Come abbiamo detto tante volte, non ha grande importanza se negli Stati Uniti vince un presidente repubblicano oppure uno democratico.
Quello che rende le elezioni americane interessanti sono casomai gli spostamenti ideologici della gente che ogni volta sceglie di andare a votare. Costoro infatti "ci credono" fino in fondo, e quindi la scelta ideologica che esprimono indica comunque quelli che sarebbero i loro desideri, per quanto questi siano poi destinati a restare in gran parte insoddisfatti.
Quattro anni fa avevamo notato come la maggioranza degli americani fosse stata pronta ad accogliere alla Casa Bianca il primo presidente nero della storia, e questo era sembrato indicare una notevole maturazione rispetto al problema del razzismo, che negli Stati Uniti è sempre stato di primaria importanza.
Ma proprio per questa importanza, l'elezione di un nero la Casa Bianca ha anche scatenato l' "anima bianca" degli americani - quella schiavista, razzista e antiprogressista - che nel corso degli ultimi quattro anni si sono talmente coalizzati contro la figura dell'usurpatore nero da avere letteralmente trasformato il partito repubblicano. Il risultato di questa trasformazione infatti è un candidato - Mitt Romney - assolutamente improponibile sia dal punto di vista politico che da quello ideologico.
Questo è un uomo che è riuscito a dire, nel corso della sua carriera, di voler rispettare la libertà di scelta delle donne riguardo all'aborto, ma ha anche detto che farà di tutto per far abolire dalla Corte Suprema la legge che ha introdotto l'aborto in America.
Questo è un uomo che ha criticato il presidente Obama "per aver messo una scadenza precisa - il 2014 - al ritiro delle truppe dall'Afghanistan", ma che proprio l'altra sera ha detto, nel corso dell'ultimo dibattito, "se diventerò presidente tutte le truppe americane rientreranno dall'Afghanistan entro il 2014".
Questo è un uomo che nella sua carriera ha creato migliaia di posti di lavoro a basso costo in Cina, grazie all'outsorcing massiccio praticato dalle sue società, ma che sostiene di voler combattere la predominanza che la Cina mantiene sui mercati mondiali grazie al basso costo della propria manodopera.
Questo è un uomo che ha sempre sostenuto di voler ridurre le tasse pagate dall'1% degli americani - la fascia dei più ricchi - ma che contemporaneamente riesce a dire, durante i dibattiti televisivi, che lui "non ridurrà le tasse all'1% degli americani".
Questo è un uomo che al momento di salvare l'industria automobilistica, con il famoso "bailout" governativo del 2008, scrisse un articolo sul New York Times intitolato "Che Detroit vada in bancarotta!", ma che durante i dibattiti televisivi sostiene di "essere stato d'accordo con il salvataggio dell'industria automobilistica da parte del presidente Obama".
Insomma, questo è un uomo disposto a dire tutto e il contrario di tutto, pur di essere eletto, e lo fa con una tale faccia di tolla da far sembrare il più viscido e bugiardo dei nostri politici un santo immacolato.
Eppure, c'è circa il 47% della popolazione americana che voterà per Mitt Romney fra due settimane, e che rischia potenzialmente di mandarlo alla Casa Bianca.
In altre parole, mentre metà della popolazione americana si ritrova a domandarsi dove siano finiti i sogni idealistici di Obama del 2008, l'altra metà ha accumulato contro di lui una tale carica di odio, disprezzo e negatività da essere disposta a votare uno che li prende platealmente in giro dal mattino alla sera, pur di vedere nuovamente la Casa Bianca abitata da un presidente bianco.
Se quindi le elezioni presidenziali ci offrono ogni volta il termometro del "grande percorso" fatto dalla popolazione americana verso una forma di crescita collettiva, dobbiamo dire che in ogni caso siamo di fronte ad una spaccatura insanabile: che si "vada avanti" per finta con Obama, o che si torni indietro per davvero con Mitt Romney, sembra che questo tipo di cesura fra due modi contrapposti di concepire la vita non potrà essere risolto se non con il passare di almeno un altro paio di generazioni.
Nel frattempo la gente nel mondo continua a crepare di fame.
Massimo Mazzucco