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La morte, ombra misteriosa, ultimo tabù.
Heidegger, che fu un grande esistenzialista, ebbe a dire di questa nera signora: "L'impostazione di una ricerca intorno a ciò che vi sia dopo la morte, è possibile... solo se la morte è stata chiarita concettualmente nella sua consistenza ontologica essenziale". Il che vorrebbe dire che l'unica possibilità per fronteggiare il problema della sopravvivenza o di cosa possa esservi dopo la distruzione fisica può essere data solo da una chiarificazione dello stesso fenomeno "morte", di conseguenza da un approfondimento della conoscenza dell'uomo al di là delle sue estrinsecazioni fisiche, biologiche e psicologiche, cercando di stabilire fino a che punto l'essere umano è solo una macchina biologica, fino a che punto non lo è più.
La sapiente nonna dell'utente Mrexani fa assumere alla nera falciatrice un aspetto meno drammatico, cercando di allontanarla come idea terrificante. Ma se ne parla anche a livello culturale, ma forse per esorcizzarla con belle parole.... ma essa continua ad essere un argomento, se fatto in prima persona, di cui si preferisce o tacere allontanandone completamente l'idea fino a credere che la morte interessi solo gli altri, o nascondere dietro risatine che francamente di allegro e di gioioso hanno poco, il terrore che tale pensiero è capace di provocare. Forse se si riuscisse ad allontanare una tale idea della morte, nero angelo devastatore, si potrebbero fare grossi passi avanti riappropriandosi della vita stessa.
Un saluto
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Si misero a parlare del più e del meno come due vecchi amici quando Siddharta gli chiese:
“Qual è la mancanza più grave per l’uomo?”
E il viandante pensatore così rispose:
“È grave morire senza aver capito la vita. È drammatico vivere senza aver capito la morte!”
Hermann Hesse
Queste poche righe racchiudono uno stimolo verso una equilibrata ricerca e riflessione
Altri stimoli per riflessioni si possono ricevere dalla visione di questo bel documentario di Franco Battiato
Buona visione
Attraversando il bardo (Sguardi sull'aldilà) FILM COMPLETO 2014 - Franco Battiato
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Il documentario proposto da Al2012 ha presentato il Bardo, luogo intermedio, in riferimento a concetti del Buddha, al quale premeva spiegare (mooolto velatamente in verità) il principio di unificazione di tutti i piani dell'esistenza, la cessazione di tutte le opposizioni. Una natura non esprimibile verbalmente ma che può essere solo direttamente sperimentata. Resta il punto di domanda: il Buddha è mai esistito? Forse no... Anche se i tanti aneddoti che lo riguardano sono veramente profondi. Dall'Anguttara Nikaya mi piace riportare questo:
Il Brahmana Dona vide il Buddha seduto sotto un albero e fu tanto colpito dall'aura consapevole e serena che emanava, nonchè dallo splendore del suo aspetto, che gli chiese:
-Sei per caso un Dio?
-No Brahmana, non sono un Dio
-allora sei un angelo?
-No davvero Brahmana
-Allora sei uno spirito?
-No, non sono uno spirito
-Allora sei un essere umano?
-No Brahmana, io non sono un essere umano
-Allora cosa sei?
-Io sono sveglio
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Da questo mezzo rigo, acqua pura da sorgente purissima, le beghe conciliari ne hanno tratto ben altro, le "correzioni" altrettanto sfocianti nel dogma della "resurrezione della carne" trattato pari pari anche dai seguaci di Geova, configurando una immortalità della carne (alla fine dei tempi). Di una carne, se vogliamo, che si differenzia da quella che oggi forma i nostri corpi, per il fatto di essere incorruttibile e animata dallo spirito: il cosidetto "corpo di gloria" di cui parla S. Paolo. Su questo si può dissentire (come del resto dissento...), ma lo sforzo di S. Paolo va rispettato.
S. Paolo scrive nella prima lettera ai Corinzi (15-29): "L'ultimo nemico ad essere distrutto sarà la morte". (44) "Si seppellisce un corpo materiale, ma risusciterà un corpo animato dallo spirito". Come dicevo qui la speculazione corpo/spirito che se ne fece è fondamentale, ma per rispetto a Paolo proseguo... (54) "E quando quest'uomo che va in corruzione si sarà rivestito di una vita che non si corrompe, che non muore, allora la vittoria sarà completa". Questi sono in ogni caso spunti che mi fanno riflettere: qual è secondo Paolo la via che conduce a questa immortalità? Credo non ci siano alternative seguendo le sue direttive, che poi sono in buona parte anche di Gesù, ovvero la via che percorre la dimensione etica.
"ascoltatemi", scrive paolo ai Galati, (5-16/23) "lasciatevi guidare dallo spirito e così non seguirete i desideri del vostro egoismo". Questo "egoismo" di Paolo può essere identificato col nostro "io storico", ovvero con la nostra personalità, intesa in contrapposizione alla nostra "individualità", L'egoismo infatti, dice Paolo, "ha desideri contrari a quelli dello spirito e lo spirito ha desideri contrari a quelli dell'egoismo. Queste due forze sono in contrasto fra di loro...". Non voglio inserire qui il mio avatar... nè il bilanciamento Yin e Yang, sarebbe troppo... Ma pur con diverso linguaggio resta un'indicazione fondamentale.
"Vediamo tutti benissimo", specifica Paolo, "quali sono i risultati dell'egoismo umano: immoralità, corruzione e vizio, idolatria, odio, litigi, gelosie, ire, intrighi, divisioni, invidie (oggi direbbe Draghi e Covid...), lo spirito invece produce amore, gioia, pace, comprensione, cordialità, bontà, fedeltà, mansuetudine, dominio di sè". Inutile quindi sottolineare che tutto il discorso di S. Paolo si incentra sul "comportamento". Se poi per "peccato" si intende ogni violazione delle leggi dello spirito, cioè delle leggi divine, l'affermazione che segue (14-56), che "la morte prende il suo potere dal peccato", non lascia dubbi su quale sia la via che conduce, scondo Paolo, all'immortalità: conformarsi alle leggi dello spirito.
Sulla SCONCERTANTE visione cristiana di una immortalità "fisica" magari avrò tempo, tra una pausa caffè e l'altra...
Un saluto
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Approfondire questo porterebbe molto lontano, non desidero impegolarmi oltre il necessario tra le dispute TEOSOFICHE e TEOLOGICHE che generalmente vanificano qualunque concreto discorso produttivo sui grossi perchè della nostra vita. Meglio sarebbe trattare gli ultimi 120 anni della nostra storia, citando anche come nella stessa scienza vi siano spiragli (non di più...) di percezione di una realtà più ampia e complessa.
Voglio dire che se esiste (ed io ne sono convinto) un prolungamento della realtà umana che va oltre le nostre normali possibilità di percezione, bisognerebbe considerare un "IO" immateriale dopo la morte, che, pur con leggi diverse, non potrebbe radicalmente essere "un'altra cosa", ma derivato dalla nostra realtà attuale.
A parte i contatti avuti in sedute medianiche che ritengo abbiano spesso collegato i due piani delle realtà, ogni persona può avere a livello intuitivo od onirico, tramite una facoltà "energetica" ancora in gran parte misteriosa (più spiccata in medium o sensitivi) segmenti di "collegamento" tra questa dimensione e l'altra. In barba alla fredda congettura di chi non crede a priori. Lo affermo a ragion veduta, per le notevoli "intromissioni" nelle sedute di chi ci ha preceduto nell'Altra Dimensione, in particolar per l'origine delle "comunicazioni" intelligenti ed autocoscienti del cosidetto "Aldilà", che ci sono giunte mediante le "trance" scriventi o ad incorporazione "parlante" del nostro amico medium.
Un saluto
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Perchè, sia chiaro, la scadenza inesorabile della morte interessa tutti noi, ma un problema così vasto e intricato, di così capitale importanza, non si risolve da sè, e non si risolve nemmeno con studi od esperienze approssimativi e superficiali, malamente condotti, come succede in tanti "esperimenti" inerenti.
Gli studi e i "contatti" con una dimensione esistenziale che non è più quella della Terra devono essere necessariamente seri e privi di tornaconti personali, Privi di "credi" che portano inevitabilmente a scontri verbali, ma con cooperanti controlli e revisioni critiche. Noi (come gruppo) ci imponemmo questo modo di agire, con verifiche personali e interpersonali, in una fatica annosa che sola può dare qualche buon frutto e che, a suo tempo negò la pretesa di coloro che credevano di avere facili risposte, addirittura con un piattino o con un "bicchiere" più o meno semoventi. La nota e deleteria Ouija.
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L'alieva di un Maestro spirituale era molto turbata per la recente morte del padre, il Maestro gli disse:
"La morte non è niente, è come spegnere la televisione" .
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Certo (va detto) non è attraverso questi tipi di comunicazioni con l'aldilà che possiamo comprendere pienamente la sua verità e la SUA struttura. Le cose sono in realtà molto più serie e difficili a penetrarsi, di quanto in genere si sia portati a credere, ma ciò che si perde in facilità d'approccio, lo si riguadagna ampiamente in sicurezza e precisione. Sempre nei limiti delle facoltà e discernimenti umani s'intende.
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La morte dunque NON uccide, molti studiosi, molti scienziati, anche di gran valore e fama, si sono dedicati al difficilissimo compito di dimostrare che quella proposizione è vera, che questa corrisponde alla verità dei fatti, a ben riflettere, in un sottile e intelligente coordinamento di episodi della vita singola o collettiva, che costellano la trama ormai densa e ricca del Paranormale.
Entrare in queste considerazioni vuol dire interessarsi dell'"effetto uomo", cioè dell'uomo come tale, magnifico strumento psico-fisico e ancora più magnifico strumento di transizione a quanto appare sempre più chiaramente, tra un mondo la cui conoscenza si svolge fondamentalmente tramite i 5 sensi, e un mondo (o altri mondi) la cui conoscenza presuppone ALTRI "SENSI", ovvero altri tipi di percezione poggianti su qualità più SOTTILI, di difficile individuazione, almeno nel presente.
Un saluto
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Si hanno notizie a tal proposito fin dall'antichità, Si riporta nella Scuola Medica che il famoso medico Asclepiade di Bitinia ritornando a casa dopo una assenza, vide la celebrazione di un funerale. Avvicinandosi vide che il cadavere era già stato cosparso di unguenti ed aromi, gli tastò più volte il polso e fece sospendere il funerale. L'uomo dato per morto poco dopo si riebbe. Un altro grande medico antico, Galeno di Pergamo narrò che Empedocle, medico, mago e filosofo, riuscì ad impedire un imminente sotterramento di una donna affetta e "morta" di spasmo isterico, riportandola in vita tramite opportuni medicamenti.
Gli antichi Romani inizialmente seppellivano tutti i loro morti, in seguito, nel periodo classico, per essere certi della loro morte, in molti casi optarono per la cremazione. In più per non lasciare spazio al dubbio, usavano amputare un dito al cadavere prima del funerale. Publio Virgilio Marone riporta nell'Eneide che per accertarsi che il morto fosse… morto, i presenti intonavano un pianto all'unisono, se il morto non dava nemmeno così segni di vita si procedeva all'inumazione…
Più concreti erano gli antichi Persiani che si accertavano dell'avvenuta morte di un congiunto solo quando l'odore del cadavere aveva richiamato cani, sciacalli e uccelli spazzini. Il timore di seppellire una persona ancora viva era molto presente negli Egiziani, che attendevano oltre 4 giorni per la tumulazione. Nel Tibet il morto veniva legato in modo da risultare seduto e lasciato in questa posa per una settimana, dopo di che lo si bruciava e le ceneri disperse al vento.
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Ma le sepolture premature non riguardano solo i contagiati di pestilenze varie, ma è ragionevole pensare che questa pratica di premature sepolture riguardino anche i soldati di tutte le guerre. Persone sepolte vive dopo essere state dichiarate morte per asfissia, vengono riportate dallo storico e bibliotecario Luc d'Achèry. Disse che il Conte di Salm fu sepolto vivo e che il giorno successivo fu trovato con il corpo "rovesciato e col viso di sotto". Un ubriaco fu sepolto e in seguito si trovò che si era rosicchiato le braccia.
Riscontri questi (della sepoltura prematura) che fecero inorridire diversi studiosi. Nel periodo dell'Illuminismo, fu un argomento diffuso. Ne discusse il libro di Antonio Giuseppe Testa edito a Firenze nel 1780 col titolo emblematico "Della morte apparente degli annegati". Se ne occupò anche l'insigne dottore in medicina e filosofo D'Agostino Olmi, con il suo "Il ragionamento. Sulla possibilità di essere sepolti vivi e sulla maniera di prevenirla", stampato nel 1807. L'anatomista Jacques-Benigne Winslow, professore della Facoltà di Medicina di Parigi, nella sua opera "Morte Incertae Signa", ai primi del '700, sosteneva che molti fossero stati sepolti vivi, con drammatico risveglio nella bara. La mancanza di respiro, la perdita del battito cardiaco e l'insensibilità non erano prove sufficienti a stabilire un decesso.
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---"Era il mese di settembre del 1950. Con la voce della medium si manifestò una donna: <sono nata Rosa Menichelli il primo luglio 1900. Quando morii ero Rosa Spadoni, ma mio marito era mancato prima di me. Siamo sepolti entrambi nel cimitero di Castelraimondo poco lontano da Camerino. Vi chiedo soltanto di aiutare altre prsone perché anche a loro potrebbe accadere la stessa cosa che accadde a me. Due giorni dopo che fu stilato il mio certificato di morte, fui portata al cimitero e li fui sepolta viva>.
Il giorno dopo il Prof. Giuseppe Stoppoloni scoprì che effettivamente una certa Rosa Spadoni era morta all'Ospdale civile di Camerino il 4 settembre 1939 e fu realmente sepolta due giorni dopo nel cimitero di Castelraimondo. Dal momento che i parenti più prossimi di Rosa erano morti e che nessuno si oppose all'esumazione, si procedette alla suddetta operazione il 13 settembre 1950. Oltre al Prof. Stoppoloni, all'esumazione erano presenti degli operai ingaggiati per l'occasione, alcuni patologi dell'Autorità Sanitaria di Camerino, tre ufficiali in rappresentanza del Governo Italiano e un fotografo. La bara fu trovata dopo quasi un'ora di scavo e Stoppoloni scese personalmente nella fossa per assistere all'apertura del coperchio. La scena che ne seguì fu agghiacciante, lo scheletro di Rosa giaceva supino con il cranio piegato a sinistra mentre il braccio sinistro era sollevato, con le ossa delle dita infilate in bocca e nella gola. Le ginocchia erano piegate come come nello sforzo di aprire il coperchio, ma la cosa più raccapricciante erano i profondi graffi paralleli nella parte interna del coperchio che erano un segno evidente del tentativo di Rosa di aprirsi una via d'uscita dalla bara con le unghie"---. Fin qui la testimonianza di Stoppoloni.
I patologi nella relazione ufficiale scrissero: "E' del tutto irrilevante sapere come il Prof. Stoppoloni sia giunto alla conoscenza dei fatti. Dobbiamo ammettere con lui che Rosa Spadoni fu sepolta mentre si trovava in stato di coma in assenza di percepibili segni di vita e che si risvegliò nella bara quando era troppo tardi per soccorrerla".
A parte la tragedia di Rosa Spadoni, questa testimonianza, come tante altre, determina la sopravvivenza della coscienza oltre al disfacimento fisico.
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Un amore che dalle ristrette dimensioni umane dell'affetto incerto, è irresistibilmente destinato a crescere nei confronti di tutto e di tutti, tramite modalità che vanno oltre il tempo e lo spazio, ben al di là dei "misteri" nostrani che da sempre risultano delle vere catene per la nostra limitata mente. Per quanto mi riguarda, in modalità soggettiva ovviamente, quanto su detto NON è solo fantasia o retorica, e nemmeno immaginazione, ma semplice autogratificazione.
Ritenere queste considerazioni vuote di senso equivale a ritenere che l'essere umano, come tale, sia uno scherzo della natura, tenuto faticosamente assieme da bislacche leggi di una realtà che soltanto nei suoi rapporti con l'uomo e la donna dimostra irrazionalità e follia operativa. So bene che su questo argomento cardine si è parlato quasi inutilmente per millenni, perché poi molti hanno sempre seguito le proprie idee (ammesso che ne abbiano avute…), le proprie limitatissime considerazioni, la propria povera immaginazione legata alla non volontà di sbirciare "oltre". Allacciandomi all'ultimo rigo, concludo dicendo che sono in disaccordo sulla inconcepibilità più volte dichiarata della propria morte, perché ho sperimentato che la propria morte è concepibile e credo che tale consapevolezza possa essere a maggior ragione recepita dal nostro inconscio.
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Un amore che dalle ristrette dimensioni umane dell'affetto incerto, è irresistibilmente destinato a crescere nei confronti di tutto e di tutti, tramite modalità che vanno oltre il tempo e lo spazio, ben al di là dei "misteri" nostrani che da sempre risultano delle vere catene per la nostra limitata mente. Per quanto mi riguarda, in modalità soggettiva ovviamente, quanto su detto NON è solo fantasia o retorica, e nemmeno immaginazione, ma semplice autogratificazione.
Ritenere queste considerazioni vuote di senso equivale a ritenere che l'essere umano, come tale, sia uno scherzo della natura, tenuto faticosamente assieme da bislacche leggi di una realtà che soltanto nei suoi rapporti con l'uomo e la donna dimostra irrazionalità e follia operativa. So bene che su questo argomento cardine si è parlato quasi inutilmente per millenni, perché poi molti hanno sempre seguito le proprie idee (ammesso che ne abbiano avute…), le proprie limitatissime considerazioni, la propria povera immaginazione legata alla non volontà di sbirciare "oltre". Allacciandomi all'ultimo rigo, concludo dicendo che sono in disaccordo sulla inconcepibilità più volte dichiarata della propria morte, perché ho sperimentato che la propria morte è concepibile e credo che tale consapevolezza possa essere a maggior ragione recepita dal nostro inconscio.
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--- "Il fiore deve perdere i suoi petali per dare il frutto e il frutto deve cadere perché l'albero possa rinascere. Il bimbo si stacca dal seno materno affinché gli sia possibile svilupparsi nel corpo nello spirito, in seguito deve separarsi dalla sicurezza di un mondo limitato per affrontare un'esistenza più vasta che abbracci molteplici relazioni. Poi giunge il declino del corpo e l'uomo, forte della sua esperienza, deve da una parte scambiare la sua esistenza limitata con la vita universale, e dall'altra entrare in contatto con la vita eterna, sì che, quando la vita del corpo avrà raggiunto i propri limiti , lo spirito non dovrà faticare per riconoscere la propria librazione, aspettando la rinascita nell'infinito. Dal corpo dell'individuo alla comunità, dalla comunità all'universale, dall'universale all'infinito. Questa è la normale evoluzione del progresso spirituale".---
Marco Tullio Cicerone era più sintetico: --- "Vivono coloro che dai legami corporei evasero come da un carcere. Morte è invece ciò che voi chiamate vita". ---
Francois Mauriac: --- "Io conservo la speranza che essi siano vivi. L'assurdità del mondo non appare che quando non lo giudichiamo con la nostra limitata ragione. La parola dell'enigma esiste. Essa ci verrà offerta all'improvviso, appena verrà esalato l'ultimo respiro." ---
Cito ancora Socrate (nei dialoghi con Platone): --- "Crediamo davvero che ci sia una cosa come la morte? Non è forse la separazione di anima e corpo? E l'esser morti è il realizzarsi di questa separazione, quando l'anima esiste per sé stessa ed è librata dal corpo e il corpo è liberato dall'anima, che cos'è questo se non la morte?" ---
Il tanatologo P. Ariès: --- "Ciò che davvero è morboso non è parlare della morte, ma tacerne, come oggi si fa. Nessuno è più nevrotico di chi giudica nevrotico affrontare il discorso della fine". --- (che si riferisse a tal Polidoro?)
Il rivoluzionario Robespierre ebbe a dire: --- "No, la morte non è un sogno eterno. Cancellate dai sepolcri l'empia massima che getta il lutto sulla natura e insulta la morte. Scriveteci piuttosto così: "la morte è il principio dell'immortalità". ---
Victor Hugo: --- "Guai a chi avrà amato che corpi, forme, apparenze, la morte gli toglierà tutto! Cercate di amare le anime, perché le ritroverete". ---
Parole di 2000 anni fa espresse da S. Paolo (ai Corinti 2-9) che affermava di essere stato nell'aldilà: --- "né occhio umano mai vide, né orecchio mai udì, né cuore mai provò ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano". ---
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Penso che nessuna parola abbia mai davvero ridotto il dolore e la malinconia di chi ha perso una persona cara, eccetto ovviamente una fede incrollabile. Per tanti la valutazione di un distacco che sembra irreparabile, definitivo, l'ultima cosa che va a valutare non è certo il fatto che chi muore continua il suo itinerario esistenziale in una dimensione diversa. Ma certe valutazioni vanno prese e considerate, meglio a mente fredda, lontano da un evento luttuoso e la domanda è solo una: tutto, proprio tutto è davvero destinato a perdersi, ad andare nel nulla? La realtà è solo una, al di là di ogni ragionamento che possa portare a conclusioni del tutto soggettive. Personalmente il mio interessamento su questa tematica, mi fa dire che l'esistenza, la coscienza di noi stessi, non può venire meno con la dipartita fisica.
Questa convinzione mi fa dire che se ciò che ci lega ad un altro essere risulta essere un sentimento di autentico rapporto simpatetico, nato e consolidato dalla mutua comprensione, dall'unità di pensiero, allora l'illusione del distacco appare, appunto, soltanto come un'illusione della mente che si affanna nel quotidiano. Nel caso dei "morti" il distacco che sembra irreparabile, quasi tragicamente definitivo nei confronti dei nostri sentimenti oltraggiati dalla morte, ci allontana dall'immagine di colei (o colui) che abbiamo amato (che amiamo ancora), fino al punto, nel tempo, anno dopo anno, a determinare nei più sensibili l'angoscia di una perdita ritenuta irrimediabile, per un processo di separazione che appare irreversibile e che da quindi un senso di sconforto profondo, perché è umanamente (e psichicamente) il senso della relatività e della inevitabile fine delle cose della Terra.
Soggettivamente sono giunto a conclusioni positive dopo anni di prove di gruppo e di interessamenti, il che mi fa dire, ai confini del possibile che, per le unioni intime e vere, all'angoscia per una perdita tanto amata, si può e si deve sostituire la gioia della "continuazione", la gioia per il futuro ritrovarsi, lungo nuovi più aperti e liberi itinerari di conoscenza, al di là del tempo e dello spazio.
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