Strana mossa, quella degli Stati Uniti, che mandano a Roma il generale Petraeus per chiedere rinforzi militari in Afghanistan.
Nel mondo di una volta erano i politici a prendere certe decisioni, ed è a quello scopo, fra gli altri, che furono inventati i ministri degli esteri: la Rice (o chi per essa), passava casualmente da Roma, prendeva da parte il nostro D’Alema (o chi per esso), e gli “consigliava vivamente” come e dove mandare i militari che le servivano.
Ai nostri politici restava l’ingrato compito di inventare per il popolo una balla accettabile – “missioni di pace” resta per ora la più grandiosa - per non doversi sentir dire che erano dei guerrafondai al servizio di sua maestà imperiale.
Ora invece arriva direttamente il generale, sudato e ansimante dal campo di battaglia, come se chiedesse “Oh, ragazzi, non è che per caso vi avanzano un paio di jeep? Ho i soldati imbottigliati in un canalone, e mi servono altri mezzi di trasporto per gli ufficiali della base”.
Poi magari passa anche dalla locale caserma, per vedere se può farsi prestare qualche scatolone di bombe a mano. (“No - gli risponde il cuoco – quelle le abbiamo finite, però abbiamo appena fatto un ragù da leccarsi i baffi. Se vuole portarsene via un pentolone…”).
E’ davvero curiosa questa scelta, che scavalca le più classiche procedure internazionali, … … al punto da rendere un incontro del genere assolutamente nullo dal punto di vista ufficiale.
Qui le possibilità sembrano essere due: o nessuno, da Washington, vuole scottarsi in un momento così delicato - c’è di mezzo il cambio di amministrazione: chi parte, e chi rimane? – oppure gli americani si sono talmente abituati a non rispettare più le leggi che ognuno è convinto di poter fare quello che vuole, come al tempo del Far West.
Ma è più probabile che la verità stia nel mezzo: Petraeus sa bene che non può applicare in Afghanistan la stessa tecnica del “divide et impera” che sta finalmente dando qualche risultato in Iraq (una cosa è indurre all’infamia piccoli gruppi di guerriglia urbana, ben altra è smuovere intere tribù, che sono assestate da secoli nel proprio territorio, per metterle l’una contro l’altra), e sente quindi l’urgenza di aumentare al più presto le truppe sul terreno, per portare a termine in qualche modo il compito che gli è stato assegnato. Ma evidentemente da Washington, in questo momento, nessuno vuole muoversi per lui, e non potendo aspettare la Clinton – ci vorrebbero dei mesi, prima di un incontro ufficiale di quel genere - ha deciso di agire da solo.
Naturalmente, ci vorranno anni prima che gli americani capiscano che l’Afghanistan, semplicemente, non si può mettere sotto controllo. Eppure i russi li avevano avvisati.
L’unica cosa prevedibile di tutta la faccenda, purtroppo, è stata la risposta ambigua dei nostri politici, che per bocca di La Russa hanno detto che “non manderanno altre truppe, ma manderanno degli addestratori militari”.
Qualcuno ci vuole spiegare, con una guerra in corso da ormai sette anni, chi ci sia ancora da “addestrare” in Afghanistan? Le capre, forse, sono le uniche che non sanno imbracciare un fucile, a questo punto.
Massimo Mazzucco