Quando chiamai per confermare l’appuntamento, bin Laden mi disse che aveva bisogno ancora di un pò di tempo, per approfondire meglio alcuni temi che gli avevo segnalato.
Non era pratico di Internet, del quale fino a ieri non conosceva nemmeno l’esistenza, e ci aveva messo un paio d’ore solo per capire che non puoi cliccare sullo schermo dove ti pare, per andare dove vuoi tu, ma devi aspettare che il cursore “diventi una manina”, per aprire un nuovo link. Lui invece era talmente eccitato dalla novità che cliccava su tutte le parole che lo interessavano, senza aspettare niente. Vedeva “famiglia saudita”, e ci cliccava sopra. Vedeva “nanotecnologie”, e ci cliccava sopra. Vedeva “Musharraf”, e ci cliccava sopra. E si incavolava pure, se non partiva un link. Ha spaccato un paio di mouse, prima di rassegnarsi a cercare i link fra le altre normali parole.
Inizialmente, gli avevo mostrato come arrivare a leggere i normali quotidiani on-line - il New York Times, El Paìs, il London Times, Le Monde.... Non volevo traumatizzarlo, dopo il lungo letargo trascorso nel suo ritiro spirituale, e solo quando fui certo che avesse capito a fondo i meccanismi e la portata di Internet, gli diedi una lista di siti sull’undici settembre, ... ... poichè nel frattempo si era ovviamente incuriosito sull’argomento.
Una settimana più tardi mi fece sapere che aveva piacere di incontrarmi, e mi diede un nuovo appuntamento.
Quando si aprì la porta fui accolto da un sorriso a trentadue denti.
- Venga, venga a vedere – mi disse senza nemmeno stringermi la mano.
Eccitatissimo, mi condusse davanti al computer, sul cui monitor appariva una cartina geografica.
La guardai un pò, ma non riuscivo a vederci nulla di speciale.
- E’ il Sudamerica... – dissi incerto.
- Si, ma guardi.... - Prese il mouse, cliccò, e fece muovere con destrezza la mappa geografica a destra e a sinistra.
Aveva scoperto Google Earth.
E’ pazzesco - disse – si può andare dove si vuole. C’è tutto, dall’Alaska al Madagascar, dal Polo Nord al Polo Sud, non c’è un angolo di terra che non sia visibile da qui.
“Però intanto suo cugino non riescono a trovarlo”, pensai.
- In effetti Internet è una bella invenzione – dissi mentre mi accomodavo.
- L’unica cosa che non riesco a capire – disse sedendosi di fronte a me - è chi sia questa Paris Hilton. Vedo le foto su tutti i giornali, trovo il suo nome dappertutto, ma quando faccio la ricerca, o mi esce la capitale francese, o mi esce una lista infinita di alberghi nel mondo.
- Deve mettere le parole fra virgolette, gliel’ho detto. Altrimenti le escono tutte la pagine che contengono sia l’una che l’altra.
- Ah, già, è vero. Bisogna che me le scriva, tutte queste cose. A proposito, ho poi visitato quei siti che mi diceva, sa?
- Ah, bene – dissi con malcelata anticipazione - E che impressione ne ha avuto?
- Mah – mi disse dubbioso – Bisogna dire che di cose poco chiare ce ne sono molte, nella versione ufficiale. Però....
- Però?
- Non so..... A me sembra impossibile che se lo siano fatto da soli. E’ una cosa troppo grande....
- Come “troppo grande”? - chiesi stupefatto.
- Complicata. Enorme... Una macchinazione del genere richiederebbe una quantità di persone troppo grande per riuscire...
- In che senso – mormorai appena - un numero di persone troppo grande?
- Nel senso, che prima o poi.... qualcuno parlerebbe.
Sentivo il mondo che mi girava intorno, e mi domandai per un attimo se il pazzo a quel punto non fossi io. Feci uno sforzo notevole per restare lucido.
- Ma scusi, lei ha visto le foto delle Torri Gemelle, con gli sbuffi che vengono fuori... le foto del Pentagono con l’aereo che non si trova....?
- Sì sì, ho visto tutto. Fra l’altro, ho notato che ci sono letteralmente centinaia di siti che parlano di queste cose, quindi sia chiaro, non sto dicendo che lei si sia bevuto il cervello.
“Per fortuna”, pensai. “Almeno quello”.
- Come le ho detto, qualcosa che non quadra c’è di sicuro – continuò lui - Però, le ripeto, da lì a pensare a un complotto ce ne passa ...
Mi resi conto a quel punto che dovevo ingranare la prima, e imboccare per la miliardesima volta il sentiero di casa fin dall’inizio. Evidentemente, questo è un percorso che non permette scorciatoie, nemmeno se ti chiami bin Laden.
- Senta – dissi con tono manageriale - Mettiamo da parte per un attimo se la cosa è troppo complicata o no. Partiamo dai fatti, giusto?
- Giusto.
- Dunque, prendiamo le Torri Gemelle, intanto. Di fatto abbiamo: una caduta in tempi talmente rapidi da violare le più note leggi della fisica. Una completa polverizzazione dei tre edifici, che non è assolutamente normale in un cedimento spontaneo. Dozzine di testimonianze che parlano di esplosioni udite prima e durante i crolli....
- Mi scusi se la interrompo – mi disse con la solita grazia – ma lei mi sta citando opinioni, non fatti... la “quantità” della polverizzazione è opinabile, la velocità di caduta non è misurabile con precisione, e soprattutto le testimonianze rappresentano delle opinioni, fino a prova contraria. Anche se il testimone è in perfetta buona fede, nessuno può garantire che racconti ciò che davvero è successo.
- D’accordo, certamente. Però è un “fatto” che queste testimonianze esistano, che siano molte, e che raccontino tutte più o meno le stesse cose.
- Si, ma non sappiamo se ce ne sono altrettante che raccontano la cosa opposta. Guardi ad esempio il Pentagono. Ho letto di gente che dice di aver visto un aereo piccolo, e non un Boeing.
- Infatti...
- Però ce ne sono altrettante che dicono che fosse un aereo della American Airlines....
- E’ chiaro che in quel caso qualcuno ha mentito, oppure si è sbagliato. Forse era un aereo più piccolo di un Boeing, ma “travestito” con i colori della American Airlines, e questo ha tratto molti in inganno. Di fatto, però, abbiamo una serie di elementi che suggeriscono chiaramente che non fosse un Boeing.
Cominciai ad elencare ...
- Non si trova un solo pezzo che appartenga chiaramente a un Boeing. Guardando la parete non si capisce da dove possa essere entrato un aereo di quelle dimensioni. Dopo l’impatto molte delle finestre avevano ancora i vetri ancora intatti ...
... ma sentivo che stavo già “andando in automatico”, e che avevo perso irrimediabilmente il filo sottile che mi legava al mio interlocutore. Conosco bene questo meccanismo, purtroppo: quando una persona decide che un cosa non può essere vera, puoi elencargli tutte le prove di questo mondo, ma non basteranno mai. In ogni caso, continuai:
- Per non parlare poi della manovra di avvicinamento, difficilissma da effettuare per un pilota esperto, assolutamente impossibile per un pivellino, che fra l’altro non aveva mai guidato prima un jet nella sua vita. E questo non lo dico io, lo dicono piloti con carriere trentennali sulle spalle.
- Mi scusi ma... - mi chiese con candore – se non è stato un Boeing a colpire il Pentagono, l’aereo dove sarebbe finito?
- Per quel che ne so io, può anche non essere mai partito. Oppure è stato sostituito in volo...
- Come non è mai partito, scusi? E i passeggeri?
- Dei passeggeri possiamo al massimo sapere che si sono imbarcati al gate. Ma dove siano finiti, dopo aver oltrepassato quel gate, con certezza non può dirlo nessuno.
- Ma no, scusi, questa è fantascienza! Se hanno trovato addirittura il DNA dei passeggeri, al Pentagono!
Incerto fra il ridere e il piangere, mormorai semplicemente:
- Dicono, di averlo trovato.
- Ah beh, certo! Se lei mette in dubbio tutto, allora è chiaro....
- No, si sbaglia, mi perdoni. Io non “metto in dubbio tutto”. Metto in dubbio ciò che non combacia con i dati riscontrabili. Si rende conto che l’aereo si sarebbe praticamente disintegrato – visto che non si trova – ma i resti dei passeggeri li hanno trovati tutti? Quindi è chiaro che uno dei due elementi non può essere vero. Sono inconciliabili. Di questi due elementi, però, l’aereo che non si trova è un fatto, mentre la faccenda del DNA può benissimo essere inventata. Proprio per dare credibiltà alla versione ufficiale, in questo caso.
- Si, però questo vorrebbe dire che tutti i medici che hanno analizzato i reperti devono aver mentito....
- Siamo daccapo: certo che lo significa, ma solo se lei parte dal presupposto che esistano, questi medici. Se invece è una notizia inventata di sana pianta dal Pentagono, ad esempio, chi mai si preoccuperà di smentirla? E soprattutto, chi mai potrà andare a verificare di persona, visto che gli esami, guarda caso, li ha fatti proprio l’istituto di patologia del Pentagono?
Per un attimo lo vidi esitare, e cercai di approfittarne:
- Comunque – dissi - torniamo alle Torri, perchè lì gli indizi sono più vistosi: oltre a quelli che ho già citato, abbiamo la presenza accertata di pozze di acciaio fuso alla base dei tre edifici crollati, con temperature inspiegabili con il solo kerosene. Piloni d’acciao piegati a ferro di cavallo come se fossero di marmellata, senza una sola crepa sulla superficie, il che indica temperature altissime ...
- Ma scusi, alla fine cosa mi sta dicendo? Che le avrebbero demolite con degli esplosivi?
- Beh, di certo da sole non sono cadute, questo mi pare chiaro.
- Ma come avrebbero fatto secondo lei a piazzare tutte quelle cariche, senza che nessuno se ne accorgesse? Nelle Torri Gemelle lavoravano migliaia di persone, e per tirare giù quelle bestie ci vogliono quintali di esplosivi. Mica si possono nascondere in tasca quelli....
Respirai a fondo, cercando di restare calmo. Decidetti che passare da Scott Forbes sarebbe stato troppo lungo, e preferii la risposta smorzata, sottorete.
- Senta, come hanno fatto non lo so, nè posso dire di sicuro che cosa abbiano usato, se è solo per quello. Non faccio il terrorista di mestiere, e nemmeno il demolitore, e per quel che ne sappiamo possono anche disporre di tecnologie che nemmeno ci immaginiamo. So però che abbiamo davanti una serie di fatti incontestabili, che messi tutti insieme dimostrano chiaramente ...
- Ma, mi scusi ancora... Lo “dimostrano”, come dice lei, perchè quei fatti li mette assieme come vuole lei, ma non sta scritto da nessuna parte che debbano essere messi insieme in quel modo. Io ad esempio le posso mostrare che gli stessi fatti – si alzò, dirigendosi verso uno scaffale della libreria - possono essere letti in maniera completamente diversa, portando a conclusioni ben diverse dalle sue.
Ritornò porgendomi un libro. Ne riconobbi istantaneamente la grafica, e provai un brivido profondo. Era “Debunking 9/11 Myths”, di Popular Mechanics.
“No – pensai fra me e me – questo non me lo doveva fare. Tutto, ma non Popular Mechanics.”
- Ma lei lo sa cosa è questo? – dissi quasi con ribrezzo.
- E’ un libro che analizza e confuta proprio le posizioni che sostiene lei.
“Io, e qualche altro milione di persone, pensai.”
- Questo libro è semplicemente il più grosso pacco che sia mai stato pubblicato sull’argomento dal 2001 ad oggi.
- Ma lei lo ha letto, scusi?
- Non ho nessun bisogno di leggerlo. Conosco a memoria le “spiegazioni” di questa gente. Questo libro è semplicemente la versione abbellita di un lungo articolo che Popular Mechanics ha messo in Internet qualche anno fa, e che è stato fatto letteralmente a pezzi per la sua totale inconsistenza.
- Abbia pazienza, ma a mio parere questo libro spiega invece in maniera molto più logica - e anche, se mi permette, più credibile – quello che lei vorrebbe spiegare per forza con un complicatissimo e rischioso complotto governativo.
- Ne è sicuro? Il libro spiega, ad esempio, come si sono formate le pozze di acciaio fuso nei sotterranei delle Torri? Oppure spiega come fanno tre edifici del genere a cadere tutti nello stesso modo, tutti sulla loro pianta, e tutti a causa del kerosene, quando non era mai crollato un solo edificio in acciaio al mondo a causa di un incendio? Perchè a me non risulta. Se le spiegasse, il dibattito sarebbe finito da un pezzo. Lei che lo ha letto, me le saprebbe spiegare, queste cose?
- Guardi, io di ingegneria non ho mai capito niente. Ma questo libro è basato sul lavoro di oltre trecento scienziati, professori ed esperti vari. Ora, con tutto il rispetto per le sue teorie, non vorrà dirmi che questi trecento scienziati si sono tutti messi d’accordo per mentire, no?
- Ma dove sono, questi trecento scienziati? “Le dicono” – sottolineai - che hanno partecipato trecento scienziati, ma nel libro troviamo nome cognome e indirizzo di ciascuno di loro?
- Non credo... Ma non vorrà mica che se le siano inventate di sana pianta, queste cose? Insomma, abbia pazienza, Internet va bene, ma un libro è sempre un libro, no? Sono due cose ben diverse.
Mi resi conto che non c’era nulla da fare. Quando si parte dalla conclusione – che la cosa “è impossibile” - e non si parte dai fatti empirici, finisci per dover ignorare i secondi pur di non modificare la prima.
Lui a sua volta si era reso conto del mio sconforto, e cambiò tono.
- Guardi, sia chiaro – mi disse - Io non ho mai amato gli americani, e so benissimo che gli piace fare i loro sporchi giochetti. Ma qui stiamo parlando di una ipotesi mostruosa, che coinvolgerebbe centinaia e centinaia di persone, e non si può pensare che questi abbiano scelto di correre il rischio che prima o poi qualcuno parlasse, e la verità venisse fuori.
- Ma la verità “é” venuta fuori – dissi con l’ultimo filo di disperazione – è lì da vedere! Solo che stranamente non si riesce a diffonderla.
- E questo cosa significa, secondo lei?
- Che l’informazione è controllata, ovviamente!
Lui sorrise, bonario:
- Tutta? Tutta l’informazione al mondo secondo lei è controllata? Suvvia... saranno davvero tutti controllati, con il guinzaglio, dal primo all’ultimo, o forse le sue teorie non sono poi così solide come le appaiono?
Ci guardammo negli occhi per un istante. Sentii chiaramente che non lo avrei mai più rivisto, e la cosa mi dispiaceva molto.
Camminai a lungo nella notte, prima di rientare a casa. Non riuscivo a capacitarmi di quanto era accaduto. Se nemmeno bin Laden ci crede – mi dicevo – siamo davvero alla follia. Ripassavo mentalmente i vari snodi della conversazione, per capire dove stesse il problema, e a un certo punto mi resi conto di aver parlato con un uomo che stava ancora fisicamente nel secolo scorso. La sua logica, così banale e lineare, la sua incapacità di concepire meccanismi che a me sembravano evidenti, il suo fidarsi ciecamente dell’informazione “istituzionale”, erano rimasti assolutamente intatti, preservati nel tempo. E grazie al suo lungo letargo, dal quale era appena uscito, avevo improvvisamente di fronte la misura esatta di quanto fosse cambiato il mondo in questi anni.
Fu a quel punto che giunse la folgorazione, e capii il vero segreto di chi aveva concepito l’intera operazione: il rischio non consisteva affatto nella “possibilità che un giorno qualcuno parlasse”: quel rischio esiste sempre, anche quando si fa una rapina in due persone soltanto. E una volta che finisci sulla sedia elettrica, che tu lo faccia da solo o insieme a mille altri, cambia poco. La vera incognita stava proprio nella difficoltà di controllare l’informazione mondiale, nel momento in cui un qualunque giornale o TV al mondo si fossero messi in testa di indagare a fondo sui fatti avvenuti. D’accordo che il controllo dei media è ampiamente previsto, ma la variabile impazzita - come suggeriva lo stesso bin Laden - ci può sempre stare. Come garantirsi che nessun direttore di una qualunque testata di una certa importanza - dalla Svezia all’Argentina, dalla Spagna agli stessi Stati Uniti - non decida un giorno di fare una crociata per la verità, contro tutto e contro tutti, e metta a quel punto in moto una valanga che non si arresta più?
Questo era il vero problema, e di fronte a questo rischio penso che chiunque si sarebbe fermato. Chi invece ha osato andare avanti, ha capito che non c’era nessun bisogno di controllare individualmente le mille testate mondiali potenzialmente pericolose: lo avrebbero fatto da sole. Alla loro guida c’erano infatti – e ci sono tuttora – persone che provenivano, ovviamente, dal secolo scorso. Persone abituate a fidarsi ciecamente del verbo ufficiale, persone che ragionavano partendo da presupposti che rendono “impossibile a priori” un gesto la cui difficoltà maggiore stava proprio nel concepirlo, e non certo nel metterlo in atto.
Eccola, la grande rivoluzione del nuovo secolo, dove stava. Stava nella sovversione, improvvisa e totale, di tutti i più noti e condivisi parametri di riferimento. Una volta superati quelli, una volta avuta l’idea “impensabile”, il gioco era fatto.
Come dice un prezioso proverbio: i segreti piccoli sono i più difficili da mantenere. Per quelli troppo grandi basterà sempre l’incredulità della gente.
E, almeno fino ad oggi, hanno avuto ragione.
Massimo Mazzucco
Gli altri due capitoli della “serie”
Incontri con bin Laden
Osama pasticcione
Intervista a Osama bin Laden