Ogni giorno 20.000 persone muoiono di cancro nel mondo. Questo equivale a circa 8.000.000 di morti per cancro ogni anno. Mezzo milione di questi sono americani. Nel frattempo, sono più di un milione gli americani a cui viene diagnosticato un nuovo tumore ogni anno.
Da qualunque lato la si voglia guardare, la situazione è oggettivamente sconfortante.
Mentre la scienza in generale, e la medicina in particolare, hanno fatto passi da gigante negli ultimi 50 anni, la lotta contro il cancro è rimasta inspiegabilmente al palo: nonostante i miliardi di dollari investiti nella ricerca, con centinaia di laboratori superspecializzati che hanno perseguito le strade più diverse e impensabili, la causa della malattia rimane ancora sconosciuta, mentre i rimedi disponibili sono gli stessi che si usavano 50 anni fa: chirurgia, radioterapia e chemioterapia. La prima risolve solo una minoranza dei casi, mentre la seconda e la terza sono addirittura cancerogene loro stesse.
Nel frattempo, le statistiche sono peggiorate: mentre il cancro negli anni ‘50 era la seconda causa di morte in America, oggi è diventato la prima: attualmente un americano su quattro muore di cancro.
L’unico sollievo, statisticamente parlando, viene dalla prevenzione, che ha tratto grandi vantaggi ... ... sia dalle nuove tecnologie che da un profondo cambiamento nella mentalità sia dei medici che dei pazienti. Oggi la prevenzione fa letteralmente parte di qualunque moderno sistema sanitario. Evitare di gettarsi in mare però non significa aver imparato a nuotare, ed infatti due malati di cancro su tre muoiono entro 5 anni dalla diagnosi iniziale. Mentre il terzo non è certo uno che nuoti sereno per il resto dei suoi giorni.
Di fronte a questo quadro deprimente, viene naturale chiedersi perchè la medicina ufficiale si rifiuti sistematicamente di esplorare qualunque cura alternativa che risulti promettente, che si chiami bicarbonato o cartilagine di squalo, Essiac oppure Pau d’Arco. Per quanto di nessuno sia mai stata dimostrata l’efficacia contro il cancro, esiste almeno una dozzina di rimedi alternativi che hanno ottenuto un tale successo, a livello popolare, da rendere molto difficile sostenere che non abbiano alcuna efficacia contro la malattia.
La loro notorietà infatti può crescere solo attraverso il passaparola, e resta difficile immaginare persone che si mettano a decantare con il proprio vicino le proprietà curative di un rimedio che gli ha appena fatto morire la moglie sotto gli occhi. Uno potrà anche aver attribuito la guarigione al rimedio sbagliato, un altro potrà aver subito l’effetto placebo, un terzo potrà non aver mai avuto la malattia in primo luogo, ma quando i casi di guarigione entrano nell’ordine delle migliaia, sono le stesse scienze statistiche – oltre al buon senso - ad escludere che tali rimedi non abbiano attinenza con la guarigione.
Resta da capire in che percentuale siano efficaci, contro quali tumori lo siano, e soprattutto in base a quale meccanismo siano in grado di combatterli; ma un guarito che parla, cammina e ride tutti i giorni è molto diverso da una persona morta di cancro dieci anni prima.
Eppure, come dicevamo, non solo il rimedio naturale viene ignorato sistematicamente dalla medicina ufficiale, ma viene spesso snobbato e deriso, come se non potesse funzionare ”per principio”.
Tutto questo può sembrare assurdo, ma solo se si parte dal presupposto – cosa che quasi tutti, inconsciamente, facciamo – che la medicina ufficiale abbia come intento primario quello di curare il paziente.
Sia chiaro, ho detto “la medicina ufficiale”, e non “i medici”: costoro infatti sono, nella stragrande maggioranza, persone in assoluta buona fede, mosse da un chiaro istinto di generosità che li ha portati a scegliere quella professione in primo luogo. Quando parlo di medicina ufficiale mi riferisco al complesso scientifico-industriale, composto dalle autorità mediche (A.M.A., F.D.A., ecc.), dall’industria farmaceutica e da quella che supplisce la tecnologia all’apparato sanitario (macchinari per la radioterapia, per la diagnostica, per la ricerca, per le sale operatorie, ecc). All’interno di questo sistema il medico è una semplice pedina, per quanto importantissima, che appartiene ad un gioco mille volte più grande di lui.
Mentre il medico spesso si comporta davanti al paziente con grande autorità, arrivando spesso a metterlo a disagio per la sua “ignoranza”, quello che esce dalla sua bocca è semplicemente quello che gli è stato insegnato all’università, e di cui ora lui stesso si è fatto portavoce.
Naturalmente, il medico presume che all’università gli abbiano insegnato solo il meglio della conoscenza disponibile, e quindi non ha grossi problemi nel ripeterlo con i toni di autorevolezza e di saccenza che spesso gli riconosciamo. “Potrò al massimo risultare antipatico – pensa il medico che magari se ne accorge – ma di certo non mi sbaglio”.
Purtroppo invece la storia ci insegna che l’unica certezza su cui possa contare l’uomo è di non poter dare nulla per certo.
In questo senso, il medico appena laureato è assimilabile al prete che esca dal seminario, convinto che solamente il cristiano avrà accesso alle porte del paradiso, e che quindi tutti gli altri siano condannati alla sofferenza eterna.
Si chiama dogma, ed il termine viene applicato indipendentemente dal contenuto o dal soggetto interessati, poichè si riferisce ad una qualunque verità che sia stata assunta come tale senza un percorso individuale di verifica.
E’ dogma dire al bambino “questo non si fa e basta”, come è dogma dire al catecumeno che “Dio è uno è trino”. E’ dogma dire agli altri che “è stato bin Laden a buttare giù le Torri Gemelle”, come è dogma dire al laureando che “il cancro è causato da una riproduzione cellulare anomala dei tessuti”.
Ovviamente, con tutto quello che c’è da studiare all’università, il futuro medico non ha certo il tempo di fare anche le sue verifiche personali. Resta il fatto che lui assumerà quello che ha imparato per verità accertate, e le applicherà in seguito nell’esercizio della professione.
Va riconosciuto che rispetto ai dogmi di tipo religioso, quelli della medicina hanno il supporto della dimostrazione scientifica, e questo dovrebbe fornire un certo conforto al medico che si basa su di essi per curare i propri pazienti. Non dimentichiamo però che le scienze sono selettive – lo sono per necessità - e quindi possono dedicarsi soltanto ad analizzare ciò che scelgono di analizzare, senza poter escludere altre soluzioni concorrenti. E in ogni caso si tratta sempre di conferme limitate al test effettuato, mentre resta compito della mente umana inserire i risultati di quei test nel più ampio quadro della teoria a cui appartengono.
Se quindi il medico non ha avuto tempo di fare le sue verifiche durante gli studi universtari, nulla dovrebbe impedirgli di porsi certe domande una volta indossato il camice. “Posso essere certo che quello che mi hanno insegnato sia davvero nell’interesse primario del paziente?” “Posso fidarmi delle istituzioni che mi hanno formato, al punto da accettare dogmaticamente i loro insegnamenti?” “Sono certo che tali insegnamenti abbiano coperto l’intera gamma delle ipotesi, e non siano invece viziati da preconcetti che ne limitino le soluzioni terapeutiche?”
Perchè fino a quando si rimane all’interno del paradigma ufficiale, nel quale il cancro è causato da una disfunzione cellulare, è del tutto ridicolo mettersi a studiare rimedi di tipo naturale. Ma come è possibile distinguere fra causa ed effetto, quando ancora non si conosce il fattore scatenante?
E’ vero che a questo punto certi insegnamenti per il medico sono diventati convinzioni, ed è vero che sarebbe comunque molto difficile per lui – per ovvi motivi psicologici - riconoscere eventuali errori di fondo nella propria preparazione. Ma qui non si tratta di dare indicazioni stradali al primo che passa, dove al massimo, sbagliando, gli fai perdere un pò di tempo; qui si tratta di dire cosa fare e cosa non fare a gente che si ritrova condannata a morte quando spesso non ha nemmeno ancora iniziato a vivere.
Sarebbe quindi giusto che ogni medico, in qualunque punto della carriera si trovasse, si ponesse almeno una volta queste domande, con coraggio e con onestà, senza lasciarsi precludere eventuali risposte spiacevoli dal proprio bisogno di sicurezza acquisita. Non sarebbe giusto, infatti, mantenere la propria sicurezza professando ad altri certezze che non siano tali.
Qui naturalmente ciascuno troverà la sua risposta, e bisogna riconoscere ad ognuno il diritto di scegliere quella che ritiene più giusta, senza a nostra volta ammantarla di pregiudizio. L’importante è che il percorso di verifica sia sereno e profondamente onesto, nel nome e nel rispetto di tutti coloro che mettono letteralmente nelle mani del medico la propria vita.
A questo punto possiamo solo aggiungere una cosa: se per caso a qualcuno venisse il dubbio che la "verità imperante" possa essere stata in qualche modo condizionata da forze esterne, sopprattutto di tipo economico, non rischia certamente di aver detto una stupidaggine.
A domani la seconda parte (filmato in preparazione).
Massimo Mazzucco