di Maurizio Blondet
Ormai da quasi mezzo secolo sono state raccolte centinaia di testimonianze di persone strappate alla morte dopo incidenti, malattie gravissime o tentati suicidi, al punto che si sono potute ricavare alcune statistiche (1): grazie anche ai progressi nelle tecniche di rianimazione. Tra le vittime di tali traumi mortali ospedalizzate e tirate fuori dalla morte, i più sono incoscienti di quel che è avvenuto; ma circa il 4-5% riferisce di avere, in qualche modo, gettato un’occhiata in quello che descrivono come un aldilà. Probabilmente conoscete già le costanti di ciò che riferiscono, perhé hanno avuto qualche risalto nella letteratura New Age: il vedere dall’esterno il proprio corpo esanime, la sensazione di percorrere una galleria in fondo alla quale splende una luce bellissima, l’incontro con familiari morti che vengono ad accoglierli sorridenti, o la presenza di un accompagnatore, una sensazione di gioia e di essere avvolti dall’amore.
Meno noto è che non tutte queste esperienze di pre-morte sono esperienze di felicità: in un caso su cinque, i sopravvissuti raccontano di essere stati sull’orlo di un luogo orribile, che loro stessi descrivono come “inferno”. Un caso su cinque significa il 20 per cento.
Angie Fenimore, casalinga, madre e moglie infelice, tentò il suicidio nel 1991. [...] Si trovò «immersa in un’oscurità che si estendeva all’infinito in ogni direzione, e non era solo nera, era un vuoto senza fine, assenza di luce». E tuttavia, con un senso che non sapeva di avere, la donna vedeva in essa degli altri esseri. Esseri «con lo sguardo vuoto davanti a sé, fissati in uno stupore senza pensiero, senza curiosità di dove erano. Completamente assorti in sé stessi, ciascuno chiuso nella sua infelicità per avere scambi mentali o emozionali con gli altri. Avevano la capacità di comunicare gli uni con gli altri, ma ne erano impossibilitati dal buio». Angie parla di un suo «enorme disappunto», per un motivo che prova a spiegare in un modo strano: in quel luogo «le possibilità di imparare erano senza fine, ma non avevo né libri, né tv, né amore, non avevo intimità, non il sonno, non amici, nessuna luce, nessuna crescita, nessuna felicità e nessun sollievo».
Da questa solitudine totale la chiama «una voce di grandiosa potenza, non alta ma che mi schiacciava come una tremenda onda sonora; dentro a cui risonava una ira così feroce che con una parola avrebbe potuto distruggere l’universo, ma includeva anche un così possente e risoluto amore che, come il sole, poteva far nascere la vita sulla terra». Questa Voce gli rivolge parole «lancinanti»: «È questo che vuoi davvero?».
Il resto si trova nel libro che la donna ha scritto, Beyond the Darkness. Miracolosamente richiamata in vita, Angie si dichiara oggi «formata da un nuovo significato: di fede, di essere soggetta al volere sacro, si essere veramente una figlia di Dio», da lui amata. Col senno di poi, ipotizza che il «luogo» dov’è stata, possa essere qualcosa come il purgatorio.
Matthew Botsfordusciva da un ristorante di Atlanta dove aveva partecipato ad un raduno di uomini d’affari, quando fu preso nel mezzo di una sparatoria di strada fra delinquenti: una pallottola 9 mm nel cervello (ce l’ha ancora), arresti cardiaci ripetuti sul marciapiede poi nell’ambulanza, un mese di coma indotto dai medici per ridurre la tumescenza cerebrale.
«Avevo 28 anni – dice ora – non avevo mai pensato a Gesù come Salvatore o Vita. Ero occupato di me stesso, avevo i miei piani. Mi sentivo giovane, vibrante e forte».
Ora, nel buio, mentre il suo corpo in coma giaceva nel letto d’ospedale, Matthew si trova immediatamente sospeso a mezz’aria «con le braccia stese, legate con antiche catene» sopra un abisso di lava. Il fumo della lava trascinava con sé anime come scintille in un fuoco, un solo grido si levava da lì, fatto di infinite grida di dolore, di perdita, di tormento. «Ero con altri, ma solo. Nel mio proprio tormento». La lava sale fino ai suoi piedi: «Ho sentito l’odore della mia carne ustionata che bruciava via fino all’osso». Demoni lo osservavano e si prendevano gioco di lui. «Corpi tozzi, con scaglie, e corna di vario numero e lunghezza secondo il loro livello di autorità». alcuni con denti affilati gli strappavano la pelle dalla schiena, «ciò che mi causava un tremendo dolore. Sentivo il suono della mia pelle strappata… sentivo il loro puzzo come di carne putrefatta. Capivo che non sarebbe mai finito».
Frattanto sua moglie Nancy era nella loro casa del Michigan ignara di tutto. Svegliata da una telefonata alle due di notte, si precipita verso Atlanta. Non le viene nemmeno in mente di pregare, anche lei non crede molto in Dio. Le cose cambiano all’ospedale, quando i medici dicono che Matthew ha il 30% di possibilità di superare la notte, che forse è meglio che muoia anziché sopravvivere mentalmente menomato, e alcuni addetti cominciano a farle pressioni perché dia il consenso alla donazione degli organi.
Smarrita, Nancy si aggira per i corridoi dell’ospedale, insensata, fuori di sé. Passano ore. Di colpo, sente una mano che le afferra la spalla: si volta, non c’è nessuno: «Ho sùbito capito che era Gesù, l’ho sentito con ogni cellula del corpo». Capisce anche il senso del messaggio. Si mette a pregare con disperato fervore: «Signore, salva mio marito. Anche in sedia a rotelle gli starò vicino».
Matthew, da laggiù, racconta quel che gli è successo, con queste incredibili parole: «Nel mio “settore” all’inferno, ho visto un grosso dito cominciare a protrudere da fuori, per rivelarsi infine come una mano umana», una mano piena di rughe e screpolature, una mano vecchissima. «La mano di Dio è scesa metodicamente verso di me e mi ha preso alla vita, causando l’immediato rilascio delle catene, facendo fuggire i demoni e vincendo il buio, la paura e la non-speranza. Non è ancora il tuo momento, gridò la Voce tonante».
Matthew s’è svegliato dal coma ridotto a 45 chili, la parte destra paralizzata, la memoria funzionale di un neonato. Due anni di intensa, penosa riabilitazione per reimparare a fare le cose più semplici, anche a defecare. «Ed ho ancora dei deficit», dice, «ma prima ero spiritualmente morto e quel proiettile mi ha dato la bella, vera vita. Quando mi hanno sparato, ero nel posto giusto, dove dovevo essere». Insieme a Nancy va di congregazione in congregazione a diffondere la Buona Notizia.
Mickey Robinson porta ancora sul volto piagato e con un occhio cieco, i segni dell’incidente aereo da cui è scampato non si sa come. Era, dice, un paracadutista sportivo «assatanato dalla caduta libera. La mia vita girava tutta in 30-60 secondi di caduta e cinque minuti di discesa a paracadute aperto; dovevo farlo di nuovo, era la mia droga».
Il piccolo aereo da turismo era pieno di compagni paracadutisti quando precipitò in fiamme. Alcuni riuscirono a lanciarsi, Mickey soltanto troppo tardi. Raccolto in fin di vita, sfigurato, con ustioni di terzo grado in gran parte del corpo, fratture multiple e ferite varie, il ragazzone si ritrova in un letto d’ospedale schiacciato dai dolori, quando di colpo «il mio vero me» esce dal corpo «come un guanto dalla mano. Ero istantaneamente nel mondo spirituale. E immediatamente ho saputo che è quello il mondo reale».
Tutti coloro che riferiscono la loro esperienza di pre-morte negano di aver sognato. No, non è stato un sogno: è la realtà quella che hanno vissuto. Le cose hanno colori più vivi, i contorni più netti. Tutto è «frizzante e vivace», dirà uno. Si è in uno stato di coscienza più acuto, le emozioni più intense e più chiare. Sembra di avere non solo i cinque sensi, ma molti di più — motivo per cui è difficile trovare le parole per raccontare un simile evento («Ero come parte di un grande affresco; percepivo le tre anime che erano nell’ambulanza con me; non soltanto la loro presenza, il loro amore, i loro cuori, le loro emozioni, sentimenti, sensazioni sia fisiche che mentali» dice un sopravvissuto).
In quello stato, Mickey «sa» di star viaggiando veloce, verso una luce «pura, più bianca della neve e più brillante di mille soli, coinvolgente». Solo che «guardo alla mia destra e c’è quella nerezza generale. Di colpo capii la sua completezza. Era eterna, senza vita alcuna, era vuota ed era per sempre intrattabile… E più la guardavo, più intensa sembrava la natura di esser tagliato fuori, separato. Era orribile. Orribile. Dopo questo, non posso sentire qualcuno che dice: va all’inferno. Non si desidera che la peggiore persona del mondo, Hitler, Bin Laden (sic) vada a finire lì. Era così orribile».
Robinson si accorge con orrore che quel nero sta eclissando la luce verso cui andava a velocità crescente; «Era come essere in una stanza buia e chiudere la porta di quella stanza. E lo spazio tra la porta che emana luce si stava restringendo. Ma non era una porta, era un luogo reale; e si stava chiudendo, stava eclissandosi, e io adesso sono ritto sull’orlo estremo, sul precipizio d’eterna separazione. E allora grido fuori di me: “Aiuto, io voglio vivere! Dammi un’altra possibilità!”. E prima che la porta si chiudesse del tutto, mi trovo alla presenza dell’Onnipotente. E all’istante so che non morirò per l’eternità. All’istante, so chi era questo essere che era in quel lato di me, che non potevo vedere, Era come un vivo fiume di luce d’oro…». Segue un colloquio in una bellissima lingua. «Non ne avevo mai sentito parlare, ma ero pieno di Spirito Santo.. .In tutti gli anni della mia vita ero stato nell’oscurità, e Dio mi ha dato questo spazio per gridare a lui. E in questo spazio ha cambiato il mio futuro, il mio destino e il mio intero scopo. Per tutto questo tempo Dio mi ha amato, è stato con me. Voi non aspettate di essere disperati per farlo».
Ed eccoci ad
Howard Storm, professore di belle arti all’università del Kentuchy. «Non ero una persona gradevole, diciamo. Un po’ professor-so-tutto, ateo militante ostile a qualunque religione, materialista, uno che cedeva a scoppi d’ira e usava queste rabbie per manipolare il prossimo. Se ho mai pronunciato il nome di Dio è stato per tirare qualche bestemmia».
Nel 1985, durante un viaggio in Europa con sua moglie, un’ulcera perforata: eccolo in un letto d’ospedale a Parigi, improvvisamente gravissimo. Anzi agonizzante. Con angoscia, sente che è prossimo alla morte. Chiude gli occhi in attesa del grande nulla. Invece «con mia sorpresa, mi trovo in piedi a guardare il mio corpo disteso nel letto». Cerca di richiamare l’attenzione della moglie, invano; lui grida bestemmie – o crede di gridare – ma lei non sente. Si accorge invece che qualcuno, oltre la porta della stanza, lo sta chiamando per nome, a bassa voce: «Howard, Howard, vieni». Erano voci diverse, stavano apparentemente nel corridoio.
Chi siete? «Siamo qui per curarti». Medici, infermieri? «Presto, vieni e lo vedrai». Non rispondevano a tono… Storm segue le voci nel corridoio, e “c’era come una nebbia”. Quelle figure erano più avanti, e non riusciva a vederle chiaramente. «Davano risposte evasive, mi incitavano solo a seguirli, mi facevano fretta». Più Storm li segue allontanandosi, e più quelli davanti, da allegri che erano, diventano maleducati, impertinenti: «Presero a deridermi per il mio sedere nudo che la vestaglia d’ospedale non riusciva a coprire, e di com’ero patetico. Stavano parlando di me, ma quando tendevo l’orecchio loro si dicevano: “Sst, può sentirti!”». Più Storm si allontana nella foschia (nessun punto di riferimento, solo il terreno fangoso e umido), più quelli diventano aggressivi, anche se qualcuno di loro avvertiva gli altri: attenti, sennò si spaventa e scappa via.
Adesso, quelli sono diventati una folla ostile, sguaiata, triviale: saltano addosso al povero Storm e lo picchiano. «Un tumulto selvaggio di insulti, grida e percosse. Io lottavo come un ossesso e nello stesso tempo era chiaro che loro si stavano divertendo. Sembrava che per loro fosse una specie di gioco e che io fossi il pezzo forte del loro divertimento. La mia pena diventava il loro piacere. Appena riuscivo a liberarmi di uno, altri cinque mi assalivano. Mi stavano addosso, presero a umiliarmi sessualmente nel modo più degradante… A un certo punto, cominciarono a strapparmi pezzi di carne. Con orrore capii che ero fatto a pezzi a mangiato vivo, lentamente, così che il loro divertimento durasse il più possibile».
Una voce interna gli ingiunge di pregare. Lui rifiuta tre volte: non so come pregare. Poi cede e comincia a dire frasi come: «Il Signore è il mio pastore… God bless America, qualunque cosa che avesse una connotazione religiosa». La torma si raggriccia, si ritira urlando oscenità, urlandogli che quel che diceva non aveva alcun valore… Lui di rimando: «Padre nostro, che sei nei cieli…» a pezzi e bocconi. Si ritrova finalmente solo. Ma in una totale «disperazione, angoscia e oscurità, che non avevo la minima idea di quanto tempo fosse trascorso. Giacevo semplicemente in quel luogo sconosciuto. Non c’era alcuna direzione da seguire. Ora capivo che quella era la fine assoluta della mia esistenza, più orribile di qualsiasi cosa avessi mai potuto immaginare».
A quel punto il disperato accenna ad una canzoncina che aveva imparato all’Asilo: «Gesù mi ama, sì lo so…». Subito nel buio totale appare «una stellina minuscola»: è l’Amico – forse il suo angelo – che corre al suo soccorso (2).
A me ha colpito l’aspetto comico e scurrile, ancorché atroce, di quella torma di tormentatori, che richiama qualcosa che Storm non può conoscere: qualcosa di analogo alla compagnia dei Malebranche, la famiglia di alati demoniaci nel canto 22, che si incitano a vicenda, si fanno ingannare da un dannato, si azzuffano tra loro: «Noi andavam con li diece demoni. Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa- coi santi, e in taverna coi ghiottoni».
Ma tutte le testimonianze hanno un’impressionante impronta dantesca.
Lo so, l’incredulo continuerà a non credere, a irridere a questi racconti come illusioni — nonostante la sicurezza dei testimoni che no, quella non è stata una esperienza onirica, è realtà. Né si saprà mai quanto di queste «esperienze» sia influenzato da elementi culturali che il testimone possiede come patrimonio collettivo. E certo, si può legittimamente negare che costoro abbiano conosciuto la morte — tant’è vero che sono tornati a vivere tra noi, magari salvati dai progressi delle tecniche di rianimazione.
Mi preme notare una costante: l’esperienza ha per tutti un carattere spiccatamente pedagogico: come se li preparassero al ritorno nell’aldiquà, per lo più l’angelo amico, o un parente defunto, o Gesù, o Dio onnipotente, gli fanno passare in rassegna la propria vita passata. Non giudicano, ma è la persona che si vergogna delle sue mancanze (3)…
Una cosa è indubbia: che coloro che hanno avuto l’esperienza di tipo luminoso hanno acquisito un atteggiamento vitale completamente nuovo.
«Prima della mia esperienza, ero convinto che Dio era un argomento filosofico. Dopo l’esperienza, la mia convinzione riguardo a Dio supera completamente ogni altra, compresa la convinzione che due più due fa quattro. Mi ha sorpreso, con gratitudine, di scoprire che Dio è un Essere d’Amore e di Compassione — un aspetto, questo, a cui non avevo attribuito nessuna importanza in precedenza». (Jeffrey)
«Io ora so che c’è un Dio… lo credo con tutto il mio cuore adesso, e non era così prima.L’amore incondizionato di Dio, immeritato, supera ogni nostra comprensione».
«Mi sento vicino alla mia famiglia… Non vedo più il mio ruolo di coniuge e padre come un compito obbligatorio, ma piuttosto come un rapporto di sostegno. I miei figli devono essere educati ed amati… e non semplicementeallevati correttamente» (G.D).
Non si può dubitare che queste parole, specie le ultime, testimoniano di una maturità spirituale, di un livello di saggezza alto, insolita nei nostri tempi, in persone senza particolare pratica religiosa né ascetica. È un privilegio, un dono invidiabile che questi hanno ricevuto, a prezzo del tragico incidente che li ha segnati. Una grazia, diremmo noi.
E quanto a coloro che hanno vissuto l’esperienza nel registro tenebroso, «infernale»? Non c’è nessuno di loro che non abbia cambiato vita, che sia tornato ai vecchi vizi, rabbie, al precedente materialismo ottuso.
Mi ha ispirato a questa ricerca una frase del celebre oncologo del bel mondo, Umbert Veronesi: “Il cancro è la prova che Dio non c’è”. Allora m’è tornato in mente che, tempo fa, avevo letto l’esperienza di un altro ateo ed anti-religioso militante, il professor Howard Storm. E come l’abbia cambiato la sua esperienza di pre-morte. Umberto Veronesi non ha avuto questo dono. Non contento di aver passato la vita a farsi ricco – tanto che a lui si applicherebbe l’anagramma di Dali: Avida Dollars – da ultimo si è messo volontariamente a predicare l’ateismo e peggio, la propaganda della transessualità, l’elogio dei gay come avanguardia di una nuova umanità — alla sua età. Ad 88 anni uno può scoprire da un momento all’altro di quanto sia stato stupido. Definitivamente degno di scherno, ed ormai senza rimedio. Eternamente cretino nella perdizione che ha tenacemente voluto, dopotutto.
NOTE:
1) Molte informazioni ed esperienze di pre-morte sono raccolte dal sito «Near Death Experience Research Foundation» (NDE RF) che ha anche un’estensione parzialmente tradotta in italiano. In questo sito si fa riferimento ad ampi sondaggi: «The prevalence of NDE in the adult population has been estimated by several major surveys. A Gallup Poll in 1992 led to an estimate that 13 million Americans had experienced a NDE (esperienze di pre-morte, ndr.). The population of the United States in 1992 was approximately 260 million, leading to an estimate of NDE prevalence of 13 million/260 million, or 5%. A survey in Germany (Knoblauch H., Schmied, I. (2001). Different Kinds of Near-Death Experience: A Report on a Survey of Near-Death Experiences in Germany. Journal of Near-Death Studies, 20(1), 15-29.) found 4% of over 2000 people surveyed reported having experienced a NDE. From these data, it is possible to estimate the incidence of NDE». Le persone che hanno avuto una esperienza di pre-morte vengono sottoposte ad un questionario-standard, a scopi statistici. «Out of a total of 626 experiences submitted to the website, 302 of these experiences met the research definition of NDE as defined as, “A lucid experience associated with perceived consciousness apart from the body occurring at the time of actual or threatened imminent death” (Long)». È un vero peccato che ricerche simili non esistano, per quanto ne so, in nazioni di ambiente cattolico.
2) Lo stesso Storm asserisce che la luce verso cui l’Amico lo portò non era ancora il paradiso: «Io non vidi mai Dio, e non ero in paradiso. Ero nei lontani sobborghi…».
3) Storm: «Potevo percepire i loro sentimenti di tristezza e di sofferenza, o di gioia, mentre la revisione della mia vita scorreva davanti a noi. Essi non dicevano che qualcosa era buono o cattivo, ma io potevo sentirlo. E potevo anche sentire tutte quelle cose alle quali erano indifferenti. Per esempio, non fecero alcun caso agli ottimi risultati al liceo. Semplicemente non provavano niente al riguardo, così come nei confronti di altre cose di cui io mi ero sentito molto orgoglioso. Ciò a cui reagivano era il modo in cui avevo interagito con le altre persone. Questo stava alla base di tutto. Sfortunatamente la maggior parte delle mie interazioni con gli altri non erano adeguate al modo in cui avrei dovuto interagire, vale a dire con amore. Ogni volta che nella mia vita avevo reagito con amore, essi mostravano grande gioia».
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