MORIRE CON DIGNITÀ: HA VINTO L’INDIVIDUO. 

di Fabio de Nardis

28.05.04 - Il Procuratore Generale (Ministro di Giustizia) John Ashcroft ha perso un’altra battaglia con lo Stato dell’Oregon, nella lunga guerra per bloccare la legge sul suicidio assistito da loro approvata nel 1997. Ma quello appena conclusosi rappresenta soprattutto un ennesimo capitolo nell’eterna diatriba fra federali e stati singoli, per stabilire fino a che punto i primi possano ficcare il naso negli affari dei secondi, quando non vi siano di mezzo faccende che riguardano direttamente la federazione come tale. E infatti la US 9th Circuit Court of Appeals of San Francisco, la corte federale* a cui Ashcroft si era appellato, oggi ha confermato che il suo tentativo di bloccare la legge non rientra nelle sue competenze. Il Giudice Richard A. Tallman - considerato uno dei membri più conservatori, all’interno di questa corte notoriamente “liberal” - scrive nella sua opinione che non solo “il Procuratore generale va oltre la portata della sua effettiva autorità nello Stato Federale” ma “il suo sforzo unilaterale di regolare la pratica medica generale, storicamente affidata ai legislatori dello Stato, interferisce con il dibattito democratico...

... sul suicidio medico assistito”. Questa volta Tallman non ha avuto dubbi. Lo Stato dell’Oregon ha tutto il diritto di legiferare sul proprio sistema sanitario e dunque la pratica dell’eutanasia (dal greco: "morte dolce") va considerata legale e legittima.

Da quando la legge sulla Death with Dignity (Morte con Dignità) è stata approvata nel 1997, nell'Oregon 171 persone, per lo più malate di cancro, ne hanno usufruito, procurandosi la morte secondo un accordo con lo State’s Department of Health Service. La legge è piuttosto chiara. Possono usufruire del suicidio assistito tutti coloro che sono in possesso delle proprie facoltà mentali e a cui, su giudizio di almeno due medici, non restino più di sei mesi di vita. Il paziente è inoltre tenuto a autosomministrarsi la medicina letale a riprova della sua effettiva volontà di porre termine alla propria vita.

George Eighmey, direttore esecutivo dell’Oregon Chapter of Compassion in Dying, l’organizzazione che fin dall’inizio si è battuta a difesa della legge, afferma che “la decisione del 9th Circuit rappresenta una grande vittoria per tutti i cittadini dell’Oregon e per tutti coloro che credono nella libertà di scelta sul proprio destino”. A sostegno del suo entusiasmo, Arthur Caplan, direttore del Centro di Bioetica della University of Pennsylvania afferma che, oltretutto, in questi sette anni di applicazione legale del suicidio assistito, non si sono registrati casi di abuso, come gli oppositori paventavano, non solo perché i medici e le infermiere hanno lavorato bene ma anche e soprattutto perché la possibilità di porre termine alla propria vita non è mai stata considerata con leggerezza o vissuta come una sorta di palliativo per qualsiasi tipo di patologia.

Ci sentiamo di condividere la soddisfazione per la vittoria dei cittadini dell’Oregon in questa battaglia di civiltà contro chi, senza alcun interesse sostanziale verso le esigenze vere degli individui, voleva semplicemente sfruttare un'altra possibilità per porre un freno alla legittima libertà delle persone di decidere sul proprio destino, anche - e soprattutto - in una situazione così drammatica da riguardare la fine stessa di un’esistenza individuale. La Corte d’Appello di Richard Tallman ha votato per la libertà dell'individuo, contro l’oscurantismo di chi vorrebbe che gli uomini fossero condizionati da un etica che, lungi dall’essere il prodotto dei rapporti interpersonali, è piuttosto l’effetto di una improbabile ambizione di salvazione umana ultraterrena.

Fabio de Nardis

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