Non avevo mai visto piangere un giapponese.
All’inizio della partita, i giocatori del Giappone sembravano solo undici macchinette caricate con batterie ultraspeciali, inesauribili, e i loro volti ricordavano troppo da vicino i personaggi dei cartoni animati per poter pensare che fossero davvero degli esseri umani.
Fin troppo umani apparivano invece i giocatori del Paraguay: teatrali, emotivi, melodrammatici, con la furia dipinta negli occhi e la bestemmia sempre pronta sulle labbra. Altrettanto per gli allenatori: gelido e impenetrabile quello giapponese, esagerato ed incontenibile quello paraguayo.
Ma le emozioni, sotto sotto, dovevano essere le stesse per tutti: sono le emozioni che prova l’uomo qualunque, quando si rende conto di essere di fronte ad una possibilità unica nella sua vita, che potrebbe permettergli, di colpo, di “diventare qualcuno”. La consapevolezza del traguardo a portata di mano - i quarti di finale, in questo caso - unita alla paura di perdere per sempre quell’occasione, allargano all’infinito la forbice del dramma, e si traducono in spezzoni di vita indimenticabili per tutti. Anche per chi osserva.
Assoluta nullità a livello calcistico, il Paraguay si è ritrovato a vincere il girone ... ... destinato a far da passerella per i campioni del mondo uscenti. Vera e propria barzelletta calcistica, il Giappone era noto più che altro perchè permetteva di inventare facili battute sui nomi dei giocatori, come il noto mezzapunta Semigiro Tisiluro o il crudele stopper Titiro Naskarpata.
Ma il passaggio del turno il Giappone se lo era conquistato sul campo, e così aveva fatto il Paraguay, e ora le due squadre si rendevano conto che, con il trascorrerre dei minuti, avrebbero potuto passare alla storia del loro paese, oppure ripiombare nel buio da cui erano appena emerse. La stessa emozione si rifletteva sugli spalti, dove i tifosi delle due nazionali esprimevano la crescente ansietà, ciascuno a modo loro: immobili ed intensi come maschere del teatro kabuki i giapponesi, con gli occhi alzati al cielo, fra una preghiera e un segno della croce i paraguagi.
E quando è giunto il momento dei rigori, il dramma si è fatto totale. Fedeli alla loro cultura, i giocatori del Paraguay abbracciavano e salutavano il proprio portiere come se dovesse partire per il fronte. Fedeli alla propria, i giapponesi lasciavano solo il proprio portiere, perchè potesse concentrarsi al meglio prima di dirigersi verso l’area di rigore.
Sugli spalti sembrava che si stesse per decidere chi fra gli spettatori dovesse venir fucilato, e chi invece avrebbe avuto salva la vita.
Poi, in un attimo è finito tutto. E’ bastata una traversa colpita da un giapponese, e tutti hanno capito che il Paraguay non li avrebbe perdonati. E infatti così è stato.
Ma proprio in quel momento, quando tutto sembrava finito, è arrivata la sorpresa maggiore: i volti a due dimensioni dei giocatori giapponesi diventavano improvvisamente umani, si coloravano di emozioni, e i loro occhi lasciavano finalmente trasparire la profonda delusione per l’occasione mancata. Alcuni di loro cadevano in ginocchio, affranti, altri si aggiravano per il campo esterrefatti, altri ancora si facevano attorno al compagno che aveva sbagliato il rigore, e lo abbracciavano per confortarlo. Sugli spalti una tifosa giapponese si asciugava rapidamente due lacrime.
Non avevo mai visto un giapponese piangere. Non credevo che ne fossero capaci, almeno non in pubblico. Ma evidentemente esistono situazioni in grado di superare qualunque condizionamento culturale, arrivando a toccare quelle sfere di emotività profonda che nessuno di noi è in grado di controllare.
Massimo Mazzucco