di Giorgio Mattiuzzo
Quando si affrontano certi temi in una pubblica discussione, si possono notare alcuni meccanismi entrare in azione. Ad esempio la pubblicazione di un libro sulla lobby filo-israeliana negli Usa [1] ha suscitato enormi polemiche sia in patria che all'estero; ma non tanto sui contenuti, quanto sul fatto che si parlasse di una lobby filo-israeliana. Tuttavia, mentre vi è una sorta di censura morale verso qualsiasi accenno alla lobby filo-israeliana, è sufficiente andare sul sito ufficiale della lobby sionista degli Stati Uniti per apprendere che la politica in Medio Oriente di Washington è pesantemente influenzata dalle pressioni filosioniste [2].
Per rimanere all'Italia uno dei tabù che affliggono l'opinione pubblica è quello della presenza e dell'influenza della Massoneria nella storia d'Italia. Come per la lobby filoisraeliana, anche per quanto riguarda la Massoneria, mentre normalmente non è accettabile insinuare che essa abbia giocato un ruolo fondamentale nella formazione e nello sviluppo dell'Italia post-unitaria e repubblicana, contemporaneamente è la Massoneria stessa che dichiara con orgoglio e senza titubanza alcuna di essere stata parte attiva e promotrice della politica italiana da prima dell'Unità in poi.
Quest'anno ricorre il bicentenario della nascita di Garibaldi e la Massoneria italiana sta dedicando all'eroe dei due Mondi grandi celebrazioni e commemorazioni. Di tale portata è la figura del generale per i liberi muratori che, per comprenderla, sarà necessario ricorrere alle parole di Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia. In un suo recente scritto [3] Raffi delinea – documenti alla mano – la stretta unione tra Garibaldi e la Massoneria.
“L'adesione alla Massoneria fu per Garibaldi non certo un episodio casuale ed effimero ... ... ma un scelta meditata e vincolante, che egli maturò a metà della sua esistenza e mantenne in modo consapevole fino alla morte. [...] La Massoneria fu per Garibaldi, specie dopo il 1860 [4], un luogo di aggregazione e uno strumento organizzativo del quale cercò a più riprese di avvalersi per realizzare i propri progetti politici e culturali. [...] E la Massoneria a sua volta – vale la pena sottolinearlo – utilizzò Garibaldi, sia prima che dopo la sua morte, come testimonial e come veicolo di propaganda dei propri ideali.”
Sembrerebbe di capire che il rapporto fosse quello di una specie di
do ut des tra Garibaldi e la Massoneria, un rapporto basato su reciproci, ma distinti, interessi. Tuttavia ci spiega Raffi che Garibaldi, dopo aver avuto contatti con le Logge di mezzo mondo, nel giugno 1860, dopo aver conquistato Palermo al Piemonte (o all'Italia, come dir si voglia) il nostro “venne elevato al grado di Maestro Massone” e due anni dopo “il Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico ed Accettato [...] gli affidò il titolo di Gran Maestro”, mentre “il Grande Oriente Italiano [...] conferì a Garibaldi soltanto il titolo onorifico di 'primo Libero Muratore Italiano'”. Sempre nel 1862 e sempre in Sicilia Garibaldi “presenziò all'iniziazione di suo figlio Menotti (il 1 luglio) e firmò egli stesso (il 3 luglio) la proposta di affiliazione dell'intero suo stato maggiore”.
Nel 1867, dopo aver ascoltato l'appello di Garibaldi all'unità massonica ed aver dichiarato di ritenere i massoni “eletta porzione del popolo italiano”, la Costituente Massonica di Napoli lo eleggerà Gran Maestro Onorario del Grande Oriente d'Italia.
Spiegata insomma la evidente unità di intenti tra il Gran Maestro Garibaldi e la Massoneria, Raffi pone l'accento sull'opera che la Massoneria ha messo in atto dopo la morte di Garibaldi.
“Quando Garibaldi morì la Massoneria fu tra le forze politiche e sociali italiane quella che più di altre si incaricò di conservarne la memoria e di alimentarne il mito. Specialmente negli anni di Crispi, intorno alla figura di Garibaldi si cercò di costruire una religione civile imperniata sul mito laico del Risorgimento”.
La figura di Garibaldi venna fatta divenire eroe e mito grazie al lavoro della Massoneria e Raffi, che di certo non usa le parole a caso, parla di “mito laico” e di “religione civile”.
Il 20 settembre 2007, in occasione dell'anniversario della presa di Roma e della caduta del Papa Re, il Gran Maestro Raffi si è rivolto ai fratelli massoni con quella che si definisce allocuzione, cioè un discorso ufficiale tenuto in momenti particolari della vita associativa della Massoneria [5]. Il fulcro del discorso gravita attorno alla figura di Garibaldi, e Raffi non si stanca di cantarne le lodi.
“Mito vivente. Mito vivente di un Paese che rischia la deriva. Abbiam parlato di Garibaldi mito fondante del Risorgimento; io vado oltre. E' stato sicuramente ed è il grande interprete del vento della libertà che quando soffia, soffia sul serio. [...] Un uomo chiaro, che aveva idee chiare, un massone vero, un massone vero. Che aveva anche attribuito alla Massoneria un compito – e attenti, è importante quello che sto per dire.
La massoneria doveva essere il momento di incontro tra i litigiosi democratici che anche allora esistevano. Doveva essere una forma di sintesi, un percorso metodico di apprendere l'arte della politica. Lui parlava – il termine è quello dell'epoca – di fascio dei democratici, non separati, non eternamente conflittuali, con un grande progetto. [...]
Garibaldi torna ad essere vivo e insieme a Garibaldi, mito fondante della Repubblica, mito fondante del Risorgimento, o del Risorgimento stesso come mito fondante della Repubblica, della Nazione italiana, farà sì che i separatismi vengano visti con sorriso e si guardi oltre. [...]”
Ma tutto questo parlare di Garibaldi non è fine a sé stesso, non è mera speculazione storiografica e non è un vuoto elogio della Massoneria. Il discorso di Raffi vuole arrivare a parlare di due punti precisi. Il primo è la scuola pubblica.
“Pensiamo che è opportuno, importante educarsi al valore della libertà, al valore della democrazia. Quindi andiamo a rivisitare queste scuole, queste scuole disastrate dove l'educazione civica non si insegna, dove in fondo si pensa che educare un essere umano a diventare cittadino sia un perdita di tempo... meglio l'ora di religione. Ma io dico che c'è un'altra religione! C'è la religione civile! La religione degli italiani! La religione dei cittadini! [...]
Le chiese si occupino dello spirito, i cittadini vivano la loro religione nella sfera privata, non sia un momento di rottura, sia un momento di amore, perché non ci può essere un dio che vince e un dio che perde. E in uno Stato democratico è sufficiente affermare il principio della libertà religiosa.
In tutti questi anni il problema è stato sottovalutato. Ognuno ha cercato di trovare la sua nicchia, ha cercato la cosiddetta scuola libera, per dare spazio all'indottrinamento anziché alla cultura.”
Raffi manifesta grande preoccupazione per le sorti dell'Italia. E teme la reazione degli italiani di fronte alla crisi della politica che sta attraversando il Paese. E' chiaro il riferimento alle manifestazioni dell'8 settembre scorso nelle piazze di tutta Italia.
“Perché viviamo un momento di disaffezione nei confronti delle Istituzioni. Gli italiani si divertono nelle piazze a veder linciare i nostri rappresentanti. E questo è inquietante. E' inquietante.
Quando si arriva alla suburra del pensiero, quando si aizzano le masse, si sa come si parte ma non si sa come si approda e in Italia qualche esempio l'abbiamo avuto nel passato. [...]
Io temo le derive populiste, quelle – come dicevo – che si sa dove si parte ma non si finisce mai di sapere dove si arriverà. E allora pochi grilli parlanti e tanti cervelli pensanti.”
Secondo Raffi la soluzione non arriva dalla piazza:
“I partiti sono il sale della democrazia. Ora il problema è non lasciarli soli, tornino i cittadini ad essere tali, tornino i cittadini a discutere i problemi della Repubblica, tornino i circoli a fare proposte, tornino gli uomini a occuparsi di politica, rivendicando il diritto alla preferenza, rivendicando nei confronti delle segreterie che monopolizzano i consensi, che ti rifilano chi vogliono “Noi siamo i cittadini, noi abbiamo il diritto di scegliere”. Questa è la battaglia!”
Le parole di Raffi sono pesanti, per chi le sa o le vuole leggere nella giusta prospettiva. Secondo Raffi il Risorgimento ed i suoi simboli, come Garibaldi (che forse è il simbolo più puro del Risorgimento) è un mito di fondazione. Raffi è uomo colto e certo non usa a caso questa parola. Il mito di fondazione è una tradizione antica che la nostra cultura conosce bene. Un buon esempio di mito di fondazione è la leggenda di Romolo e Remo. In breve, il mito di fondazione è un racconto che, attraverso il simbolismo, racconta la storia di una città, o di un culto, o di una famiglia nobiliare adottando il registro della religione (non dimentichiamo che il mito è religione) [6].
Raffi quindi sta affermando che il Risorgimento non è da ascriversi agli eventi della storia, ma a quelli della religione, nei quali si crede e sui quali non ci si interroga. Anzi, mettere in dubbio la loro validità equivale ad un pensiero empio, immorale e da condannare. Se volessimo usare toni meno sofisiticati – ma altrettanto corretti – diremmo che Raffi sta ammettendo che il Risorgimento è un racconto di fantasia che serve a creare consenso tra la popolazione, e che per questo al Risorgimento bisogna credere come gli antichi credevano alla leggenda di Romolo e Remo.
Un secondo nodo scoperto toccato dal Gran Maestro è quello della scuola e del rapporto con la Chiesa. Da un lato Raffi si lancia nei consueti attacchi all'invadenza della Chiesa, o delle chiese, nella sfera pubblica e soprattutto nella scuola; da un lato chiede che la fede sia un atto privato da relegare alla coscienza del singolo; dall'altro invece chiede a gran voce che alla scuola dell'obbligo si insegni la religione civile, che si insegnino i miti fondanti creati dalla Massoneria, che insomma si scaccino le altre religioni per far posto alla religione di Raffi.
Terzo punto del discorso: la partecipazione democratica. Il Gran Maestro non ha gradito le manifestazioni di piazza dell'8 settembre. Le definisce sprezzantemente “suburra del pensiero”. Non gradisce le grida e gli schiamazzi del popolino. Secondo Raffi l'unica cosa da fare è andare alle segreterie dei partiti e chiedere di poter esercitare un misterioso “diritto alla preferenza”, cioè di chiedere ai partiti, gentilemente e senza alzare la voce, di avere una non meglio definita possibilità di scelta.
Insomma, dietro alle grandi dichiarazioni di uguaglianza e libertà, il più alto esponente della Massoneria italiana ci dice che la storia d'Italia è una favola [7], un credo religioso che va insegnato nelle scuole sotto forma di educazione civica. E che la libertà della democrazia consiste nel chiedere alle segreterie di partito la possibilità di essere rappresentati da chi vogliono i cittadini.
Il discorso del Gran Maestro Raffi si è aperto con queste parole:
“Stiamo vincendo la sfida.”
Quale sfida? Pensiamoci, quando mandiamo i nostri figlia scuola e quando andiamo a votare.
Giorgio Mattiuzzo
Note:
1. J. Mearshimer, S. Walt,
The Israel Lobby and U.S. Foreign Policy, New York 2007. Edito in Italia con il titolo
La Israel lobby e la politica estera americana, Milano 2007. Il libro nasce da un “working paper” pubblicato dall'Università di Harvard: J. Mearshimer, S. Walt,
The Israel Lobby, RWP06-011, 13/03/2006 (
cliccare qui per scaricare il pdf).
2. Dal
sito ufficiale dell'Aipac:
Per più di mezzo secolo, lo American Israel Public Affairs Committee
ha lavorato per rendere Israele più sicura, ottenendo che il supporto dell'America rimanesse forte. Da piccola boutique negli anni '50, l'Aipac è cresciuta ed è divenuta un movimento radicato in tutta la Nazione, forte di 100.000 membri e descritto dal New York Times come “la più importante organizzazione che influisce nelle relazioni dell'America con Israele”.
3. G. Raffi,
Garibaldi Massone, Hiram – Rivista del Grande Oriente d'Italia, n.1/2007, pp. 3-8 (
cliccare qui per scaricare il pdf)
4. Cioè dopo l'impresa dei Mille e l'unità d'Italia.
5. L'allocuzione è visibile per chi ha una connessione veloce dal sito web del Grande Oriente d'Italia, www.grandeoriente.it (
cliccare qui per vedere il filmato)
6. Per una breve disamina del mito di fondazione, cfr.
l'omonima voce di Wikipedia.
7. Favola nel senso che Papa Leone X attribuì alla storia di Gesù di Nazareth:
Quantum nobis prodest haec fabula Christi.