di Salvatore Viglia
O muore l’asino o il padrone. Si diceva, anticamente per sottolineare una attesa spasmodica nella speranza di ottenere qualcosa. Ma quando “qualcosa” è un diritto, allora l’attesa è indebita, il sopruso evidente, la rabbia tanta. Se mi dicessero che un certo signore, D. P., italiano che vive a Madrid, iscritto all’AIRE, sposato da tre anni con una signora spagnola, è stomacato dalla inefficienza delle nostre istituzioni, personalmente, ci crederei. E ci credo.
Sì, perché nella illusione di una democrazia, della quale il nostro paese si è solo vantato a chiacchiere, pensiamo che, nonostante tutto, il nostro, sia uno Stato di diritto. La quale cosa significa, in soldoni, che esistono regole scritte, leggi e regolamenti che garantiscono il dovuto, ritenuto più o meno giusto, dal Parlamento. Le conosciamo tutti, però, le leggi che pretendono l’ottemperamento dei doveri a costo di diventare restrittive. Ma, guarda caso, lasse e riluttanti nel concedere il famoso diritto.
Se mi dicessero che il sig. D.P. ha deciso di non votare più Ulivo, gli dovremmo credere e dovremmo giustificarlo. Non è solo uno sfogo, ma la delusione “dolorosa” di avere a che fare, giorno dopo giorno, ... ... con un problema personale che rasenta una ipotesi da terzo mondo. Eppure siamo nell’Europa più avanzata!
Ha chiesto la cittadinanza italiana per la signora moglie, M. V. per naturalizzazione. Passa dal Consolato italiano, una bella mattina, cioè in terra italiana all’estero non senza qualche nostalgia di casa, a fare la sua legittima istanza.
Si è sentito rispondere, credendo subito di aver capito male, che l’appuntamento gli era stato fissato per il 2010. Un momento. Poi, dal 2010, avrebbe dovuto cominciare a contare altri due anni prima di ottenere la cittadinanza richiesta. Quando, paradosso dei paradossi, sono sufficienti solo tre anni già, peraltro, trascorsi.
Se mi dicessero che questo signore ha scritto e si è rivolto al Presidente del Consiglio Prodi, al Ministro degli Affari Esteri D’Alema, al Direttore Generale per gli italiani all’estero Ambasciatore Benedetti, ai sottosegretari agli Affari Esteri Danieli, Intini, Sentinelli, Craxi, Crucianelli, Di Santo, Vernetti, agli Onorevoli e Senatori eletti all’estero nella Circoscrizione Europa, all’Ambasciatore italiano a Madrid Terracciano, al Console Generale del Consolato italiano a Madrid Barbanti, dovrei credergli, se non altro, per forza di cose ed in forza della corrispondenza che ho tra le mani.
Allora, la procedura ha richiesto: certificato plurilingue di matrimonio; certificato casellario giudiziale in italiano; copia tarjeta di residenza tradotta; copia prime 2 pagine del passaporto tradotte; istanza dell’interessato; dichiarazione sostitutiva effetti civili matrimonio. Lo sportello rilascerà: certificato di cittadinanza del coniuge; certificato stato famiglia coniuge. E…buona fortuna.
Tra tutte queste voci chiamate in causa, un’anima buona ha pensato di fare una interrogazione parlamentare, l'8 maggio, per chiedere se il governo non si vergognasse almeno un po’ di questo andazzo poco o niente civile. Soprattutto in considerazione della novella modifica della legge Bossi-Fini ormai agli atti. Perché? Perché ci chiediamo, poveri “subitori” passivi al cospetto di tanta inefficienza conclamata nei fatti: cosa succederà con gli extracomunitari?
Picchi, Guglielmo Picchi, parlamentare eletto all’estero, si è preso la briga di presentare questa interrogazione conscio, egli stesso, che non si sa bene tra quanto tempo otterrà risposta e se la otterrà mai. Il suo compito, purtroppo, finisce qui, resta solo da prendere atto, quando sarà e se sarà, di una risposta già scritta e, sicuramente, insoddisfacente.
Siamo in un Paese dove bisogna scendere a patti col Padreterno e stabilire con Lui modalità di vita e sopravvivenza non fosse altro per essere puntuali agli appuntamenti così come nel caso dei coniugi D.P. e M. V.
Noi glielo auguriamo di tutto cuore.
Salvatore Viglia
La "cittadinanza italiana" su
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