di Enrico Sabatino
In vista del dibattito al Senato sulla politica estera del governo, con l’intervento del Ministro D’Alema, ma soprattutto alla vigilia del voto parlamentare sul rifinanziamento della missione militare italiana in Afghanistan è arrivato per il governo il momento di affrontare con chiarezza e concretezza gli sviluppi futuri della presenza italiana in quel Paese e dei suoi obiettivi politici.
E’ noto a tutti come in Afghanistan sia in corso da circa un anno una crescente escalation dei combattimenti tra le forze NATO guidate da poche settimane dal generale americano McNeil e i guerriglieri afghani, denominati a sproposito taliban e/o terroristi per ovvie ragioni di propaganda; un’escalation causata in particolar modo dagli attacchi via via più sofisticati ed efficaci da parte di questi ultimi, proseguiti per la prima volta anche durante il rigido inverno afghano e che hanno permesso loro di riconquistare nei giorni scorsi Musa Qala, costringendo i soldati NATO a ripiegare … … e a far ricorso ancor di più a massicci bombardamenti aerei, mietendo così molte vittime anche tra i civili; come del resto succede ormai da più di cinque anni, dopo un qualsiasi bombardamento dall’alto.
Ma la settimana scorsa Bush, in un discorso all’American Enterprise Institute, ha chiaramente chiesto agli alleati che non sono presenti nella zona dei combattimenti del sud dell’Afghanistan di fare anche loro la propria parte aumentando il numero delle truppe e unendosi ai soldati americani, inglesi e canadesi nei combattimenti contro i guerriglieri afghani, preannunciando poi un’offensiva della NATO in primavera che farebbe il paio con quella dei guerriglieri.
Ma sia Prodi che D’Alema hanno risposto di non aver mai sentito parlare di questa offensiva nelle ultime riunioni ufficiali della NATO e che comunque Bush non si riferiva di certo all’Italia. Aggiungendo che, nel caso se ne dovesse parlare in futuro, l’unica sede appropriata per discuterne è appunto il quartier generale della NATO di Bruxelles e che un’eventuale decisione del genere potrebbe essere presa solo con un voto all’unanimità di tutti i Paesi membri.
Comunque sia, questo energico pressing di Bush non è affatto una novità, in quanto fin dalla scorsa estate il segretario della NATO Scheffer aveva chiesto agli alleati che erano già presenti in Afghanistan più mezzi e più truppe da mandare nelle zone di combattimento ma fortunatamente il governo italiano aveva sempre risposto picche. L’unica concessione degli ultimi giorni, dopo l’ennesima richiesta di Scheffer durante la riunione NATO a Siviglia, è stata la decisione del Ministro Parisi in favore dell’invio di un Hercules C-130 e di un paio di drone, gli aerei da ricognizione senza pilota.
E’ molto prevedibile però che il pressing aumenterà nelle prossime settimane e i dinieghi del governo italiano saranno messi a dura prova. Ma lo sarà ancor di più la tenuta dello stesso governo; perché, nella disgraziata ipotesi dovesse decidere di mandare i nostri soldati sul fronte di guerra, la sua caduta sarebbe questione di pochi giorni, se non di poche ore.
Se invece riuscirà a mantenere ferma la sua posizione contraria alla partecipazione diretta ai combattimenti, dovrà d’altro canto puntare tutto sull’obiettivo politico della Conferenza di pace, facendo tutto il possibile per raggiungerlo concretamente.
Inoltre, per giustificare politicamente il rifinanziamento della missione militare, sarebbe doveroso e obbligatorio porsi anche delle scadenze temporali in tal senso. E cioè, se nel giro di qualche mese - 6 sono più che sufficienti – il governo si dovesse rendere conto di essere effettivamente l’unico Paese della NATO presente in Afghanistan che vuole portare avanti seriamente il discorso di una Conferenza di pace e di ritrovarsi quindi del tutto isolato politicamente, a quel punto dovrebbe trarne le dovute conseguenze e decidere il ritiro di tutti i soldati dal territorio afghano.
Infatti in un quadro del genere, continuare in maniera testarda a mantenere una presenza militare senza essere riusciti in cambio ad ottenere alcun consenso tra gli alleati per arrivare alla fine delle ostilità e ad una Conferenza di pace con la presenza di tutti i Paesi dell’area e naturalmente anche di rappresentanti politici dei guerriglieri, sarebbe - oltre che un inutile sperpero di risorse economiche - alquanto ridicolo non solo dal punto di vista politico ma anche militare, visto che avremmo 2000 soldati che farebbero esclusivamente cooperazione, la cui presenza però a quel punto non servirebbe più né al governo italiano come carta da giocare per raggiungere l’obiettivo politico di una Conferenza di pace né tantomeno alla NATO, dato il persistente parere contrario all’invio dei nostri soldati nelle zone di combattimento.
Ci troveremmo quindi immersi in una tragicomica situazione paradossale e per evitarla l’unica soluzione sarebbe appunto quella di levare i tacchi una volta per tutte e tornare a casa.
Enrico Sabatino