LE GRANDI MORTI
Quando morì Napoleone, il Manzoni scrisse "percossa e attonita, la terra al nunzio sta." E cosi era accaduto, nel passato, per la morte di ciascun "grande" della storia, dai Faraoni d'Egitto ai Cesari di Roma, passando per condottieri e imperatori di mezzo mondo. Miriadi di cittadini si riversavano per le strade delle città, e confluivano istintivamente verso la piazza, alla ricerca di un "centro" dove condividere una sensazione di vuoto che da soli non erano in grado di affrontare.
Dalla morte di John Kennedy in poi, però, qualcosa è radicalmente cambiato. Quando da Dallas giunse la notizia agghiacciante, l'America si fermò di colpo. Ma non c'erano piazze verso cui confluire, perchè le città americane, ... ... semplicemente, di piazze non ne hanno. Da noi la valenza sociale della piazza risale almeno all'Agorà ateniese, ma i cowboy che avanzavano nella prateria, nel 18 secolo, costruivano le loro cittadine lungo l'unica arteria di penetrazione praticabile, di cui chiamavano Main Street quel breve segmento attorno a cui nascevano i centri abitati. Ma nel 1963 l'America scopri di avere per la prima volta anche lei una piazza: si chiamava televisore. L' immagine in bianco e nero di Walter Cronkite che annuncia con voce rotta la morte del presidente, mentre una lacrima gli scende sulla guancia, è incisa nella memoria di tutti gli americani a partire da quel giorno.
Già alla morte di Roosevelt, amatissimo presidente rieletto addirittura quattro volte, era successa una cosa simile, con la popolazione americana che si era raccolta silenziosa attorno alla radio. Ma la TV è diversa, è immediata, è istananea, è simultanea, e quella lacrima di Cronkite scendeva nello stesso momento su cento milioni di guancie nel paese. Nasceva quel giorno un tipo di dolore collettivo, pubblico, condiviso da ciascuno, che prima l'umanità non aveva mai conosciuto.
In seguito, grazie al progresso tecnologico, quel dolore collettivo arrivò anche ad assumere la caratteristica di "globale". Ciò avvenne con la morte di lady Diana d'Inghilterra. Nei giorni che seguirono la sua morte si poteva chiaramente percepire, attraverso i collegamenti via satellite da tutto il mondo, una sorta di "emozione unificata", che annullava di colpo non solo le barriere geografiche, ma anche quelle ideologiche fra una nazione e l'altra.
Ma la cosa non si ripetè facilmente. Non bastava che un "grande" morisse, per mettere in moto ogni volta questo sincronismo emotivo globale. Evidentemente bisognava anche che il personaggio fosse portatore di valori universali, che a loro volta travalicassero quelle barriere fisiche ed ideologiche che separano le genti del mondo.
Questo è di nuovo avvenuto - sta avvenendo, in queste ore - con la morte di Karol Woytila. Lo si sente chiaramente, da ogni collegamento anche con i posti piu sperduti nel mondo, dai quali sorprendentemente si registra un'onda emotiva forte quanto quella che ci si aspettava al massimo a casa nostra, o nei paesi più vicini allo scomparso papa polacco.
Siamo certi che la sua anima non potrebbe prepararsi meglio al viaggio che l'attende, supportata com'è da questo affetto collettivo di dimensioni globali.
Non per nulla lo chiamavano il "Papa mediatico", dopotutto.
Massimo Mazzucco