Ieri Claudio Messora ha messo online il "Discorso della Rete 2014" di fine anno. Per raccogliere i contributi delle centinaia di utenti che hanno partecipato, Messora ha utilizzato una piattaforma di libero accesso chiamata
Etherpad. Per oltre una settimana gli utenti hanno lavorato ai contenuti, modificandoli e integrandoli in continuazione, finchè ne è uscito il discorso che potete ascoltare qui di seguito. Ecco come Messora lo ha presentato sul suo sito
Byoblu:
Questo discorso è stato scritto dagli utenti della Rete, in maniera collaborativa. Senza nessuna supervisione centrale. Rappresenta un esperimento di interazione libera e di democrazia informativa diretta. Io mi limito a leggerlo, come portavoce. Senza assumere nessuna posizione rispetto ai suoi contenuti. Simbolicamente, il “Discorso della Rete 2014″ rappresenta ciò che la Rete vuole dire agli italiani. Buon ascolto. Claudio Messora.
IL TESTO DEL MESSAGGIO:
Cittadini, Italiane e italiani, anche il 2014 si è concluso.
E’ con profonda cordialità che gli utenti della rete vi porgono i più vivi auguri di un buon anno nuovo, possibilmente migliore di quello precedente. Questo discorso di fine anno è in contrapposizione con quello di Re Giorgio I, per tutti quelli che non si sentono rappresentati da lui. Ci sarebbe tanto da dire ma, come avrete modo di ascoltare, ci sono alcuni temi sui quali è doveroso soffermarsi, come le politiche del lavoro, lo stato sociale, l’euro, i partiti, la democrazia e la deriva autoritaria del sistema economico-finanziario sovraordinato a tutto ciò che sta attentando alla nostra libertà. [...] Anche il 2014 è stato un anno negativo per noi cittadini: l’occupazione è ulteriormente crollata e l’economia non lascia intravedere segnali di ripresa. Le piccole e medie imprese (da sempre ricchezza per questo Paese), strozzate da una pressione fiscale eccessiva e dalla troppa burocrazia, non trovano più il credito necessario e chiudono. E con loro tanti posti di lavoro vengono a mancare. Tante piccole realtà famigliari o artigianali non riapriranno più e passeranno decenni prima che si possa rimettere in piedi un solido tessuto economico. Per cui ci aspettano anni ancora più duri.
Una delle cause principali di ciò è da ricercarsi nel modo in cui l’euro è stato usato dai paesi “forti”, a loro vantaggio, a discapito di quelli più deboli e sfruttando trattati internazionali criminali, firmati da politici incapaci e succubi, quando non addirittura provenienti da ambienti collusi con istituzioni economico-finanziarie ambigue e per nulla trasparenti. E sono questi stessi politici, incapaci e succubi, che si annunciano oggi come salvatori della patria e portatori di verità assolute. E grazie al controllo che esercitano sull’opinione pubblica, con la complicità dei media, continuano purtroppo a ricevere credito da una parte degli Italiani: quelli che preferiscono credere a verità preconfezionate e facili da accettare. Per esempio che con la libertà di licenziare aumenterà l’occupazione e di riflesso il benessere.
Malcom X, il famoso attivista statunitense a favore dei diritti umani (poi assassinato), diceva “Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone oppresse e amare quelle che opprimono”.
Oggi troppe nazioni sono governate da politici scelti dai “poteri forti” e dalle élite finanziarie, secondo logiche che non considerano il bene comune come un principio cardine ma che perseguono interessi di parte. Oggi in Italia troppi politici risultano essere servi della finanza e del vile danaro, anziché essere al servizio del popolo, quel popolo di cui sarebbe utile ricordare il grande contributo nella creazione di quella ricchezza e di quel benessere generale di cui abbiamo tutti in Italia a lungo goduto. In questo mondo capovolto, in cui i politici hanno di fatto svuotato di significato il valore elevato della politica, i veri eversori non sono coloro che combattono contro le ingiustizie e le storture di un sistema, non sono coloro che difendono ogni giorno la costituzione e la democrazia. I veri eversori sono coloro che coi fatti, con superbia, distruggono e calpestano, attraverso squallidi giochi di potere, lo stato sociale, la libertà, i diritti e la democrazia a vantaggio di pochi.
Tutti noi cittadini dovremmo difendere quella libertà che il popolo Italiano, non senza dolore, ha conquistato, impedendo così che il Governo possa prevaricare le altre istituzioni dello Stato, contro il dettato costituzionale, eludendolo o addirittura tradendolo grazie a un patto scellerato, siglato insieme a chi ha contribuito a rovinare questo paese.
Molti di noi hanno accettato condizioni che fino a qualche anno fa non avrebbero mai pensato di dover accettare. Altri hanno lasciato la propria casa e sono andati in cerca di fortuna all’estero mentre altri si ritrovano loro malgrado a vivere in condizioni di precarietà e povertà. Dopo aver accettato qualsiasi compromesso, dopo esserci abituati a qualunque condizione indegna, dobbiamo rialzare la testa, guardarci intorno e ricordare di non essere animali solitari ma una comunità e che insieme si può cambiare questa situazione. La libertà va conquistata e per quanto le sbarre di una gabbia possano essere spesse, con l’aiuto di tutti possiamo riuscire a tagliarle.
E allora ci sono cittadini che hanno deciso di provare a riconquistarla, questa libertà, facendosi parte attiva di quel cambiamento dal basso di cui molti fra noi avvertono il bisogno e l’urgenza. La strada maestra è segnata da parole guerriere come onestà, responsabilità, partecipazione e solidarietà. Questa strada porterà inevitabilmente a un cambiamento nel modo di intendere la democrazia, che riacquisterà il suo significato originario. Tutto ciò avverrà nonostante nei mass media, controllati dai poteri forti, questi cittadini vengano quotidianamente dileggiati, ridicolizzati ed accusati di eversione.
Viviamo in un Paese allo stesso tempo straordinario e complicato, e nonostante il trascorrere del tempo riusciamo ancora a mantenere vivo il nostro spirito ferito e agonizzante. Nel corso dei secoli abbiamo contribuito notevolmente all’evoluzione culturale della civiltà umana, attraverso l’estetica, l’arte, la letteratura, la poesia, la fisica e la musica. In soli trent’anni abbiamo trasformato un paese da rurale a moderno. Abbiamo inventato strumenti e cose che avrebbero migliorato la nostra condizione, togliendo tempo al lavoro per regalarlo al nostro spirito. Abbiamo scritto la nostra Costituzione, le nostre leggi ed eletto i nostri politici raggiungendo un equilibrio, per quanto discutibile, solido e stabile.
Oggi però le generazioni che nel tempo si sono assoggettate alla mera legge del più forte, economicamente parlando, devono compiere uno sforzo per liberare la società dalla schiavitù del precariato e preparare il terreno fertile di una nuova partecipazione democratica, condizione indispensabile per lo sviluppo di un nuovo tessuto generazionale nel segno di un’altra legge, la legge umana della collaborazione e della cooperazione. E queste nuove generazioni hanno anche il nobile compito di liberare la società dall’ossessione perversa e alienante del profitto realizzato a danno dell’uomo e dell’ambiente.
Se saremo capaci di fermare la degenerazione in corso, apriremo la porta della condivisione del meglio di ogni prodotto dell’intelletto umano e dell’automazione positiva. Tutto questo sarà possibile perché ogni processo naturale evolutivo si determina sotto l’influsso potente di una sacra inviolabile trinità: “informazione, consapevolezza, condivisione”. E in particolare questo processo evolutivo non si è mai fermato: sta solo combattendo una battaglia durissima contro le forze che tendono ad annientarlo.
E l’Europa? L’Europa dovrebbe essere la nostra “casa”, un luogo dominato dalla pace e dalla fratellanza. Invece si è trasformata in un lager gestito da burocrati al servizio delle banche e delle multinazionali, dove la volontà dei cittadini conta meno di zero. E’ necessario che i cittadini che ancora credono in questo sogno, lottino per renderla come era stata pensata da personaggi del calibro di Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi e impediscano con tutte le loro forze che si trasformi invece in quell’incubo immaginato da George Orwell nel romanzo 1984. Cioè un continente dominato da una dittatura totalitaria e in uno stato di guerra permanente con il resto del mondo.
Bisogna fare in modo che le parole “solidarietà” e “democrazia” entrino a pieno diritto nel vocabolario della politica europea, attraverso scelte compiute a vantaggio di quella parte della popolazione che è più povera e più bisognosa, così da accelerare la fine della cosiddetta “guerra tra poveri”, quella che agitano i telegiornali e che vede contrapposte persone molto diverse per etnia, religione, convinzioni politiche e ceto sociale, ma accomunate dal fatto di essere le vere vittime di un sistema che, se non fermato, ci porterà tutti all’autodistruzione.
I cittadini europei devono riacquistare la loro sovranità monetaria, attraverso la nazionalizzazione delle banche dei propri paesi e della BCE (la Banca Centrale Europea): il tutto nel completo rispetto delle proprie rispettive carte costituzionali. A questo proposito devono essere messi a disposizione di tutti i giusti strumenti di comprensione del mondo finanziario e del ricatto che esso perpetra a danno della volontà popolare.
Che l’unione europea fosse partita col piede sbagliato, d’altronde, lo si poteva intuire fin dall’inizio. Il suo obiettivo doveva essere quello di giungere all’integrazione politica europea. In particolare, di realizzare l’integrazione economica. In realtà ha portato alla svalutazione delle retribuzioni e alla perdita di molti dei diritti acquisiti dei lavoratori. E tutto questo non è stato deciso dai cittadini europei ma dalle élites finanziarie che periodicamente si ritrovano nei vari club dove si ratificano decisioni antidemocratiche, prese rigorosamente a porte chiuse e lontano dai riflettori dell’opinione pubblica.
L’unica risposta che il sistema produttivo tenta di dare alla crisi mondiale è quella di aumentare vertiginosamente i consumi, distruggendo ogni ricchezza prodotta e occupando aree sempre più vaste del territorio. Si tratta di fatto di una crisi endemica di un sistema ormai globalizzato, che provocherà, con l’aumento di consumo di risorse ambientali, una vera e propria catastrofe, senza risolvere il problema occupazionale e senza neppure contribuire a renderci più felici.
Tutto questo ci pone dunque di fronte a scelte importanti. Dobbiamo scegliere quale sia la strada giusta da percorrere. Dobbiamo scegliere se i valori su cui si basa la nostra società siano ancora adatti al modello di sviluppo per il mondo che vogliamo consegnare ai nostri figli. Non si può continuare a rimanere indifferenti, né davanti ai numeri impressionanti dei suicidi per motivi economici (oltre mille dall’inizio della crisi), né di fronte alla disoccupazione dilagante che obbliga molti italiani ad emigrare alla ricerca di un posto di lavoro in grado di far sopravvivere la propria famiglia. E tutto questo per compiacere un sistema economico-finanziario basato su un controvalore monetario letteralmente “inventato”, creato dal nulla, sulla base della decisione di pochi uomini che con un semplice click cambiano i destini di quasi 500 milioni di cittadini europei. Basti pensare all’attuale braccio di ferro sul Quantitative Easing, le operazioni di acquisto massicce dei titoli dei singoli stati membri, ovvero quell’immissione massiccia di liquidità voluta da Draghi ma osteggiata dalla Germania.
Per questo siamo costretti a chiedere con forza che l’Italia si riappropri della sua sovranità monetaria, il diritto di battere moneta, al fine di restituire aria fresca nei polmoni delle politiche sociali. E non certamente per spirito antieuropeo, ma per spezzare quella forma di strozzinaggio organizzato che viene praticato dalle banche, unite indissolubilmente ai grandi gruppi industriali.
Inoltre, essendo il debito pubblico italiano detenuto dalle famiglie in una misura molto ridotta (che si aggira intorno al 10%), non è così folle pensare di poter dichiarare la restante parte, quella in mano a soggetti privati, che realizzano profitti altissimi sulla pelle di un’economia che muore, come “detestabile”. E non pagarlo. O quanto meno non pagarne più gli interessi. Nella storia vi sono tanti esempi in merito, a cominciare dal Messico, da Cuba (con l’appoggio degli Stati Uniti), ma anche l’ex Unione Sovietica, la Francia, la Polonia, la Costarica, l’Etiopia… E recentemente l’Iraq, ancora una volta con l’appoggio degli Stati Uniti.
Insomma, cari concittadini, la Rete ce la sta mettendo tutta per attuare una rivoluzione pacifica nella politica, nell’economia e nel tessuto sociale in genere, per raggiungere il cuore del sistema nazionale e di quello Europeo, scardinandolo, azzerandolo, creando anticorpi che gli consentano di sopravvivere e difendersi. La Rete ce la sta mettendo tutta per crescere e portare avanti le proprie battaglie democratiche, contro un nemico che si nutre anche di corruzione.
E allora occorre che noi italiani ci riprendiamo coi denti e con le unghie la nostra identità, fatta di creatività, voglia di vivere e di costruire; che ci riappropriamo di quei valori che ci hanno tramandato le generazioni passate e che sono i nostri punti di forza. Quelle qualità ci hanno permesso di ricostruire una nazione nel dopo guerra, fino a farci arrivare in poco più di un ventennio ad essere una nazione prospera e in ascesa. E occorre smettere di credere a una propaganda disfattista che ci vede come il fanalino di coda dell’Europa. Occorre investire sulla cultura, sull’istruzione e preparare una nuova generazione ad accogliere queste sfide. Occorrono politiche a sostegno delle nuove imprese costruite da giovani, perché i cervelli in Italia ci sono e le idee ci sono, basta soltanto dargli spazio, incentivi e sostegno invece che continuare a creare difficoltà di tale portata che dopo il primo anno, la maggior parte delle nuove aziende chiude per sfinimento. Occorre guardarsi in faccia e riconoscersi come un popolo di onesti e geniali lavoratori che deve ritrovare, in una sorta di rinascimento politico-economico, il suo sviluppo basato sulla cooperazione tra gli individui.
C’era un tempo in cui un imprenditore conosceva nel dettaglio il ciclo della produzione aziendale e partecipava concretamente alla realizzazione dei prodotti. Questo gli permetteva di valutare meglio il personale alle sue dipendenze. Dal canto suo il lavoratore condivideva le sorti della azienda ed apprezzava l’abilità – e non la voracità – del suo datore di lavoro. Sulla base di questo reciproco riconoscimento tutti erano orgogliosi di mandare avanti un progetto, ognuno con il proprio indispensabile apporto. Oggi invece le fabbriche sono gestite da manager che non sono tenuti a conoscere ciò che si produce né come si produce. Devono solo far quadrare i conti, soprattutto quelli delle loro tasche. Sarebbe allora questo il tempo di tornare a guardarsi in faccia e tentare un salto evolutivo nei rapporti tra i produttori. Sarebbe questo il momento di riscoprire il nostro obiettivo comune: rimettere in piedi l’Italia e dare così un senso alle nostre vite. E non lo possono fare i politici, perché nel contesto istituzionale attuale, sono semplici servi della gleba. La rete invece offre questa grande opportunità: creare connessioni veloci, nuove sinergie produttive tra persone che prima non si sarebbero mai neppure incontrate.
In conclusione, il nostro più grande auspicio è che quanti più italiani possano essere raggiunti da queste parole; che quanti più nostri amici, familiari, concittadini possano aprire gli occhi e divenire così veramente consapevoli di se stessi e dei loro obiettivi, ovvero riconquistare la sovranità monetaria, intellettuale, alimentare, energetica e territoriale. Ovvero la libertà da quelle catene che oggi ci strangolano e non ci permettono di guardare al futuro nello stesso modo in cui facevano i nostri padri e i nostri nonni.
La Rete vorrebbe anche che a leggere in televisione il discorso di fine anno 2015 fosse il giudice Ferdinando Imposimato, membro onorario della Suprema Corte di Cassazione e strenuo difensore della Costituzione Italiana. Un uomo che da tempo denuncia come dietro alle stragi di Stato ci fossero proprio quei gruppi di potere economico-finanziari che hanno determinato la nostra condizione attuale. Migliaia di firme sono già state raccolte a sostegno della sua nomina a Presidente della Repubblica. E ascoltando queste sue semplici parole, se ne può comprendere il motivo:
“La politica è ancora condizionata da chi ha il peso maggiore di questa crisi e tenta riforme eversive della Costituzione. La maggioranza, anziché pensare al bene comune, difende i privilegi di pochi, garantendo, con leggi fasciste del 1930, l’impunità di corrotti e corruttori, criminalizzando chi difende la vita e l’ambiente.”
Insomma, caro cittadino che ci stai ascoltando, non dimenticarti che l’Italia ce l’ha sempre fatta, anche in situazioni ben più gravi di quelle viviamo oggi. Quindi abbi coraggio, conserva la tua capacità di indignarti e mantieni inalterata la tua fiducia. La vita di questi tempi è difficile, lo sappiamo bene. E’ difficile restare a galla ma non bisogna mai scoraggiarsi. Spesso si definiscono impossibili le cose di cui non conosciamo ancora la soluzione, che tuttavia potrebbe esserci ed essere a portata di mano. Oggi il mondo si divide in chi non fa nulla per cambiare questo sistema di cose, e in chi invece cerca di fare tutto il possibile. Tu da che parte scegli di stare?
Hai paura? Abbiamo tutti paura: in fondo non siamo altro che esseri umani. Spesso ci sentiamo soli. Per questo, la cosa forse più bella al mondo è sentire qualcuno che ti dica: “Non sei solo: ci sono io con te. Forza, andiamo, che possiamo farcela”. Sembra poco, ma queste poche semplici parole hanno in sé la forza di motivare milioni di persone a continuare a impegnarsi, senza mai arrendersi.
E dunque: “Non siamo soli. Andiamo, che possiamo farcela!”.
Fonte
Byoblu.