Ho provato a scrivere un articolo sul massacro della scuola elementare, ma ad ogni tre righe mi tornavano in mente le parole di Robert Kennedy:
"Ogni volta che la vita di un americano viene spezzata senza motivo da un altro americano, ogni volta che viene lacerato quel tessuto vitale che un altro uomo ha così dolorosamente e faticosamente intrecciato, per se stesso e per i suoi figli, ogni volta che questo accade l'intera nazione ne resta umiliata."
Mi dicevo: "sono le armi". Ma poi pensavo che le cose non sono così semplici: non sono le armi ad uccidere, sono gli uomini che uccidono altri uomini. L'arma è soltanto lo strumento, ... ... che esiste all'interno di un paradigma nel quale è lecito togliere la vita ad un altro essere umano, se soltanto credi di avere il diritto di farlo.
Nel momento in cui si accetta questo paradigma si accetta la cosiddetta società della violenza, che viene propagandata e replicata a tutti i livelli, reali e mediatici, coscienti e subliminali, per 365 giorni all'anno.
Dice sempre Robert Kennedy: "Eppure sembriamo tollerare un livello crescente di violenza, che ignora sia la nostra comune umanità che le nostre pretese di civiltà. Accettiamo tranquillamente reportage giornalistici di civili massacrati in terre lontane. Glorifichiamo le uccisioni sugli schermi del cinema e della TV, e lo chiamiamo “intrattenimento”.
Nel momento in cui l'uccisione di un altro essere umano viene in qualche modo giustificata, diventa molto facile giustificare un gesto simile da parte nostra, per il quale saremo sempre pronti a trovare mille alibi, mille scuse e mille giustificazioni.
Due settimane fa un bianco in Florida ha ucciso un ragazzo nero a pistolettate alla stazione di servizio, solo perché si rifiutava di abbassare la musica dalla sua autoradio. Quando la polizia lo ha arrestato, ha detto di aver sparato perché "gli sembrava di aver visto un fucile sul sedile dell'auto di quel ragazzo". Si era quindi sentito minacciato - ha detto - ed ha sparato prima che gli altri sparassero a lui.
"Quando insegni ad un uomo ad odiare e temere suo fratello, quando insegni che l'altro è inferiore a causa del suo colore o per quello in cui crede, o per le sue idee politiche, quando insegni che quelli diversi da te minacciano la tua libertà, il tuo lavoro, la tua casa o la tua famiglia, allora impari anche ad affrontare gli altri non come concittadini ma come nemici, impari ad essere accolto non con collaborazione ma con sopraffazione, impari ad essere soggiogato e reso schiavo.
Alla fine impariamo a guardare ai nostri fratelli come estranei. Estranei con cui condividiamo la città ma non la comunità, persone legate a noi dal luogo in cui vivono, ma non da un intento comune. Impariamo a condividere solo una paura comune, un comune desiderio di allontanarci l'uno dall'altro, una spinta comune a rispondere al disaccordo con la violenza. La nostra vita su questo pianeta è troppo breve, il lavoro da fare è troppo grande, per permettere che questo sentimento si diffonda ancora, in questo nostro paese. "
Nel suo discorso alla nazione, Obama ieri ha detto che "a questo punto bisogna fare qualcosa, al di là delle divisioni politiche", e si riferiva certamente alla legge che regola il porto d'armi negli Stati Uniti.
Ma nuovamente, non sarà una legge a risolvere il problema, perché esattamente come sono gli uomini che uccidono gli altri uomini e non lo fanno le armi, così non sono le leggi che possono risolvere i problemi degli uomini, possono farlo soltanto gli uomini stessi.
"Di certo non si può cancellare il problema con un programma, nè con una legge. Potremmo però ricordarci, almeno una volta, che coloro che vivono con noi sono nostri fratelli, e condividono con noi lo stesso breve istante di vita. Che essi desiderano, come noi, solo la possibilità di vivere la propria vita, con motivazione e felicità, conquistando ogni soddisfazione e ogni realizzazione possibile."
Massimo Mazzucco
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