NO, NON E' UN SOSIA. IL TRUCCO E' UN ALTRO
di Massimo Mazzucco
Per chi avesse letto
“Sopra le nostre teste” – un dialogo immaginario fra Bush e Putin, di qualche giorno fa – non dovrebbe essere una totale sorpresa il vedersi recapitare la barbona incolta di Saddam nel salotto di casa propria nel modo in cui è successo oggi: di domenica mattina, con un’intera giornata davanti per stare incollati ai televisori, e digerirci con calma questo grande successo della giustizia dell’occidente sull’Islam malvagio, barbarico e infedele.
Avevamo sbagliato i calcoli, e pensavamo che una carta del genere se la sarebbero giocata nel momento più delicato, il ritiro dall’Iraq, che ormai è “tassativamente” stabilito entro Giugno, cioè a quattro mesi massimo dalle elezioni presidenziali. Invece, si vede che la situazione... .... è ancora peggio di quel che già si poteva intuire, e questo jolly, calato così all’improvviso, sembra in realtà la cifra della disperazione che tutti leggono negli occhi di Paul Bremer da ormai molte settimane.
Leggiamo le sue parole, direttamente dal New York Times di oggi :
Mr. Bremer appealed to insurgents loyal to Mr. Hussein to give up the fight today.
Mr. Bremer ha rivolto un appello agli insorti fedeli ad Hussein affinchè cessino di combattere oggi (stesso).
"With the arrest of Saddam Hussein, there is a new opportunity for the members of the former regime, whether military or civilian, to end their bitter opposition."
“Con l’arresto di Saddam c’è una nuova opportunità per i membri del defunto regime, sia militari che civili, di porre fine alla loro acre opposizione.”
Gli ha puntualmente fatto eco Blair da Londra, facendo sapere che:
Mr. Blair welcomed Mr. Hussein's capture as an opportunity for national reconciliation in Iraq.
Mr. Blair ha accolto la cattura di Hussein come un’occasione di riconciliazione nazionale per l’Iraq.
"Where his rule meant terror and division and brutality, let his capture bring about unity, reconciliation and peace between all the people in Iraq,"
“Laddove la sua mano significava terrore, divisioni e brutalità, che la sua cattura porti unità, riconciliazione e pace fra le genti d’Iraq.”
Sembra il Papa.
Seguono, almeno sulla stampa nazionale americana, le solite immagini risicate degli iracheni che festeggiano – sempre tre alla volta - chissà che cosa.
Il messaggio vero è quindi chiaro: con la guerriglia gli USA sono quasi al collasso. Di certo già sapevamo che l’esercito non ne può più, e che i primi singulti di ribellione vengono contenuti ormai con una certa fatica. Questa carta disperata è l'ultima per cercare di far cambiare direzione all’ago della bilancia.
I prossimi giorni diranno se gli iracheni ci sono cascati. La prima volta non fu così, e io li farei certo un pò più furbi di quanto sembra li facciano a Washington.
Massimo Mazzucco