Chi l’avrebbe mai detto che una delle peggiori pugnalate alla schiena per George W. Bush sarebbe arrivata proprio dal suo prediletto Ministro della Difesa Donald Rumsfeld? Eppure sembra che sia così.
Sta infatti per uscire l’autobiografia di Donald Rumsfeld, intitolata “Known and Unknown” (“Cose note e cose sconosciute”), della quale il
Washington Post ha pubblicato in anticipo qualche stralcio.
Fra questi, c’è l’affermazione secondo cui Bush avrebbe chiesto a Rumsfeld “di verificare i piani di invasione dell’Iraq dopo soli 15 giorni dagli attentati dell’11 settembre”. Nella propria autobiografia invece, l’ex-presidente Bush scrive di aver fatto quella richiesta a Rumsfeld solo sei settimane dopo.
Sembra una differenza da poco, ma due settimane dopo l’11 di settembre l’Afghanistan non era ancora stato nemmeno invaso, e la notizia che già si stesse preparando la guerra all’Iraq rafforza decisamente l’ipotesi – per molti già una certezza - che gli attentati alle Torri Gemelle avessero come finalità ultima i pozzi di petrolio di Saddam Hussein.
Di notizie su questa inspiegabile fretta di aggredire l’Iraq – che in realtà risale almeno al febbraio del 2001 - ne avevamo già trovate in abbondanza, come documentato dallo spezzone che segue,
ma finora erano giunte da personaggi, come Richard Clarke o Paul O’Neil, che si erano dichiarati contrari alla strategia di aggressione americana in Iraq. Ora invece abbiamo la conferma diretta … … da parte di chi quell’invasione l’ha guidata dall’inizio alla fine, dopo averla pianificata fin nel minimo dettaglio. E’ peraltro curioso che Rumsfeld cerchi di addossare in qualche modo la colpa della guerra in Iraq a Bush, dicendo che “fu lui a chiamarlo”, quando sappiamo tutti benissimo da dove sia nato quel progetto di predominio globale chiamato PNAC.
Quando i neocons iniziarono a fare amicizia, Bush giocava ancora con le automobiline.
Altrettanto ambiguamente Rumsfeld riconosce, nella sua autobiografia, di aver sbagliato la strategia militare, quando afferma che “visto a posteriori, vi furono momenti in cui un numero maggiore di truppe sarebbe stato utile”. In realtà, era nata proprio da lui l’idea che il popolo iracheno si sarebbe gettato in ginocchio di fronte al “liberatore” americano, e fu lui il primo a rimanere di stucco quando si rese conto che gli iracheni avrebbero venduto cara la pelle, obbligando i soldati americani ad avanzare strada per strada, casa per casa e villaggio per villaggio.
Infine – come per riparare ad un danno causato – Rumsfeld ammette che “se esiste un rimorso, è quello di non aver dato le dimissioni dopo lo scandalo di Abu Grahib”. Naturalmente, nell’autobiografia si è dimenticato di dire che
fu lui l’ispiratore delle tecniche di tortura che divennero famose proprio con il caso di Abu Grahib.
E poi dicono che la schizofrenia è soltanto un’invenzione.
Massimo Mazzucco