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le regole del gioco
8 Anni 1 Mese fa #7704
da padegre
le regole del gioco è stato creato da padegre
Ho scritto un libretto "Le regole del gioco", scaricabile da Amazon gratuitamente. Questo è il capitolo 3
“rinnovamento della politica”
In politica devono entrare facce nuove, anche senza esperienza (i politici di lungo corso, i professoroni, i grandi luminari, gli esperti, ci hanno lasciato solo macerie, ladrocini, corruzione), che con onestà e solo per due legislature si impegnino a realizzare il programma scelto dagli elettori. Semplicemente questo!
E qui entriamo nelle dolenti note di un sistema elettorale che richiederebbe riforme profondissime per essere degno di chiamarsi democratico.
Ecco quali regole andrebbero introdotte o cambiate:
-il finanziamento pubblico ai partiti va totalmente abolito
-il Senato, con le sue enormi spese di gestione (più alte dei compensi ai senatori) va chiuso senza se e senza ma, perché ritarda gli iter legislativi e spesso si determinano maggioranze diverse tra Camera e Senato con conseguente ingovernabilità.
-abolizione del voto degli italiani residenti all’estero
-la legge elettorale deve essere chiara e comprensibile per tutti, come si fa per i sindaci. In ogni collegio uninominale chi prende più del 50% viene eletto, altrimenti si va al ballottaggio tra i due più votati
-non sono possibili le coalizioni tra partiti, ogni partito deve essere riconoscibile per il suo programma e chi risulta vincitore (con qualsiasi percentuale di voto) ha il premio di maggioranza fino al 55%
-non sono ammesse alla competizione elettorale le persone con carichi pendenti o che siano già condannate in primo grado di giudizio, alla pari di ogni cittadino che fa domanda di assunzione in un ente pubblico
-come per i presidenti USA, dopo due legislature si è ineleggibili
-non è candidabile chiunque possieda, direttamente o indirettamente, mezzi di informazione di massa (giornali, tv, radio, anche locali)
-non è candidabile il titolare di concessioni pubbliche rendendo applicabile il DPR 361 del 1957
-ogni candidato può presentarsi solo nel proprio collegio di residenza (dove deve risiedere da almeno 2 anni), senza capilista civetta che vengono votati per il loro nome e poi vengono sostituiti da sconosciuti
-per togliere l’importanza del denaro dalla politica, e far partire tutti con le stesse possibilità, è consentito diffondere il proprio programma solo “porta a porta” o con comizi pubblici in spazi attrezzati messi a disposizione gratuitamente dai Comuni. Manifesti, spot televisivi o radiofonici o pubblicazioni su giornali e riviste sono vietati
-a nessun parlamentare è concesso di passare da un partito all’altro (nota la scandalosa compravendita) per l’ottima ragione che vale di più la volontà dell’elettore della “libera scelta” del singolo che, se non è più d’accordo col suo partito, ha una sola strada, dimettersi e far subentrare il primo dei non eletti
-introduzione della regola, in uso nel Regno Unito, denominata “Recall” (richiamo), che consente, con un certo numero di firme, di dimissionare un parlamentare considerato indegno
-il voto segreto in aula è abolito in quanto l’elettore ha diritto di conoscere il comportamento del suo parlamentare
-va abolita l’immunità parlamentare, per l’ottima ragione che tutti i cittadini devono essere uguali di fronte alla legge, e nessuna autorizzazione va richiesta al Parlamento da parte dei Tribunali che possono procedere senza impedimenti di alcun tipo
-il Parlamento non è l’INPS e non eroga vitalizi. Durante il mandato di parlamentare ogni eletto dovrebbe ricevere in busta paga i contributi che normalmente versava nella sua professione civile e lui stesso provvede a versarli nei rispettivi istituti di previdenza
-introduzione del diritto di promuovere Referendum propositivi (oggi sono solo abrogativi), senza quorum
Solo con l’approvazione di queste nuove regole, che non costano nulla, anzi fanno risparmiare (e mi rendo conto che, perlomeno per una bisogna toccare la Costituzione), si avvicina il cittadino alla partecipazione politica, si evita di creare la famosa CASTA inamovibile, si garantisce il ricambio generazionale, si tolgono privilegi (e qui bisogna anche ritoccare verso il basso lo stipendio degli “onorevoli”), si boccia la politica come professione a vita.
Se si vuole cambiare in profondità il ruolo dei sindaci e far emergere quelli che sommano onestà, capacità, passione civile per la “polis”, bisogna affrontare la questione della attribuzione dei poteri, senza i quali anche i migliori degli eletti restano impantanati nei debiti pregressi, nei funzionari corrotti piazzati da partiti e sindacati, nei dirigenti delle municipalizzate, nei tagli finanziari del governo ai comuni, che rendono sempre più bassa la possibilità di dare servizi ai cittadini.
La prima cosa da fare è la prevenzione: la magistratura della Corte dei Conti deve avere il potere diretto, esecutivo e immediato, di commissariare i comuni che non rispettano il pareggio di bilancio, al fine di dare ai nuovi sindaci una reale possibilità amministrativa, per non passare il tempo della sindacatura a ripianare conti, sprechi e ruberie di cui devono venire fuori i reali responsabili.
Si deve anche considerare il fatto che i sindaci, non disponendo del gettito delle tasse, sono soggetti alle decisioni del governo che dal 2011 al 2015 ha ridotto i fondi dovuti ai comuni del 66% a Milano, del 40% a Roma, del 36% a Torino, del 24% a Napoli, del 70% a Bologna (fonte: il Fatto Quotidiano del 22 giugno 2016), quindi per decisioni governative, impossibilitati a qualunque programmazione di spesa, costretti ad aumentare i vari tributi comunali, spremendo i cittadini.
Se non cambia questo metodo, affidando la totale riscossione delle tasse ai comuni, stabilendo una percentuale fissa, uguale per tutta l’Italia, da consegnare allo stato centrale, i sindaci saranno sempre in balia dei ricatti politici e i territori saranno sempre male amministrati.
Sono consapevole di invocare riforme di difficile attuazione e che ci vuole una maggioranza politica legittimata da un passaggio elettorale, ma vi sono nodi che vanno sciolti se vogliamo che i sindaci a 5 stelle appena eletti non siano stritolati da una burocrazia soffocante e corrotta, da veti e lungaggini provenienti da province e regioni, e da debiti da ripianare.
A proposito delle regioni: spesso un governo regionale è di colore diverso da quello dei comuni e ciò degenera in boicottaggio dei programmi urbanistici, ambientali, energetici, al punto da essere necessario che i poteri comunali siano molto più estesi e le regioni abbiano sempre meno importanza nella vita amministrativa italiana, fino alla loro soppressione come si farà per le province.
Ai sindaci la popolazione chiede sicurezza e lavoro, ma se non decidiamo (come negli USA) che la polizia (non solo quella urbana) sia comandata dal sindaco, difficilmente si può avere una svolta contro la criminalità. Quanto al lavoro, solo un reddito di cittadinanza, in cambio di 4 ore di lavoro giornaliere (5 gg a settimana) in lavori socialmente utili, organizzati dal Comune può eliminare quelle sacche di disperazione dovute alla disoccupazione.
Ai sindaci bisogna dare molti più poteri e, per quanto riguarda il peso dei debiti pregressi (a Roma la Raggi ha trovato dai 12 ai 16 miliardi di euro da pagare a banche e privati), si deve affiancare al sindaco una figura commissariale che tratti la materia, senza che il nuovo sindaco sia coinvolto nel ripianamento dei debiti fatti dai suoi predecessori che per questo vanno perseguiti.
Il contrappeso di cui devono godere i cittadini è il recall, la sfiducia, e cioè la possibilità di revocare il mandato al sindaco, se non rispetta gli impegni presi, su richiesta del 50% più uno dei voti ricevuti.
“rinnovamento della politica”
In politica devono entrare facce nuove, anche senza esperienza (i politici di lungo corso, i professoroni, i grandi luminari, gli esperti, ci hanno lasciato solo macerie, ladrocini, corruzione), che con onestà e solo per due legislature si impegnino a realizzare il programma scelto dagli elettori. Semplicemente questo!
E qui entriamo nelle dolenti note di un sistema elettorale che richiederebbe riforme profondissime per essere degno di chiamarsi democratico.
Ecco quali regole andrebbero introdotte o cambiate:
-il finanziamento pubblico ai partiti va totalmente abolito
-il Senato, con le sue enormi spese di gestione (più alte dei compensi ai senatori) va chiuso senza se e senza ma, perché ritarda gli iter legislativi e spesso si determinano maggioranze diverse tra Camera e Senato con conseguente ingovernabilità.
-abolizione del voto degli italiani residenti all’estero
-la legge elettorale deve essere chiara e comprensibile per tutti, come si fa per i sindaci. In ogni collegio uninominale chi prende più del 50% viene eletto, altrimenti si va al ballottaggio tra i due più votati
-non sono possibili le coalizioni tra partiti, ogni partito deve essere riconoscibile per il suo programma e chi risulta vincitore (con qualsiasi percentuale di voto) ha il premio di maggioranza fino al 55%
-non sono ammesse alla competizione elettorale le persone con carichi pendenti o che siano già condannate in primo grado di giudizio, alla pari di ogni cittadino che fa domanda di assunzione in un ente pubblico
-come per i presidenti USA, dopo due legislature si è ineleggibili
-non è candidabile chiunque possieda, direttamente o indirettamente, mezzi di informazione di massa (giornali, tv, radio, anche locali)
-non è candidabile il titolare di concessioni pubbliche rendendo applicabile il DPR 361 del 1957
-ogni candidato può presentarsi solo nel proprio collegio di residenza (dove deve risiedere da almeno 2 anni), senza capilista civetta che vengono votati per il loro nome e poi vengono sostituiti da sconosciuti
-per togliere l’importanza del denaro dalla politica, e far partire tutti con le stesse possibilità, è consentito diffondere il proprio programma solo “porta a porta” o con comizi pubblici in spazi attrezzati messi a disposizione gratuitamente dai Comuni. Manifesti, spot televisivi o radiofonici o pubblicazioni su giornali e riviste sono vietati
-a nessun parlamentare è concesso di passare da un partito all’altro (nota la scandalosa compravendita) per l’ottima ragione che vale di più la volontà dell’elettore della “libera scelta” del singolo che, se non è più d’accordo col suo partito, ha una sola strada, dimettersi e far subentrare il primo dei non eletti
-introduzione della regola, in uso nel Regno Unito, denominata “Recall” (richiamo), che consente, con un certo numero di firme, di dimissionare un parlamentare considerato indegno
-il voto segreto in aula è abolito in quanto l’elettore ha diritto di conoscere il comportamento del suo parlamentare
-va abolita l’immunità parlamentare, per l’ottima ragione che tutti i cittadini devono essere uguali di fronte alla legge, e nessuna autorizzazione va richiesta al Parlamento da parte dei Tribunali che possono procedere senza impedimenti di alcun tipo
-il Parlamento non è l’INPS e non eroga vitalizi. Durante il mandato di parlamentare ogni eletto dovrebbe ricevere in busta paga i contributi che normalmente versava nella sua professione civile e lui stesso provvede a versarli nei rispettivi istituti di previdenza
-introduzione del diritto di promuovere Referendum propositivi (oggi sono solo abrogativi), senza quorum
Solo con l’approvazione di queste nuove regole, che non costano nulla, anzi fanno risparmiare (e mi rendo conto che, perlomeno per una bisogna toccare la Costituzione), si avvicina il cittadino alla partecipazione politica, si evita di creare la famosa CASTA inamovibile, si garantisce il ricambio generazionale, si tolgono privilegi (e qui bisogna anche ritoccare verso il basso lo stipendio degli “onorevoli”), si boccia la politica come professione a vita.
Se si vuole cambiare in profondità il ruolo dei sindaci e far emergere quelli che sommano onestà, capacità, passione civile per la “polis”, bisogna affrontare la questione della attribuzione dei poteri, senza i quali anche i migliori degli eletti restano impantanati nei debiti pregressi, nei funzionari corrotti piazzati da partiti e sindacati, nei dirigenti delle municipalizzate, nei tagli finanziari del governo ai comuni, che rendono sempre più bassa la possibilità di dare servizi ai cittadini.
La prima cosa da fare è la prevenzione: la magistratura della Corte dei Conti deve avere il potere diretto, esecutivo e immediato, di commissariare i comuni che non rispettano il pareggio di bilancio, al fine di dare ai nuovi sindaci una reale possibilità amministrativa, per non passare il tempo della sindacatura a ripianare conti, sprechi e ruberie di cui devono venire fuori i reali responsabili.
Si deve anche considerare il fatto che i sindaci, non disponendo del gettito delle tasse, sono soggetti alle decisioni del governo che dal 2011 al 2015 ha ridotto i fondi dovuti ai comuni del 66% a Milano, del 40% a Roma, del 36% a Torino, del 24% a Napoli, del 70% a Bologna (fonte: il Fatto Quotidiano del 22 giugno 2016), quindi per decisioni governative, impossibilitati a qualunque programmazione di spesa, costretti ad aumentare i vari tributi comunali, spremendo i cittadini.
Se non cambia questo metodo, affidando la totale riscossione delle tasse ai comuni, stabilendo una percentuale fissa, uguale per tutta l’Italia, da consegnare allo stato centrale, i sindaci saranno sempre in balia dei ricatti politici e i territori saranno sempre male amministrati.
Sono consapevole di invocare riforme di difficile attuazione e che ci vuole una maggioranza politica legittimata da un passaggio elettorale, ma vi sono nodi che vanno sciolti se vogliamo che i sindaci a 5 stelle appena eletti non siano stritolati da una burocrazia soffocante e corrotta, da veti e lungaggini provenienti da province e regioni, e da debiti da ripianare.
A proposito delle regioni: spesso un governo regionale è di colore diverso da quello dei comuni e ciò degenera in boicottaggio dei programmi urbanistici, ambientali, energetici, al punto da essere necessario che i poteri comunali siano molto più estesi e le regioni abbiano sempre meno importanza nella vita amministrativa italiana, fino alla loro soppressione come si farà per le province.
Ai sindaci la popolazione chiede sicurezza e lavoro, ma se non decidiamo (come negli USA) che la polizia (non solo quella urbana) sia comandata dal sindaco, difficilmente si può avere una svolta contro la criminalità. Quanto al lavoro, solo un reddito di cittadinanza, in cambio di 4 ore di lavoro giornaliere (5 gg a settimana) in lavori socialmente utili, organizzati dal Comune può eliminare quelle sacche di disperazione dovute alla disoccupazione.
Ai sindaci bisogna dare molti più poteri e, per quanto riguarda il peso dei debiti pregressi (a Roma la Raggi ha trovato dai 12 ai 16 miliardi di euro da pagare a banche e privati), si deve affiancare al sindaco una figura commissariale che tratti la materia, senza che il nuovo sindaco sia coinvolto nel ripianamento dei debiti fatti dai suoi predecessori che per questo vanno perseguiti.
Il contrappeso di cui devono godere i cittadini è il recall, la sfiducia, e cioè la possibilità di revocare il mandato al sindaco, se non rispetta gli impegni presi, su richiesta del 50% più uno dei voti ricevuti.
Si prega Accesso a partecipare alla conversazione.
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