolazione americana la psy-op dell'undici Settembre.
In ogni caso, se davvero vi sarà un processo di impeachment, sarà ufficialmente basato - altra analogia con Watergate - sulla autorizzazione illegale che recentemente Bush ha concesso all'FBI per spiare, altrettanto illegalmente, qualunque cittadino americano senza previa autorizzazione del giudice.
(Il caso Watergate, per chi non lo ricordasse, era partito inizialmente dall'accusa contro Nixon di aver fatto installare delle cimici nella sede della campagna elettorale dei democratici, per le elezioni di quell'anno. Fu poi Gerry Ford, che sostituì Nixon dopo le sue dimissioni, a perderle contro il democratico Jimmy Carter).
La doppia illegalità nell'autorizzazione di Bush alle intercettazioni telefoniche sta nel fatto che, da una parte, la Costituzione vieta espressamente questo tipo di violazione della privacy senza il benestare del giudice, e dall'altra nel fatto che a sua volta Bush abbia approvato segretamente questa autorizzazione, senza prima sottoporla, come vorrebbe la legge, al Parlamento in carica.
Ma le colpe di Bush, lo sanno tutti, sono ben altre, e la questione delle intercettazioni sarebbe solo il "cavillo giuridico" che mette in moto la macchina dell'impeachment, la quale permetterebbe di portare alla sbarra tutti i personaggi di primissimo livello dell'amministrazione 2000-2004, con delle conseguenze che a fatica si riescono ad immaginare.
Proviamo solo a pensare a cosa potrebbe uscire dalla bocca di un Colin Powell, una volta che gli venisse chiesto - sotto giuramento - come si fosse mai sognato di andare all'ONU a sostenere la "certezza che l'Iraq abbia le armi di distruzione di massa".
Ma non è solo l'Iraq, evidentemente, ad essere rimasto di traverso agli americani (attualmente il 52% di loro ritiene la guerra in Iraq un errore che non andrebbe ripetuto). L'uragano Katrina ha fatto la stessa devastazione sul terreno di quanta ne abbia fatta nel subconscio dell'intera popolazione, così abituata a sentirsi protetta da un sistema di emergenza fra i più efficienti ed invidiabili al mondo.
In particolare Bernstein ricorda come, tre giorni dopo il disastro, Bush dichiarò pubblicamente in TV che "nessuno poteva prevedere che gli argini del Mississippi avrebbero ceduto", mentre una registrazione interna della Casa Bianca, venuta alla luce qualche mese fa, e risalente al giorno prima del disastro, mostra George Bush in una videoconferenza con New Orleans, nella quale i tecnici locali asseriscono chiaramente che "gli argini del Mississippi rischiano di non reggere all'eccesso di acqua previsto nelle prossime ore". Il che avrebbe imposto una evacuazione preventiva, che avrebbe salvato almeno la metà delle vittime dell'uragano.
Più in generale, Bernstein punta il dito contro la vera anima nera dell'amministrazione, Dick Cheney, e contro quella che ormai viene definita la "politica dei segreti": ostruzionismo sistematico ad ogni richiesta di trasparenza, disdegno verso la Costituzione più volte espresso apertamente, e "filosofia di vita" troppo apertamente elitaria, sono cose che l'America non accetta così facilmente, e che sono riuscite a passare solo grazie al trauma profondo che i fatti dell'11 Settembre hanno inferto al subconscio della nazione.
Naturalmente, noi sappiamo che non sono certo i giornalisti a "fare o disfare" un presidente, e che quella del "giornalismo libero e indipendente" è solo una favoletta per le anime più semplici. Ciò che Bernstein ha fatto, in realtà, è stato di coaugulare sapientemente, nel suo lungo articolo, gli umori congiunti della maggioranza dei democratici di Washington, e di una certa parte degli stessi repubblicani, in vista delle elezioni autunnali di mid-term.
Ci sono infatti notevoli probabilità che la Camera dei Deputati (House of Representatives) ritorni in mano democratica, e lo stesso Senato, che ora vede i repubblicani in vantaggio di 4 senatori, non è esente da questo rischio.
Se anche solo il primo caso si verificasse, i democratici avrebbero diritto ad instaurare una commissione d'inchiesta che valutasse le possibilità di impeachment di Bush, mentre nel secondo caso, potrebbero addirittura mettere in piedi il processo loro stessi, senza dover più chiedere niente a nessuno. (Il processo di impeachment, per legge, è tenuto dal solo Senato).
Non a caso i repubblicani stanno valutando, dietro alle quinte, se non valga la pena a questo punto di far partire loro stessi il procedimento, per riuscire almeno a conservare la guida della eventuale commissione d'inchiesta (che spetta, per regola, al partito di maggioranza).
Curiosa davvero, la storia: lo stesso partito che mise freneticamente in piedi, otto anni fa, un processo di impeachment contro Clinton, basandolo su fatti privi di qualunque rilevanza politica, si ritrova ora a dibattere se instaurare lo stesso processo - per fatti ben più gravi - proprio contro il Presidente che beneficiò di quell'azione, arrivando alla Casa Bianca con l'aperto compito di "ripulire Washington dall'immoralità dilagante."
Forse, e soltanto forse, da qualche parte, alla fine, una Giustizia c'è comunque.
Massimo Mazzucco
L'articolo completo di Bernstein, su Vanity Fair di questo mese.