di Andrea Franzoni
Gli antidepressivi aumentano le tendenze suicide, almeno fino ai 24 anni. Allo stesso tempo, però, «la depressione e altri disordini psichici possono avere conseguenze significative se non adeguatamente [farmacologicamente, nda] trattate» [1]. Con una certa confusione e con evidente cerchiobottismo l'FDA, ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione di farmaci e alimenti, ha invitato i produttori di psicofarmaci a segnalare, sulla confezione dei loro prodotti, l'aumento di fantasie suicide indotto dagli antidepressivi tra gli 0 e i 24 anni.
Questo provvedimento, che secondo gli analisti avrà un impatto minimo sulle vendite, rende manifeste tutte le incertezze e tutte le contraddizioni che investono un settore della medicina tanto presuntuoso quanto pre-scientifico. Nonostante l'efficacia degli antidepressivi sia praticamente identica a quella di un placebo, e nonostante il loro funzionamento sulla psiche sia sostanzialmente ignoto essendo lo studio del cervello e dei neurotrasmettitori in alto mare, si procede a tentoni, ... ... sui neuroni di milioni di persone e in presenza di gravi controindicazioni, lasciando per di più lontana dal dibattito la riflessione sulle reali cause "patogene" e cioè sulla società dell'isteria di cui la depressione è più che mai spia.
Innanzi tutto il tempismo: 20 anni, per una semplice indagine statistica basata su numeri e interviste che come tale richiede solo buona volontà e onestà. Una precisazione grave e tardiva che getta sicuramente ombre sulla serietà dei controlli e su molte altre rassicurazioni e verità date per acquisite che - per passare ai benefici - sorreggono un business da 13 miliardi di dollari all'anno nei soli Stati Uniti.
Che molti psicofarmaci potessero indurre idee suicide, specie all'inizio del trattamento o nei cambi di dosaggio, lo denunciavano poi già in molti.
Secondo l'FDA, tuttavia, questo è per ora dimostrato solo per alcune fasce d'età. Nel 2004 la controindicazione era già stata introdotta sulle confezioni, ma solo riferita ai ragazzi dagli 0 ai 18 anni. Il mercato all'epoca reagì bene, nonostante un leggero calo iniziale nelle vendite: diminuirono le prescrizioni fatte dai pediatri e dai medici di base, intimoriti, ma aumentò il ricorso agli psichiatri. Pochi giorni fa l'indicazione è stata estesa fino ai 24 anni, con la precisazione che esistono studi che dimostrano senza ombra di dubbio l'aumento del rischio negli adulti. Per ora.
Un colpo al cerchio, un colpo alla botte
L'annuncio dell'FDA va probabilmente letto come il tentativo di contenere le critiche e le accuse che, specie negli Stati Uniti (dove gli psicofarmaci sono spacciati a tappeto da molti anni), hanno prodotto negli anni molti studi critici e, in alcuni ambienti, una cultura della prudenza e della diffidenza. Dall'altra parte preme però Big Pharma, la grande industria farmaceutica, sicuramente restia a vedere diminuiti i propri fatturati e ben introdotta nei comitati scientifici, nella Società di Psichiatria e nella FDA stessa. La Food and Drug Administration, con eleganza, è riuscita ad accontentare entrambe: riconoscendo l'aumento delle idee suicide in 5 pazienti ogni 1000 in più di quelli trattati con placebo, l'FDA ha fatto sapere che «la depressione e altri disordini psichici possono avere conseguenze significative se non adeguatamente trattate». Sulla confezione degli antidepressivi, accanto all'avviso del rischio di tendenze suicide, troverà così spazio una scritta che valorizzerà l'efficacia e la necessità del loro uso, anche se le evidenze mediche tendono oramai a spostare il bilancio costi-benefici sempre più a favore delle controindicazioni.
Sarebbe interessante capire quali possano essere queste «conseguenze», anche per scoprire come esse possano essere tanto «significative» da poter bilanciare la tendenza al suicidio, tragico epilogo del mal di vivere e priorità negli effetti da scongiurare, che queste sostanze paradossalmente tendono ad aumentare. Ma la questione è molto più complessa.
Costi e benefici: l'efficacia dell'antidepressivo e quella del placebo
E' un dato di fatto che, dati 1000 pazienti in cura con antidepressivi, ben 5 più del normale arrivano al suicidio. Il dato è particolarmente significativo se valuta numericamente l'efficacia degli antidepressivi presentata dagli stessi produttori. Il funzionamento dei test è semplice: si dividono i pazienti in due gruppi e si somministra a metà una pastiglia inerte (placebo) e all'altra metà lo psicofarmaco, senza chiaramente far sapere ai soggetti di quale gruppo essi fanno parte; al termine si valuta (in riferimento ad una scala di percezione soggettiva) l'efficacia della somministrazione della pillola in sé (effetto placebo) e quella, aggiuntiva, imputabile all'azione dello psicofarmaco (secondo gruppo). Secondo la documentazione prodotta dalle case farmaceutiche (tutta da verificare), una pillola di zucchero presentata come psicofarmaco produrrebbe dei miglioramenti nel 64% dei pazienti, mentre il trattamento con veri antidepressivi sposterebbe invece l'efficacia all'82%, con un effetto netto imputabile allo psicofarmaco del 18% circoscritto quasi unicamente ai casi più gravi. E' però anche vero che i dati sono ottenuti da una selezione di test, visto che il 57% degli esami svolti aveva registrato un'efficacia dell'antidepressivo nulla se non inferiore a quella del placebo; allo stesso tempo gli effetti collaterali realmente imputabili allo psicofarmaco potrebbero aver inficiato in parte la veridicità del confronto (doppio cieco). I miglioramenti riscontrati, inoltre, sono comunque minimi, «clinicamente non significativi», pari a 1,7 "scalini" su una scala che conta 62 livelli quando, secondo i parametri stabiliti, il miglioramento minimo per parlare di efficacia clinica dovrebbe essere pari a 3 livelli. Tuttavia, per l'autorizzazione dell'FDA ad una sostanza, sono necessari soltanto due test positivi: questo senza tenere conto di tutti i test negativi, come il dottor Kirsch, autore della ricerca, ha spiegato in un'intervista a Kataweb [3].
Riassumendo, gli antidepressivi risultano, anche considerando solo i test positivi, minimamente utili nell'82 % dei casi, tuttavia l'utilità effettiva dello psicofarmaco è uguale al 18%, specie nei casi più gravi, mentre il grosso del "potere di guarigione" è imputabile al solo fatto di prendere una pillola con la convinzione che ci farà stare meglio. Anche stando ai dati più ottimistici, quindi, i benefici ascrivibili all'antidepressivo hanno un peso assolutamente ridotto. E se può essere utile "prendere in giro" i pazienti e fornire, con grande pubblicità, sostanze di scarsa o nulla efficacia lavorando sulla suggestione, questo è valido solo finché la sostanza che si somministra non si rivela pericolosa. Se uno sciamano, nella credenza di curare una malattia con rituali mistici, provoca nel paziente oltre ad un miglioramento dovuto alla pura suggestione ferite e infezioni reali, è evidente che sarebbe meglio optare per un rituale ugualmente simbolico ma meno dannoso. Allo stesso modo, se alle decine di controindicazioni, agli elevati costi, alla dipendenza e all'assuefazione provocata, si aggiunge anche un sensibile aumento dei tentativi di suicidio, è il segno che forse si sta giocando un po' troppo con l'equilibrio psichico dei pazienti e che il gioco non vale la candela.
Armeggiando a tentoni nella fragile psiche di un uomo
Non esiste una risposta al perché i suicidi aumentano quando i pazienti hanno determinate età, ed in realtà manca una conoscenza a livello fisiologico della depressione e dei venti neurotrasmettitori che ne starebbero secondo una certa visione meccanicistica alla base.
Gli studi che hanno portato l'FDA a questo provvedimento sono semplici analisi statistiche. Non esiste infatti la dimostrazione scientifica che dato lo psicofarmaco esso può scatenare meccanicamente, ad esempio agendo su una particolare molecola, la tendenza suicida. Tutta la psichiatria, in realtà, è basata su analisi statistiche più che sulla conoscenza esatta del funzionamento di ciò su cui si va ad agire, ancora incerto e tutto da dimostrare. In questo campo infatti si procede a tentoni, e non è raro scoprire una determinata molecola progettata per curare -ad esempio- la depressione sia prima apprezzata come allucinogeno dalle comunità hippy e infine certificata come "efficace" per l'ADHD, iperattività e deficit di attenzione nei bambini (è il caso del metilfenidato, Ritalin).
Il funzionamento degli SSRI, gli antidepressivi attualmente in uso, è molto semplice. Il meccanismo è legato alla serotonina, un neurotrasmettitore e cioè una sostanza chimica impiegata per la trasmissione dell'impulso fra due neuroni che il fisico produce e continuamente smaltisce. Fin dagli anni '60 si diffuse, sulla base dell'osservazione, la credenza che, alla base di molte disfunzioni psichiche, vi fosse una carenza di serotonina (visione che, per quanto mai dimostrata, è proposta ancora oggi da pubblicità e media sensazionalistici). Inizialmente si tentò di agire con farmaci che aumentassero la produzione di serotonina, successivamente si preferì utilizzare metodi meno invasivi e nacquero gli SSRI, inibitori del riassorbimento della serotonina che, rallentandone lo smaltimento, dovrebbero aumentare la concentrazione. In pratica se l'organismo produce poca serotonina, si tappano i canali di scolo e si impedisce alla poca serotonina prodotta di defluire. Questo metodo ha più o meno la stessa (ridotta) efficacia dei tentativi passati di aumentare la serotonina, ma ha minori controindicazioni e un costo maggiore.
La capricciosa realtà dei neurotrasmettitori
La situazione però è assai più complicata. Accanto alla serotonina esistono infatti molti altri neurotrasmettitori, coinvolti a vario titolo nella regolazione dell'umore, dei quali non si conosce praticamente nulla. Per quanto riguarda la serotonina, è ancora in attesa di dimostrazione l'assunto secondo il quale una bassa concentrazione di serotonina sarebbe causa, e non conseguenza, della depressione. Il fatto che in un numero statisticamente rilevante di persone depresse la concentrazione di serotonina sia bassa non significa che il basso livello di serotonina sia la causa sulla quale agire: essa potrebbe essere semplicemente una conseguenza di un problema che sta altrove, se non una semplice casualità. Recenti studi gettano dubbi addirittura sulla connessione lineare tra livello di serotonina e depressione, mettendo in discussione i dati prodotti e presentati dalle industrie farmaceutiche.
Anche ammettendo che gli SSRI possano talvolta ridurre in un primo momento i sintomi della depressione (in modo maggiore di una sostanza inerte, cioè di un placebo), è certo che essi non guariscono in maniera definitiva e che gli eventuali miglioramenti duraturi sono da accreditare ad altro. Se i farmaci riescono a controllare il riassorbimento della serotonina, ben poco si sa poi riguardo alla produzione, e quel poco che si sa non fa che complicare le cose: negli anni numerose ricerche hanno riscontrato nel cioccolato come in alcuni batteri presenti nella sporcizia fattori che sarebbero capaci di aumentarne la produzione.
L'utilizzo di SSRI ha inoltre sollevato altre questioni. Intanto essi spesso non sono in grado di equilibrare la situazione, ed agiscono piuttosto come un tampone provocando una sorta di dipendenza chiamata "sindrome da dismissione": una volta interrotta la somministrazione spesso si registrano ricadute o altre complicazioni, a dimostrare che gli SSRI non "aggiustano" la situazione e che i meccanismi di produzione della serotonina non sono modificabili in questo modo.
Allo stesso tempo si registra assuefazione: l'organismo dimostra una resistenza, diminuendo la produzione di serotonina in modo da contrastare il rallentamento del riassorbimento e da mantenere bassa la concentrazione, e l'efficacia dei farmaci tende a diminuire costringendo alcuni pazienti ad aumentare le dosi. L'organismo insomma tende a ribellarsi ed a "rifiutare" la serotonina in eccesso che i farmaci fanno accumulare, annullandone gradualmente l'effetto.
Esistono inoltre problemi di intossicazioni e sindromi dovute alla concentrazione eccessiva di serotonina, con conseguenze anche gravi, ed in realtà non esiste nemmeno un livello ottimale di serotonina a cui tendere.
Si procede insomma a tentoni, presentando come sicure ed efficaci sostanze che nella realtà manipolabile degli studi presentati dai produttori spesso galleggiano appena nel bilancio tra benefici ufficiali e controindicazioni. Al contrario i proclami dei media e dei produttori sono entusiastici e perentori, ma d'altra parte rispondono ad una logica commerciale che alcuni hanno comunque messo sotto accusa come informazione ingannevole [4]. Voci disinformate, o semplicemente tendenziose, che inquinano quell'informazione e quella consapevolezza che dovrebbero essere il vero campo di una battaglia di civiltà.
Comprendere il significato di disagio e dolore
Dolore e disagio non sono dispetti o capricci del corpo ma spie di situazioni deleterie che vanno corrette per tempo alla radice o non reiterate. La febbre ad esempio è, generalmente, l'aumento della temperatura attraverso il quale il corpo aumenta al massimo l'efficienza della risposta immunitaria invitando il soggetto a fare attenzione e a moderare gli sforzi. Il dolore ad un'articolazione è il segnale che è meglio ridurre per un periodo gli sforzi e la mobilità per dare all'arto la possibilità di guarigione senza peggiorare la situazione. Il dolore per un braccio fratturato, al contrario, è un invito a evitare di ripetere nel futuro il comportamento che ha portato alla riduzione dell'efficienza dell'organismo. E la depressione?
Tutto questo gran parlare di serotonina non fa che tenere lontane dal dibattito tutti quegli "agenti patogeni" che provocano in gran parte la depressione, sia che la si voglia considerare come malattia tout court (in ogni caso sarebbe corretto parlare di sindrome, insieme di sintomi) sia che si voglia rifiutare questa definizione negativa, utilizzata con troppa facilità.
In medicina, capita spesso che la prevenzione sia più lucrosa della cura. In psicologia è esattamente il contrario: ad avere un peso, e quindi voce in capitolo, è quasi soltanto la cura, sia essa vicina più alla psicoterapia o alla somministrazione di pillole. Un dibattito culturale sulle radici della depressione, addirittura, andrebbe contro l'intero sistema economico (e non solo) dominante.
Macchè serotonina! La società dell'isteria
Alla base di buona parte della depressione cronica contemporanea c'è sicuramente la frenesia, l'ansia, l'incertezza, l'estremo conformismo sostanziale e tutte quelle pratiche e quelle carenze che sono il sale di una società fondamentalmente isterica. Non stiamo parlando necessariamente di malattie da curare o da medicalizzare, con l'atteggiamento repressivo o semplicistico della psichiatria o moralistico di certa religione, ma di stati d'animo e d'essere che meriterebbero una riflessione proprio perché vanno ben oltre Prozac e serotonina e compongono la reale qualità della vita.
Bella e calzante la definizione data da Ascoltopsicologico.it [5]: «La personalità isterica si contraddistingue per l'immaturità e l'infantilismo. Si tratta di soggetti che, anche da adulti, non raggiungono un'indipendenza affettiva, sono volubili e capricciosi, si esprimono con teatralità. Gli isterici hanno una certa difficoltà a valutare la realtà, pretendono l'immediato soddisfacimento dei loro bisogni, sono facilmente distraibili e impressionabili». Impossibilitati a fermarsi, a esprimersi, diffidati dal riflettere o convinti ad affogarsi in isterismi collettivi, in un libero mercato delle alienazioni. Grandi consumatori e animali politici poco esigenti, sicuramente vittime ma colpevolmente inermi. Da questa condizione alla depressione, il passo è probabilmente breve e le nevrosi sempre più quotidiane, pur nell'abbondanza e nell'evoluzione tecnica estrema.
E' proprio questa connessione, più affascinante di tutte le dissertazioni maggiormente metafisiche su serotonina e neurotrasmettitori, che andrebbe riflettuta a dovere.
Specie oggi, che la "cura" (palliativa) si sta svelando, lentamente, come più dannosa della sindrome che si promette superficialmente di risolvere.
Andrea Franzoni (Mnz86)
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[1] http://www.sciencedaily.com/upi/index.php?feed=Science&article=UPI-1-20070504-11550000-bc-us-antidepressants-analysis.xml [2] http://www.giulemanidaibambini.org/articoliscientifici/glm_articoliscientifici_allegato_25.pdf [3] http://www.kwsalute.kataweb.it/Notizia/0,1044,3717,00.html [4] http://medicine.plosjournals.org/perlserv/?request=get-document&doi=10%2E1371%2Fjournal%2Epmed%2E0020392#N105 [5] http://www.ascoltopsicologico.it/site/articolo.asp?id_area=27&id_rubrica=87