- Dettagli
- Scritto da Redazione
- Categoria: Static Pages
- Visite: 16032
LA AUSCHWITZ DEL VATICANO
Seconda parte I BALCANI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE IL RUOLO DELL'ITALIA I BALCANI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE Questa cartina militare tedesca descrive la compenetrazione delle varie etnie all'inizio della II Guerra Mondiale, in quello che allora era il Regno di Jugoslavia. Come si può vedere, il blocco occidentale dei Serbi ("zona 1"), di religione ortodossa, rappresentava un ostacolo insormontabile per l'unità dei croati, di religione cattolica. Il 10 Aprile 1941 la Germania di Hitler invase in Regno di Jugoslavia, e creò lo stato-fantoccio chiamato Repubblica Indipendente di Croazia, con a capo il dittatore Ante Pavelic. Nella cartina sotto la ripartizione dei Balcani nel 1942, dopo l'invasione tedesca e lo smembramento della Jugoslavia. L'alleanza nazifascista controllava ora Croazia, Bosnia, Montenegro e Albania, avendo costretto il resto dell'etnia serba nell'ex-territorio della "zona 2". Tutti i serbi che vivevano nella zona 1 furono uccisi, scacciati o convertiti di forza al cattolicesimo. Ma i convertiti e gli scacciati furono solo un'esigua minoranza. In seguito nacque in Serbia (ex-zona 2) il movimento dei Partizan jugoslavi (fra cui c'era il futuro Maresciallo Tito), che oppose una tenace resistenza all'occupazione e all'avanzata germanica. Secondo molti storici fu proprio questa resistenza a rallentare le armate di Hitler a sufficienza da impedirgli di arrivare a Mosca prima dell'inverno (1943), gettando così le basi per la sua sconfitta nella II Guerra Mondiale. IL RUOLO DELL'ITALIA Per quanto non abbia partecipato militarmente all'invasione del 10 Aprile 1941, l'Italia aveva provveduto all'addestramento militare degli Ustasha, che sarebbero insorti nel territorio croato come "quinta colonna" al momento dell'invasione tedesca.
Nei territori occupati dall'Italia l'assoggettamento delle popolazioni non fu meno brutale di quello operato dai nazisti o dagli Ustasha. Le fucilazioni dei cosiddetti "ribelli" erano all'ordine del giorno anche da noi.
In una lettera alla Questura di Zara, il comandante del campo di concentramento di Melada facevo una richiesta urgente di 50 rulli di filo spinato:
"Faccio presente - si legge nel documento - che si rende assolutamente necessaria la recinzione completa del campo, onde evitare fughe da parte di qualche internato. A tale proposito bisogna rilevare che quando si presenta la motobarca di cod. Questura per prelevare gli ostaggi da fucilare, nel campo si nota un certo orgasmo, e c'è da temere che qualcuno, per paura di essere prelevato, tenti l'evasione per sfuggire alla fucilazione."
I rastrellamenti svuotavano interi villaggi, favorendo in questo modo il progetto di "pulizia etnica" di Ante Pavelic.
Anche le rappresaglie erano diventate una routine in tutta la zona occupata, per obbligare i partigiani a consegnarsi e venire deportati. Nè furono più teneri gli italiani al momento della loro ritirata, nel 1943. Ovunque passavano lasciavano alle proprie spalle morte, devastazione e villaggi bruciati.
L'avventura italiana in Istria e Dalmazia rappresenta ovviamente un capitolo a parte nella storia della Seconda Guerra Mondiale, ma è interessante notare quanto il nostro intervento militare abbia influito sulle vicende interne jugoslave, e soprattutto sul genocidio dei serbo-ortodossi nell'ambito del progetto di totale cattolicizzazione della Jugoslavia. In questo rapporto a Mussolini, Italo Sauro - responsabile italiano per i territori slavi conquistati - sottolineava la necessità di arrivare alla completa "eliminazione dello slavismo". Nella stessa pagina leggiamo anche: "La lotta dovrà esser anzitutto precisa onde, ad esempio, ad un prete slavo si dovrà sostutuire un prete italiano che parli slavo, e ciò perchè in un primo tempo è bene agire lentamente per non provocare troppe opposizioni e andare facilmente in profondità. Il prete slavo dovrà in ogni caso essere prima affiancato a un italiano, e poi eliminato". Nuovamente, la spada e la croce unite nel connubio inestricabile coltivato dalla Chiesa per quasi due millenni. Tutte queste vicende infatti andrebbero inquadrate nel più ampio disegno delle alleanze storiche fra il Vaticano e i vari stati nazifascisti - Spagna, Italia, Germania, Portogallo, Belgio, Austria, Croazia - nate a partire dalla fine degli anni '20 con lo scopo di ristabilire un "impero centrale", cattolico e assolutista, sulla falsariga dei grandi imperi del passato, imperniati sul concetto centrale di "romanità".
|
- Dettagli
- Scritto da Redazione
- Categoria: Static Pages
- Visite: 23548
INTRODUZIONE Nell'analizzare l'omicidio Kennedy, ci scordiamo tutti spesso di una cosa importantissima: l'intero castello difensivo della tesi Warren, e quindi di chi ancora si ostina a sostenerla, in realtà si regge su una singola carta sottile quanto un giovane ramo di quercia agitato dal vento. I difensori della Warren infatti, pressati più da vicino, sono costretti ad ammettere che il famoso colpo "andato a vuoto" può solo essere stato sparato da Oswald fra i fotogrammi Z160 e Z166, e che prima di colpire il bersaglio il proiettile dev'essere stato deviato da un ramo della quercia sottostante, per andare a colpire - scamiciato - il marciapiede accanto a James Tague, vicino al sottopassaggio. Non vi sono infatti altre ipotesi accettabili, in grado di far quadrare il cerchio con tre sole pallottole ed un solo cecchino. RIPETIAMOLO QUINDI PER CHIAREZZA: Chi sostiene la tesi Warren è obbligato a credere - o comunque a sostenere - che il primo colpo sia stato deviato dal ramo di quercia nel modo suddetto. TALE E' LA FORZA EFFETTIVA DI COLORO CHE SI ATTEGGIANO A DEPOSITARI DELLA VERITA' SUL CASO KENNEDY: praticamente nulla. Perchè "praticamente", e non nulla del tutto? Poichè tutti sappiamo come la parola "dimostrare" abbia la latitudine che ciascuno vuole darle quando la utilizza. E pensare che è proprio il sostenitore della tesi Warren, nel caso della quercia, a premurarsi di farci sapere che "non esiste prova scientifica che la deviazione di quel colpo non fosse possibile". Certo, molto difficilmente si può dimostrare l'impossibilità o l'inesistenza di qualcosa, lo sanno anche gli studenti al primo anno di filosofia, ed esiste addirittura una fallacia logica al riguardo, detta "Argomento ad ignorantiam" (Es. Dio esiste: dimostrami che non c'è). Curiosa però, al di là di tutto, questa necessità di aggrapparsi alla "non esistenza" di una prova contraria, quando le stesse persone vorrebbero sostenere che "è stato definitamente provato che Oswald agì da solo". Delle due una, non credete? Comunque sia, diciamo che chi scrive si accontenterà di dimostrare come la tesi proposta sia "praticamente" impossibile (ovvero, rimane possibile, ma solo in via teorica, poichè nel mondo reale va a scontrarsi con i più elementari principi della fisica dinamica, oltre che con la logica e col comune buon senso), lasciando a chi legge il giudizio sulla effettiva credibilità complessiva di una tesi - quella della SBT - che già è molto difficile sostenere per mille altri motivi. L'ANALISI TEORICA Pur volendo ipotizzare che sia questo lo sparo andato a vuoto, si parte almeno dal presupposto - per fortuna confermato anche dai propositori della teoria stessa - che Oswald non sia stato così stupido da scegliere di sparare il primo colpo quando già Kennedy gli fosse scomparso del tutto alla vista, sotto la quercia, ma che abbia aspettato magari troppo a farlo, seguendo il bersaglio nel mirino, ed obbligandosi così ad una linea di tiro che ne rasentava i rami esterni. A quel punto un colpo di vento - peraltro presente a Dallas quel giorno - avrebbe improvvisamente frapposto un ramo "vagante" fra il proiettile e il bersaglio sottostante. La frapposizione in sè è certo possibile: la necessità di anticipare il colpo, la breve distanza e quindi la rapidita’ di uscita dal campo visivo dell’ottica del bersaglio, il bersaglio intermedio (quercia), la distanza di molto inferiore a quella di azzeramento, sono tutti fattori che possono avere portato il tiratore a colpire per errore il ramo incriminato. Il problema sta tutto nell'entità dell'eventuale deviazione. In realtà infatti, "anche le querce cominciano da piccole", e i rami di quella di Dealey Plaza avevano, nel 1963, uno spessore ancora minore di quello che vedete nella foto accanto, che risulta essere del 1969. I rami sono teneri e sottili, ed ondeggiano liberi al vento, uniti come sono al tronco in maniera elastica e flessibile. Nessuno di quei rami dovrebbe quindi essere in grado di opporre la resistenza dinamica necessaria a deviare in maniera sostanziale (come vedremo) la traiettoria di un proiettile di fucile che viaggia al doppio della velocità del suono. Ci si aspetterebbe piuttosto che il ramo venisse spostato lateralmente dal proiettile, se colpito di striscio, oppure piuttosto spezzato del tutto, se colpito nel suo punto più spesso. Ma in nessun caso la traiettoria del proiettile potrebbe risentire di quell'impatto, se non in misura assolutamente irrilevante. Le leggi della fisica dicono infatti che fra due corpi che si scontrano, è il più "leggero" (in quanto a forza d'impatto, cioè energia cinetica tradotta in Kg./cm2) a cambiare maggiormente di traiettoria rispetto al più pesante. Se un'automobile si scontra con un ciclista (esempio sotto a sin.) purtroppo è il ciclista, che ha una forza d'impatto in Kg/cmq molto minore, a volare lontano, mentre l'auto continua (o si ferma) lungo la traiettoria che già aveva (deviando, in realtà, ma di pochissimo). Se invece quell'auto si scontra con un TI R (sotto a ds.). che ha a sua volta cento volte la sua forza di impatto, è l'auto a volare dall'altra parte della piazza, mentre il TIR prosegue, finchè si ferma, nella stessa direzione (deviando, in realtà, ma di pochissimo). Per calcolare quindi la forza d'impatto di un proiettile bisogna prima conoscerne l'energia cinetica (E) , che è espressa in Joule , ed è data dalla formula E=(mV2)/2 (dove m è la massa in chilogrammi e V è la velocità in metri al secondo). Facendo un calcolo approssimativo (per difetto), se un proiettile calibro 6.5 pesa circa 150 grani = 10 grammi (0,01 Kg), e viaggia a 600 metri al secondo, abbiamo 0.01 x 600 = 6 6 x 6 = 36 36 / 2 = 18 E (Joules di energia cinetica). Siccome 1 Joule equivale a una spinta di circa 10 Kg/cmq., abbiamo 180 Kg. per centimetro quadrato di spinta prodotta dal proiettile appena uscito dalla canna. E siccome la sezione di un proiettile di 6.5 mm di diametro, equivale più o meno ad un quarto di centimetro quadrato, possiamo valutare sui 45 kg circa (180 / 4) la forza d'impatto di quel proiettile. (Che non si disperde nel bersaglio, poichè in questo caso non c'è penetrazione). IMMAGINIAMO QUINDI DI FAR CADERE SUL RAMO, CHE E' LIBERO DI OSCILLARE IN OGNI DIREZIONE, UN PESO DA BILANCIA DI 45 CHILOGRAMMI, CHE COLPISCA IL RAMO CON UN SUO SPIGOLO (che equivale alla punta del proiettile): SI SPOSTA IL RAMO, O E' IL PESO A CAMBIARE DIREZIONE? Solo perchè il proiettile "è piccolo", ci sembra possibile che venga deviato dal ramo "che è più grosso", ma in realtà le forze effettive in gioco sono capovolte. Inoltre, all'energia cinetica sopra calcolata, detta " traslazionale" (relativa cioè al tragitto vero e proprio del proiettile), bisognerebbe aggiungere anche quella "rotazionale" (mentre viaggia il proiettile gira anche su se stesso), misurata rispetto al suo centro di massa. Ma la sproporzione con la resistenza che può opporre quel ramo di quercia, così leggero, mobile ed elastico, ai 45 chilogrammi del proiettile, è già tale da escludere in qualunque modo una sostanziale deviazione da parte sua. Solo un oggetto assolutamente rigido, pesante, consistente, e ben fissato a tutte le sue estremità, può illudersi di deviare in maniera sostanziale un proiettile di quel tipo. Potrebbe quindi averlo fatto, teoricamente, il tronco stesso dell'albero, ma i tronchi di quel genere, a loro volta, non si fanno certo spostare dalla prima folata di vento. Non c'è infatti nessun bisogno di mettersi a discutere sull'effettiva rigidità di quel ramo, perchè è l'ipotesi stessa ad imporre la contraddizione: quel ramo deve essere CONTEMPORANEAMENTE abbastanza morbido e flessibile per andare ad ingombrare di colpo il campo visivo di Oswald, in seguito ad una folata di vento, ma abbastanza rigido da deflettere poi con fermezza il proiettile. Suggerire che a deviare il proiettile sia stato un ramo che oscilla libero al vento, è come dare uno schiaffo a un mosca e pensare che la mano possa subire una deviazione nel farlo. ULTERIORI ARGOMENTI A SFAVORE 1 - In tutto questo non abbiamo considerato l'energia cinetica che il proiettile avrebbe dovuto concedere al ramo, se davvero fosse stato deviato in modo così violento, e di cui ora avrebbe invece tanto bisogno, per arrivare sino a Tague con la forza sufficiente per staccare una scheggia dal marciapiede e spedirgliela in faccia. 2 - A rendere ancora più pesante il deficit energetico del proiettile ci sarebbe poi la famosa scamiciatura, che fra l'altro non ci viene spiegato in nessun modo dove mai possa essere avvenuta. La tesi della quercia, quindi, in realtà non è nemmeno completa. 3 - C'è infine un notevole problema logico da superare, per accettare a priori l'ipotesi della quercia: è davvero possibile che a nessuno degli investigatori sia venuto in mente, guardando dalla finestra da cui ha sparato Oswald, di andare ad ispezionare quell'albero centimetro per centimetro, per vedere se per caso si rintracciava qualche altro proiettile conficcato nel tronco, o magari appunto deviato da uno dei rami? Sono cose che si fanno normalmente per un qualunque omicidio fra gente normale, e non è quindi pensabile che non sia stato fatto per quello del presidente. Ma in quel caso, come mai non ci è mai stato detto che c'era un ramo spezzato, o comunque il segno del passaggio di un proiettile fra quei rami? Sarebbe stato nell'interesse della Commissione stessa, oltretutto, il dircelo, poichè avrebbe potuto supportare in qualche modo la loro versione dei fatti. (In realtà la Commissione Warren si guardò bene dall'offrire una QUALUNQUE spiegazione completa per la dinamica dell'intera sparatoria. Ma prima o poi qualcuno dovette farlo, ed a quel punto cascò l'asino: l'unica alternativa possibile al ramo di quercia, per riconciliare tutti gli elementi noti con soli tre proiettili ed un solo cecchino, è talmente ridicola che molti degli stessi sostenitori della Warren si vergognano a citarla.) Come dicevamo all'inizio, una cosa è suggerire l'ipotesi del ramo di quercia in via teorica, ben altra è cercare di immaginarsela avvenire davvero, nel contesto della situazione reale che ben conosciamo. Passiamo quindi DALLE PAROLE ALLE IMMAGINI
... Kennedy sta praticamente SOTTO di noi, in una posizione indicata approssimativamente dalle frecce gialle.
Vediamo adesso dov'è James Tague, considerando anche la finestra e l'angolo di tiro :
Questi sono due fotomontaggi, ottenuti mettendo in trasparenza l'immagine A prima sulla B e poi sulla C, ed aggiungendo infine il riquadro bordato di rosso con l'immagine di Tague. I risultati, per quanto approssimativi, rendono abbastanza bene l'idea di come stessero le cose in quel momento, viste dal sesto piano.
Confrontate ora la direzione in cui dovrebbe mirare Oswald - praticamente in verticale, sotto di sè, PRIMA della quercia che vede attraverso la finestra - con il punto in cui si trova Tague (indicato dai pallini rossi in ciascuna foto).
Ed ecco il controcampo della situazione, visto dall'alto. Col pallino giallo è ora indicato il punto in cui più o meno dovrebbe trovarsi Kennedy, usando come riferimento sia il fotogramma Z-160 (inserito in basso al centro), sia il fatto che oltre quella linea di tiro (tratteggiata in celeste) Kennedy scomparirebbe comunque alla vista di Oswald. Il tratteggio rosso indica invece il proseguimento del proiettile verso James Tague, dopo l'ipotetica deviazione del ramo di quercia. Come vedete, a furia di ipotizzare l'impossibile, siamo ormai più dalle parti dei cartoni animati che non da quelle di una valutazione oggettiva dei fatti. Nel grafico sotto a destra si vede invece come Tague sarebbe stato costantemente nella mira di un secondo sparatore, se se ne ipotizza uno - come molti hanno suggerito - appostato ai piani bassi del vicino DalTex Building. Un'ultima considerazione, a tempo ormai scaduto. Ma la vogliamo concedere almeno un pò di intelligenza, a questo poveraccio di Oswald? Quale cecchino al mondo sceglierebbe mai di sparare il primo colpo poco prima che il bersaglio gli sparisca sotto la quercia? Metti che l'auto, che già viaggia a velocità ridottissima, si fermi del tutto, per una reazione imprevista del conducente che magari, nel sentire Kennedy fare un verso, oppure la moglie gridare qualcosa, abbia istintivamente frenato. In quel caso tu cosa fai? Resti lì come un gonzo, col tuo fucile carico, il bersaglio sotto la quercia, e così in bella vista , causa la distanza ravvicinata? Oswald - o chiunque altro - non avrebbe mai sparato a Kennedy prima che si infilasse sotto la quercia, p er gli stessi motivi per cui non avrebbe mai sparato frontalmente a Kennedy, quando ancora era sulla Houston. CONCLUSIONE Sono quindi almeno 4 le motivazioni che invalidano la teoria del ramo di quercia. 1) I principi di fisica dinamica, che da soli bastano ad escludere l'ipotesi per i motivi sopraddetti. 2) Mancanza di un riscontro investigativo che avrebbe invece dovuto esserci, nel caso la deviazione fosse avvenuta. 3) Mancanza, in ogni caso, di una qualunque spiegazione accettabile per la scamiciatura del proiettile. 4) Mancanza assoluta di logica nell'ipotetica scelta di Oswald di sparare prima della scomparsa di Kennedy sotto la pianta. ***
Ai difensori del Rapporto Warren, che sostengono che "fino ad oggi non è stata mai provata la tesi della cospirazione", rispondiamo che la prova sta nell' impossibilità stessa per Oswald di aver agito da solo, come ci sembra in tutta onestà di aver mostrato in maniera chiara ed argomentata. L'ipotesi della quercia inoltre andrebbe scartata anche come estrema possibilità teorica, poichè comunque non spiega in nessun modo la scamiciatura del proiettile. la verita' conclusiva di questa analisi è che i sostenitori della tesi Warren non hanno in realtà NESSUNA spiegazione valida e completa, per riproporre la dinamica dei fatti con soli tre proiettili ed un solo sparatore. Massimo Mazzucco NOTA: Dopo aver dovuto imparare i rudimenti balistici, ho voluto chiedere conforto ad alcuni esperti, presentando loro questa stessa pagina prima di pubblicarla. Con la loro autorizzazione, riporto qui le loro risposte. [...] Fortunatamente sul nostro Campo di Tiro abbiamo anche una linea per la Carabina e spesso mi capita di vedere delle cose strane, ma le teorie sono astratte mentre la pratica è cosa reale. In un colpo in 6,5 sparato da un Carcano o Mauser che sia, la velocità di tale palla è di circa 650 mt al secondo, e lei vuole farmi credere che un camiciato possa essere stato deviato da un tenero rametto? Guardi che la camiciatura del proiettile si apre dopo un impatto violento ed il piombo che vi è all'interno della camiciatura rilascia la forza cinetica, ho visto bucare delle lastre d'acciaio balistico da 1 cm. poste a 60 mt. di distanza, senza che il colpo si fermasse. Pensi ai cacciatori di camoscio che a distanze superiori ai 600 mt. attingono al bersaglio attraversandolo senza poi sapere dove è andata a finire la palla. " Dino Fava - Presidente dell'Eagle Shooting Club Arnasco [...] Premessa: nella balistica terminale i bersagli sono divisi in due categorie generiche.Hard target (bersagli duri) e soft target (Bersagli molli), in quest'ultima categoria rientrano sia gli alberi che il corpo umano. Ora, viste le caratteristice tecnico/balistiche di un proiettile di fucile sarebbe un caso più unico che raro che un ramo di un albero possa deviare la traiettoria di un proiettile da 6,5mm. lanciato ad una velocità iniziale compresa tra i 680/760m/sec. (la velocità varia a secondo del modello di '91 nella configurazione fucile, nelle configurazioni moschetto è di circa 50/70 m/sec. inferiore). Ma in virtù della tante variabili balistiche che possono influenzare la traiettoria di un proiettile, anche se ammettiamo ci sia stata una deviazione della traiettoria, sicuramente è impossibile che urtando un ramo il proiettile perda la camiciatura od una parte di essa. La frantumazione di un proiettile avviene solo nell'impatto contro un hard target, qualora non riesca a penetrare al suo interno. Quindi nel caso di un ferimento dovuto a delle schegge di proiettile, è molto probabile che esse siano dovute alla frantumazione del proiettile contro il marciapiede (un hard target), un evento possibile anche se improbabile alla distanza che lei mi ha indicato. Mi complimento con lei per i calcoli; effettivamente la balistica esterna e la balistica terminale risentono di moltissime variabili, sia per le caratteristiche tecnico/balistiche della cartuccia, sia per tutto ciò che può influenzare il moto di un proiettile durante il volo verso il bersaglio. Il calcolo dell'energia cinetica di un proiettile nel momento in cui impatta contro il bersaglio (energia della lesione) non è cosa facile, specie sulle distanze elevate. Primo perchè bisogna calcolare quanta energia cinetica è andata perduta durante la percorrenza della traiettoria, poi bisogna vedere quanta energia viene scaricata sul bersaglio che, nel caso in cui viene trapassato, una parte di questa energia esce insieme al proiettile (energia residua). Francesco Zanardi - Istruttore di Tiro della Polizia di Stato |
- Dettagli
- Scritto da Redazione
- Categoria: Static Pages
- Visite: 14413
LA AUSCHWITZ DEL VATICANO
Quinta parte PIO XII E LA COMPLICITA' DELLA SANTA SEDE GLI ARGOMENTI A DIFESA DELLA CHIESA IL CORPO DEL REATO CONCLUSIONE
Rimane a questo punto da stabilire l'esatto rapporto fra gli eventi della Croazia e la Santa Sede, e questo discorso non può non ricadere in quello più ampio dei cosiddetti "silenzi" di Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale.
Cinico istigatore, complice intenzionale, o spettatore passivo? Fra queste tre posizioni oscilla da decenni un dibattito che non accenna ad esaurirsi, e che potrà concludersi solo quando il Vaticano avrà reso pubblica tutta la documentazione storica riguardante il papato di Eugenio Pacelli. Fino ad allora, il fatto stesso che ne mantenga segreta una parte legittima i diffusi sospetti di una diretta collusione con il nazi-fascismo. Nel caso specifico della Croazia, però, l'ipotesi dello "spettatore passivo" si può scartare già in partenza, data la regolare presenza del nunzio apostolico Ramiro Marcone accanto a Pavelic e agli altri gerarchi Ustasha in molte delle importanti cerimonie ufficiali della Croazia. In qualità di nunzio apostolico, infatti, Marcone rappresentava ufficialmente la persona di Pio XII in tutte le sue pubbliche apparizioni.
Subito dopo il suo arrivo a Zagabria, il 15 aprile 1941, Ante Pavelic aveva scritto a Pio XII:
Il 3 di agosto Ramiro Marcone arrivava ufficialmente a Zagabria. In quell'occasione Stepinac scrisse nel suo diario:
Vedere Marcone accanto a Pavelic, vederlo confessare il Poglavnik, o vederlo apparire regolarmente nelle cerimonie degli Ustasha equivale a vedere Pio XII compiere personalmente tutte quelle azioni.
Perchè il Papa avrebbe voluto essere rappresentato ufficialmente in tutte queste cerimonie, quasi sempre accanto Stepinac, se non per riconfermare da Roma il pieno appoggio ad Ante Pavelic ed agli Ustasha già espresso pubblicamente dall'arcivescovo di Zagabria? Se il Papa avesse voluto risultare un semplice "spettatore passivo" di quegli eventi, non avrebbe preferito chiedere al suo rappresentante di defilarsi il più possibile dalla compagnia degli Ustasha? Perchè invece rimarcare continuamente la sua presenza
, tramite la persona di Marcone, se non per offrire il massimo supporto al progetto di "purificazione" etnico-religiosa che stavano per intraprendere?
A sua volta, la presenza di Marcone accanto a sè significava per Pavelic e per gli Ustasha avere il più alto avallo morale per tutte le loro azioni. In proposito Michael Phayer ha scritto:
Dopo il loro incontro, Pio XII congedò Pavelic dandogli la sua benedizione. Nel 1943, con il genocidio dei serbi in pieno svolgimento, Pio XII ricevette in Vaticano un centinaio di membri della polizia Ustasha.
Questi "corpi speciali" non erano semplici poliziotti croati, ma rappresentavano il meglio fra gli Ustasha che si erano distinti per particolare ferocia ed efficienza nel genocidio dei serbo-ortodossi.
In seguito era stato Hitler a mettere al potere Pavelic, che fu accolto a braccia aperte da Stepinac a Zagabria, e poi accompagnato regolarmente nelle uscite ufficiali da Ramiro Marcone, in rappresentanza di Pio XII. Diventa quindi impensabile sostenere che Pio XII sia stato un semplice "spettatore passivo" di quanto accaduto in Croazia, mentre si pone seriamente la necessità di valutare il peso effettivo che la Chiesa ha avuto nella nascita degli stati nazi-fascisti in tutta Europa, con le responsabilità che ne conseguono per aver avallato moralmente - ed in certi casi incitato apertamente - gli stermini sistematici di milioni di civili compiuti da queste nazioni "nel nome di Dio".
Il dibattito storico sul cosiddetto "silenzio di Pio XII" è stato ampio ed approfondito, e ha permesso di conoscere da vicino anche le argomentazioni che sono state portate in difesa della Chiesa.
La maggioranza di queste argomentazioni tende a convergere su una tesi generalizzata, secondo la quale il Papa non sarebbe stato affatto un complice intenzionale del nazi-fascismo, ma lo avrebbe anzi combattuto nei limiti delle sue possibilità, fermandosi solo laddove ritenesse di poter peggiorare la situazione invece di migliorarla.
E' sicuramente una tesi plausibile, sia dal punto di vista logico che da quello umano, che trova inoltre un riscontro pratico nei rastrellamenti impietosi messi in atto dai tedeschi fra i cattolici del Belgio, dopo che il clero di quella nazione osò denunciare l'invasione nazista. Questa tesi manca però di giustificare tutti i gesti di palese supporto compiuti negli anni precedenti dalla Chiesa a favore del nazi-fascismo - in Spagna, Italia, Germania e Croazia - che abbiamo elencato nei capitoli precedenti (e che rappresentano solo una parte di quelli storicamente documentati). Siamo quindi di fronte ad una somma di contraddizioni evidenti, che impongono di pensare ad una doppia lettura degli eventi, scaturita dalla ambiguità intrinseca nel concetto stesso di "patto" fra la Chiesa ed un qualunque potere secolare. LA LOTTA PER LE INVESTITURE Sembra infatti evidente che durante il ventennio nazi-fascista abbiamo assistito, in realtà, all'ennesimo capitolo della cosiddetta "lotta per le investiture", cioè il millenario braccio di ferro fra Chiesa e Imperi per il controllo assoluto delle nazioni sottomesse. Uno dei fondamenti dottrinali della Chiesa, infatti, è che il potere "proviene da Dio":
E' quindi naturale che la Chiesa abbia reclamato sin dall'inizio il diritto di gestire questo potere in prima persona. A loro volta però gli imperatori hanno sempre accolto con sospetto questo curioso caso di autoreferenzialità, nel quale era la stessa Chiesa ad attribuirsi un potere che poi voleva esercitare, ed hanno invece riaffermato il proprio diritto di comandare a piacimento i popoli conquistati, senza interferenze da parte di nessuno. In fondo, sostenevano, gli eserciti per andare in guerra ce li mettevano loro. Va infatti notato come la Chiesa abbia preso parte, in modo più o meno indiretto, a quasi tutte le guerre europee degli ultimi 1700 anni, senza mai rischiare di perdere un solo soldato. Dalle Crociate alla Guerra dei Trent'anni, dalla strage dei Catari alla stessa guerra in Croazia, ha sempre usato gli eserciti altrui, sopravvivendo in ogni caso alla loro eventuale disfatta. Questa peculiare capacità di sopravvivenza assume un sapore decisamente amaro di fronte all'agilità con cui Pio XII "cambiò casacca" nel 1943 - contribuendo a gettare nel caos la nazione - quando comprese che Hitler e Mussolini sarebbero stati sconfitti, e si affrettò a venire a patti con gli Alleati. Si torna così alla citazione iniziale di Eleanor Roosevelt:
Se è vero che servono gli eserciti per vincere le guerre, è anche vero che queste si possono scatenare solo con un forte supporto popolare, e che quindi l'autorità morale riconosciuta alla Chiesa diventi in certi casi altrettanto preziosa, se non addirittura indispensabile. (Questo vale anche per altre religioni, ovviamente). Quando ciascuno dei poteri necessita dell'altro per espandersi e per conquistare, si arriva inevitabilmente allo scontro diretto, nel momento di decidere chi debba comandare sull'altro. Non esistono partnership di successo basate su un reale rapporto fifty-fifty. Fu infatti dal giorno in cui Ambrogio, vescovo di Milano, dichiarò che la Chiesa "contiene tutto, e quindi anche l'Impero", che la Storia ci ha regalato dozzine di episodi pittoreschi in cui lo scontro fra i due poteri è diventato palese, prolungato e spesso anche furibondo. Uno dei più importanti fu proprio la Presa di Roma (1870), che decretò la fine dello Stato Pontificio e l'esproprio dei beni territoriali della Chiesa in tutta Italia. Da allora la cosiddetta "questione romana" rimase al centro di tutte le dispute fra Chiesa e Stato Italiano, finchè Mussolini - il grande "mangiapreti" d'antàn - si ritrovò a firmare i Patti Lateranensi, con vistose concessioni al Vaticano, pur di rimuovere gli ostacoli che ancora gli impedivano di arrivare al potere assoluto. Una meccanica simile, come abbiamo visto, si era verificata anche nella Germania nazista, dove il Reichskonkordat pose fine pubblicamente alle ostilità, ma diede il via ad un prolungato braccio di ferro dietro le quinte, che finì per esplodere con la storica crisi fra Hitler e Vaticano nei due anni che precedettero la guerra. Lo scontro era imperniato sul controllo delle scuole e della gioventù, che Hitler aveva garantito alla Chiesa con in Concordato, ma che cercava chiaramente di far passare nelle mani delle organizzazioni naziste. Sapevano ambedue molto bene che un potere duraturo può resistere solo se fondato su una solida base culturale, che inculchi fin dalla gioventù i valori centrali che lo sostengono. "MIT BRENNENDER SORGE" E L'ENCICLICA SCOMPARSA Il 10 marzo 1937 Pio XI pubblicava l'enciclica "Mit Brennender Sorge", che in tedesco significa "con grande ansietà". L'ansietà era, almeno ufficialmente, quella per la guerra che si profilava all'orizzonte, e che minacciava di distruggere buona parte dell'Europa, Italia compresa. Questa enciclica - scritta direttamemte in tedesco con il contributo di Pacelli - viene spesso citata dai difensori della Chiesa come un atto d'accusa contro Hitler, e come una lancia spezzata in difesa degli ebrei. Il realtà l'enciclica non nomina mai personalmente il Fuhrer, e si limita ad una generica condanna del "razzismo", senza mai denunciare apertamente le persecuzioni degli ebrei e di altre etnie che erano già in corso in molti paesi europei. Mancava poco alla "Notte dei Cristalli". Fu inoltre proprio Pacelli, che in quel momento era Segretario di Stato (Ministro degli Esteri) del Vaticano, ad ammorbidire gli effetti negativi dell'enciclica presso il Reich, come riportato da John Cromwell nel suo libro-scandalo "Hitler's Pope":
Ma è soprattutto quello che accadde dopo, che annullò definitivamente il gesto voluto da Pio XI con "Mit Brennender Sorge", e che mostra la reale avversione di Pacelli ad una qualunque denuncia aperta del nazismo, che il futuro papa continuava a considerare l'estremo difensore contro il pericolo bolscevico. Visto lo scarso successo ottenuto dalla "Mit Brennender Sorge", Papa Ratti aveva chiesto la stesura di una nuova enciclica, che condannasse apertamente Hitler e il nazismo, per cercare in qualche modo di arrestare la follia che stava per travolgere il mondo. Questa volta però Pacelli non la scrisse di persona, ma ne affidò la stesura ai Padri Gesuiti, i quali la passarono poi di mano in mano, fino a farne perdere le tracce. Il 10 febbraio del 1939 Pio XI, che nel frattempo si era inimicato anche Mussolini, moriva improvvisamente per un attacco cardiaco, senza aver mai potuto nè leggere nè firmare la nuova enciclica. In seguito Galeazzo Ciano avrebbe sparso la voce di "un compito molto delicato" che Mussolini aveva affidato in quei giorni a Francesco Petacci, che oltre ad essere il padre della sua fidanzata era anche medico personale di Pio XI. Alle ore 13 del 2 di marzo 1939 Eugenio Pacelli apriva le porte del nuovo Conclave nel ruolo di Camerlengo, e ne usciva alle 17.30 - dopo tre rapide votazioni - come neoeletto Papa Pio XII. Fra le prime azioni del nuovo Papa vi fu proprio la soppressione definitiva dell'enciclica di condanna al nazismo voluta dal suo predecessore, che non ha mai visto la luce. Si può quindi al massimo attribuire a Papa Ratti una qualche volontà, per quanto tardiva, di fermare la macchina infernale che lui stesso aveva contribuito a creare, ma non si può certo affermare che Pio XII fosse intenzionato a fare la stessa cosa, nè che ci abbia provato in modo realmente efficace. Nonostante le diverse richieste, da parte di Churchill e altri rappresentanti stranieri, di denunciare l'Olocausto in corso, soltanto due volte Pacelli lo avrebbe criticato pubblicamente. Ma lo fece solo nel 1942, in modo obliquo e generico, senza mai pronunciare nè la parola "ebrei" nè la parola "nazismo". Nel frattempo nei lager tedeschi erano già morte più di tre milioni di persone. Questo non significa naturalmente che i rapporti con Hitler fossero diventati di colpo idilliaci, dopo la sua elezione a pontefice. Lo scontro sarebbe continuato in altre forme, ma la pubblica condanna, ferma ed inequivocabile, che avrebbe forse potuto evitare lo sterminio di milioni di innocenti, non arrivò mai. Per sintetizzare al meglio l'antagonismo fra Hitler e Pio XII, basterà ricordare che nel 1939 - a guerra appena iniziata - il neoeletto Papa prese parte ad un progetto segreto, mai realizzato, di far uccidere il Fuhrer in combutta con gli Alleati, mentre lo stesso Hitler arrivò in seguito a progettare il rapimento di Pio XII per allontanarlo definitivamente dalla sede di Roma. Tutto questo avveniva con il Reichskonkordat, siglato pochi anni prima, ancora pienamente in vigore [5-5] E' peraltro comprensibile, come già detto, che il rapporto fra la Chiesa e le nazioni alleate sia sempre stato caratterizzato da una profonda ambiguità, dove l'apparente serenità esteriore nascondeva il prolungamento interminabile di un conflitto mai risolto. A sua volta, la Chiesa è sempre stata cosciente di esporsi alle critiche, nel momento in cui appoggiava regimi particolarmente sanguinari e truculenti come quello di Hitler o di Ante Pavelic. Nasceva quindi la necessità di un sottile gioco di equilibri fra apparenza e sostanza, dove la prima veniva spesso chiamata a fare da copertura alla seconda, per evitare sia lo scontro frontale che eventuali critiche esterne.
Questo tipo di lettura, basata sulla ricorrente ambiguità delle proprie azioni - altri la chiamano ipocrisia - trova purtroppo conferma anche negli anni più recenti, con il supporto dato dalla Chiesa cattolica alle dittature del sudamerica (Argentina e Cile sopratutto): mentre ne condannava ufficialmente la repressione violenta, si scopriva che il Vaticano mantenesse addirittura dei conti bancari congiunti con Augusto Pinochet. Ancora più eclatante è l'esempio della stessa Croazia, con la richiesta universale "di perdono" da parte di Giovanni Paolo II per i crimini commessi in passato dai cristiani nel mondo, platealmente contraddetta dalla beatificazione dell'arcivescovo Stepinac, da lui stesso celebrata a Zagabria nel 1991. Se cercavano un modo per confondere alla radice i loro fedeli, le alte gerarchie della Chiesa lo hanno sicuramente trovato.
Rimane un'ultima pietra, che sembra seppellire definitivamente le possibilità di riscattare Pio XII dalle accuse di complicità con il nazi-fascismo, ed è il supporto dato dal Papa nel nascondere ed aiutare a fuggire numerosi caporioni nazisti, fra cui Ante Pavelic, dopo la disfatta dell'Asse. Fuggito in Austria prima dell'arrivo dei Partizan a Zagabria, Ante Pavelic aveva raggiunto Roma, dove sarebbe rimasto a lungo nascosto fra le mura del Vaticano, travestito da prete, nel Convento di S. Girolamo. In seguito avrebbe assunto la falsa identità di un ex-generale ungherese, come risulta da questo documento del C.I.C., l'agenzia di controsopionaggio dell'esercito americano a Roma, desecretato di recente. L'originale è del luglio 1947.
Un altro documento della stessa agenzia confermava il tipo di protezione di cui godesse Pavelic a Roma, che riuscì a evitare tutte le richieste di estradizione da parte degli Alleati - che inizialmente volevano arrestarlo - per poi essere fatto fuggire definitivamente in Argentina.
Nella fuga dalla Croazia Pavelic aveva portato con sè anche buona parte del cosiddetto "tesoro degli Ustasha", composto da svariati bauli di oggetti preziosi tolti ai serbi e agli ebrei che venivano istradati ai campi di sterminio. Il destino di quei bauli, insieme a quello degli Ustasha fuggiti in Argentina, verrà descritto nel dettaglio in un nuovo capitolo, dedicato alle cosiddette "Ratlines".
Le parole, in ogni caso, prima o poi evaporano nel nulla, mentre restiamo a fare i conti con dei fatti storici particolarmente ingombranti, che nessuno potrà mai cancellare: - Diversi milioni di ebrei sterminati dai nazisti con la silente complicità del popolo tedesco, sulla base di un diffuso antiebraismo coltivato dalla Chiesa in tutta Europa nel corso dei secoli. - Quasi un milione di serbi, ebrei e Rom sterminati in Croazia dagli Ustasha con la attiva partecipazione del clero cattolico, istigato apertamente dalle più alte gerarchie della Chiesa, sotto l'egida papale rappresentata dal nunzio apostolico Marcone. - Quasi un milione di civili spagnoli sterminati dai fascisti di Franco con tanto di benedizione papale, con il pieno supporto di vescovi e cardinali di tutta la Spagna, e spesso per mano degli stessi frati francescani. - Circa mezzo milione di civili fra slavi, albanesi, greci e africani sterminati dagli eserciti di Mussolini con il pieno supporto morale della Chiesa di Roma. - Decine di milioni di morti causati, direttamente o indirettamente, da una Guerra Mondiale che è stata voluta, preparata ed iniziata dai poteri nazi-fascisti ufficialmente sostenuti dalla Chiesa cattolica. Diventa quasi risibile, a questo punto, mettersi a contare "quanti ebrei" abbia effettivamente salvato Pio XII, oppure mettersi a discutere sulla corretta interpretazione di una enciclica, mentre diventa legittimo sospettare che questo genere di dibattito - apparentemente scottante, ma sostanzialmente innocuo - venga tenuto in vita in modo artificiale per distrarre l'attenzione da un reale problema storico, di ben diversa natura, portata e magnitudine. Come ha scritto Thomas Pynchon, "Se riescono a farti fare la domanda sbagliata, non devono più preoccuparsi delle risposte". Scritto da Massimo Mazzucco per luogocomune.net
|
- Dettagli
- Scritto da Redazione
- Categoria: Static Pages
- Visite: 15826
LA AUSCHWITZ DEL VATICANO
Quarta parte JASENOVAC LA GUERRA DEI FRANCESCANI
JASENOVAC
Ignorato sistematicamente dagli storici, Jasenovac fu il terzo campo di concentramento per dimensioni, dopo Auschwitz e Buchenwald, di tutta la seconda guerra mondiale (in realtà si trattava di un complesso di 5 campi diversi, tutti collegati fra loro). E' qui che avvenne la maggior parte dei massacri operati dagli Ustasha contro le etnie non croate e non-cattoliche dello Stato Indipendente di Croazia.
A Jasenovac morirono in tre anni circa settecentomila persone, che furono uccise con una brutalità inimmaginabile (le stime vanno da un minimo di 100.000 a un massimo di 1.000.000, ma la maggior parte degli storici sembra concordare su una cifra di circa 700.000 vittime in tutto). I più fortunati morirono di fame o di stenti, oppure con i liquidi dello stomaco e le intestina congelati dal freddo. Gli altri – uomini donne e bambini, senza differenza alcuna - venivano sgozzati vivi con un coltello speciale, chiamato srbosjek (sotto a sin.), che restava costantemente fisso al polso, oppure venivano affogati, bruciati, decapitati, strangolati con il filo spinato, o uccisi con una speciale mazza di legno (sotto a destra), che gli fracassava il cranio con un colpo alla tempia.
C’erano settimane in cui il fiume Sava era perennemente tinto di rosso, a causa dei cadaveri che vi venivano gettati a migliaia dalla vicina Jasenovac.
Poco prima della liberazione, nel 1945, gli Ustasha rasero al suolo Jasenovac, dopo aver riesumato e dato alle fiamme migliaia di cadaveri, nel tentativo di cancellare le orme dell'eccidio commesso. LA GUERRA DEI FRANCESCANI
Come abbiamo visto negli atti di accusa contro Stepinac, i francescani della Croazia parteciparono attivamente sia alla preparazione della rivolta degli Ustasha, sia ai massacri compiuti in seguito contro i serbo-ortodossi. In un articolo di Corrado Soli, comparso sul Resto del Carlino il 18 sett. 1941, si leggeva:
Ma è soprattutto nel propagandare l'odio religioso contro i serbo-ortodossi, incitandone apertamente lo sterminio, che i francescani diedero il principale contribuito alla "crociata" del Vaticano nella nuova Croazia. Molti di loro avevano seguito l'esempio di Stepinac, entrando come cappellano militare nell'esercito degli Ustasha [4-2] . Esattamente come in Spagna, i cappellani militari davano regolarmente l'assoluzione anticipata alle truppe Ustasha che si apprestavano a compiere i massacri sui serbo-ortodossi, mentre offrivano la benedizione ai corpi speciali della polizia Ustasha (l'equivalente delle SS tedesche).
Mentre i colleghi nell'esercito svolgevano il ruolo di cappellano militare, altri francescani completavano l'opera di propaganda direttamente dall'altare: Contemporaneamente, dal pulpito i preti cattolici esaltavano le azioni vittoriose di Italia e Germania e inneggiavano al loro Poglavnik, che ritenevano mandato da Dio ad assolvere il sacro compito di restituire la Croazia al cattolicesimo, e viceversa.
Padre Bozidar Bralo è noto per aver ucciso personalmente migliaia di serbi, sia nel campo di sterminio di Jasenovac che nei villaggi serbi di Sabalj, Marsic-Gaj, Piskavica, Ponira, Biljevina e Grmec. In una occasione organizzò il massacro di 180 serbi, e poi ballò la danza nazionale croata attorno ai loro cadaveri, prima che fossero gettati nel fiume. Era membro del parlamento Ustasha, insieme a Stepinac, e ricevette diverse onoreficenze da Ante Pavelìc. [4-4]
"FRATELLO SATANA"
Quando la Croazia fu liberata dai partigiani jugoslavi Filipovic fu arrestato, e fu poi processato dalla nuova Repubblica Federale Jugoslava. Nella sua deposizione di fronte alla Commissione Nazionale Croata sui crimini di guerra, Filipovic dichiarò:
In realtà - commenta la Commissione nel documento - diverse testimonianze confermano che le uccisioni operate da Filipovic furono in numero molto, molto maggiore di quello dichiarato. Secondo alcune testimonianze, in una sola notte Filipovic avrebbe sgozzato personalmente oltre 100 bambini. Sempre nel '42 il responsabile di Jasenovac, che riferiva direttamente a Pavelic, ha dichiarato:
Filipovic fu condannato a morte, insieme a molti altri Ustasha responsabili della gestione di Jasenovac e degli altri campi di concentramento. Un altro francescano noto per sua la furia omicida fu Vicko Rendic, che diresse a sua volta per un certo periodo di tempo il campo di sterminio di Jasenovac. LA DISTRUZIONE DELLE CHIESE ORTODOSSE
A conferma dell'onnipresente sapore di "crociata" che permeava tutte le azioni degli Ustasha vi fu la sistematica distruzione delle chiese ortodosse nei territori occupati, insieme all'eccidio, spesso truculento, dei preti della stessa religione. In proposito, Dusan Batakovic ha scritto:
LE CONVERSIONI FORZATE
I serbi che venivano risparmiati dagli Ustasha venivano obbligati a convertirsi al cattolicesimo, pena l'espulsione o la deportazione nei campi di concentramento.
Il folle sogno di trasformare una nazione multietnica e multireligiosa in un paese esclusivamente cattolico si fermò solo quando le armate dei partigiani jugoslavi riuscirono finalmente a sconfiggere gli Ustasha e a liberare il territorio occupato.
Nel frattempo quasi un milione di civili innocenti era stati uccisi, nel nome di un Dio che teoricamente avrebbe dovuto essere lo stesso per tutti.
|
- Dettagli
- Scritto da Redazione
- Categoria: Static Pages
- Visite: 12832
LA AUSCHWITZ DEL VATICANO
Terza parte L'ALLEANZA FRA CHIESA E USTASHA LE COLPE DI STEPINAC E DEL CLERO CATTOLICO IN CROAZIA L'ALLEANZA FRA CHIESA E USTASHA
Insieme all'alleanza fra Chiesa e nazi-fascismo erano nate anche le prime strategie congiunte fra Roma e Berlino per riconquistare la Croazia e ristabilire il "baluardo cattolico" a est dell'Italia. Come vedremo in seguito, questa strategia prevedeva la partecipazione attiva del clero cattolico, e soprattutto dei frati francescani. L'idea centrale fu la creazione di una "quinta colonna" sul territorio croato, che fosse pronta ad intervenire di sorpresa, alla prima occasione utile. L' "occasione utile" sarebbe stata l'invasione armata della Jugoslavia da parte di tedeschi, avvenuta nella primavera del 1941. Determinante fu infatti il "tradimento" dei corpi Ustasha già presenti sul territorio, che gettarono lo scompiglio nelle retrovie dell'esercito jugoslavo, tagliando i collegamenti, bloccando i rifornimenti, e massacrando interi battaglioni con agguati improvvisati. Da parte sua l'Italia aveva dato protezione ad Ante Pavelic - che era ricercato dalla Francia per l'assassinio del re Alessandro a Marsiglia - durante il periodo di preparazione, mentre addestrava militarmente i futuri Ustasha nelle vicinanze del confine jugoslavo. Quattro giorni dopo l'invasione dei tedeschi, Pavelic si trasferì ufficialmente in Croazia, dove Hitler lo mise a capo dello stato-fantoccio chiamato Repubblica Indipendente di Croazia. Uno dei primi a dargli il benvenuto fu l'arcivescovo di Zagabria, Mons. Alojsius Stepinac, che si recò personalmente a stringergli la mano. Così Stepinac accolse l'arrivo di Pavelic a Zagabria:
Dopodichè organizzò un pranzo di benvenuto per gli Ustasha che rientravano dai campi di addestramento all'estero.
Stepinac quindi, nel suo ruolo di arcivescovo e capo della Chiesa croata, incitava ufficialmente i cattolici a implementare un programma - quello degli Ustasha - che era stato molto chiaro fin dall'inizio: sterminare un terzo dei non-cattolici (cristiano-ortodossi, ebrei e Rom) presenti nella zona conquistata, convertirne forzatamente un terzo, e cacciare i rimanenti fuori dal paese.
Solo con un estremo fanatismo religioso si può comprendere la brutalità selvaggia, unita alla gioia assassina che spesso si legge sui volti dei carnefici, con cui veniva condotto il massacro sistematico dei serbi ortodossi.
Sotto: Stepinac presenzia ad una cerimonia congiunta fra italiani, tedeschi e Ustasha. Il vero denominatore comune, fra le varie potenze del nazifascismo, sembra essere costantemente la Chiesa cattolica.
Vediamo ora nel dettaglio come avvenne la preparazione del sollevamento armato degli Ustasha sul territorio jugoslavo, in attesa dell'invasione dei tedeschi. LE COLPE DI STEPINAC
Come abbiamo detto, la quinta colonna croata era nata grazie all'alleanza segreta fra gli Ustasha, l'organizzazione degli indipendentisti croati (definiti "terroristi" dal governo jugoslavo) e le organizzazioni "attiviste" cattoliche che ruotavano intorno ai conventi dei frati francescani in Croazia.E DEL CLERO CATTOLICO IN CROAZIA Tutti questi conventi, come tutte le azioni compiute del clero in Croazia, ricadevano sotto la responsabilità diretta dell'Arcivescovo di Zagabria, Mons. Alojzije Stepinac. In proposito Avro Manhattan ha scritto:
Nel 1947 l'ambasciata jugoslava a Washington ha pubblicato un documento ufficiale nel quale riassume i più importanti capi d'accusa contro Stepinac e contro il suo clero, relativi alle azioni compiute in Croazia prima e durante la II Guerra Mondiale. Sono sostanzialmente gli stessi capi d'accusa che il governo jugoslavo imputò a Stepinac durante il processo contro di lui, che si concluse con la sua condanna a 16 anni di carcere. Dopo averne trascorso 5 in prigione, il resto della pena gli fu commutato in arresti domiciliari. Secondo i difensori della Chiesa, questo processo fu solo un atto di banale "propaganda" da parte di uno stato comunista. Non si comprende peraltro chi mai avrebbe dovuto denunciare quei crimini, se non il popolo stesso che li aveva subiti. Altri hanno voluto dipingere il processo come una "persecuzione religiosa" della Chiesa cattolica, che di recente ha beatificato Stepinac, definendolo un vero e proprio "martire". Un capovolgimento davvero singolare, per una Chiesa accusata di genocidio, specialmente se si considera che i capi d'accusa contro Stepinac non sono mai stati nè contestati nè smentiti da nessuno. Si presume infatti, di fronte ad accuse così gravi, che sarebbero state smentite con sdegnato clamore, se solo fosse stato possibile farlo. Se inoltre a Chiesa fosse innocente, avrebbe richiesto una altisonante correzione pubblica da parte del governo jugoslavo, oltre naturalmente ad un nuovo processo, che sgombrasse il campo da qualunque malinteso. Invece ha preferito passare tutto sotto silenzio, limitandosi a parlare di "propaganda comunista" quando accusata apertamente di quei crimini. Come si legge nell'introduzione a "L'arcivescovo del genocidio", di Marco Aurelio Rivelli:
Come scrive Karlheinz Deschner, in Croazia riecheggiava la stessa retorica di stampo crociato, fanatica e fratricida, già sentita in Spagna nel 1936 :
In proposito lo storico Dusan Batakovic ha scritto:
"ODE AL POGLAVNIK" Dall' "Ode al Poglavnik" dell'Arcivescovo di Sarajevo leggiamo: "Il poeta ti ha incontrato nella Città Santa, nella basilica di S. Pietro, la tua presenza era limpida come quella della patria natìa. Che Dio onnipotente sia con te, in modo che tu possa portare a termine il tuo compito sublime! Idolo dei croati, tu difendi gli antichi diritti sacri. Tu ci difenderai dall'ingordigia dei giudei con tutti i loro soldi, i miserabili che volevano vendere le nostre anime e tradire i nostri nomi. Proteggi le nostre vite dall'inferno, dal marxismo e dal bolscevismo." Ante Pavelic era noto per una tale crudeltà da aver impressionato gli stessi caporioni nazisti che lo visitavano. Sulla sua scrivania Pavelic usava tenere un cestino con gli occhi che erano stati cavati alle vittime prima di venire sgozzate, asfissiate o uccise a martellate. Quella che sembrerebbe a prima vista una semplice leggenda metropolitana è stata confermata da diverse fonti, fra cui lo scrittore italiano Curzio Malaparte:
Questo era l'uomo che Stepinac ricevette e benedisse nella cattedrale di Zagabria, e poi sostenne finchè rimase al potere, incitando il clero e il popolo croato a seguire le sue orme. Sotto a destra: Stepinac, che era anche il più alto cappelllano militare dell'esercito di Pavelic, porge visita al dittatore per gli auguri di buon anno indossando la medaglia degli Ustasha.
In proposito, nell'introduzione al libro "l'Arcivescovo del genocidio" di Marco Aurelio Rivelli leggiamo:
FINE TERZA PARTE |