di Paolo De Gregorio
Sento sempre abbaiare sul ruolo dell’Europa, in termini che ricordano più rozze tifoserie piuttosto che una analisi seria, impermeabile sia agli schieramenti che alle convenienze politiche.
Una cosa è certa, la crisi strutturale dell’Italia è maturata all’interno dell’Europa, dell’Euro, della globalizzazione, della WTO, ed è una crisi da cui non si vede una via d’uscita: aumenta il nostro debito che ci costa 90 miliardi di euro l’anno di interessi, aumenta la disoccupazione, aumentano le vendite all’estero dei pezzi pregiati dell’economia e del made in Italy, aumentano gli imprenditori che delocalizzano dove pagano meno tasse e meno salari, per cui mi sembrano folli tutti coloro che fanno professione di ottimismo e vedono luce in fondo al tunnel. Mi fanno pure una sgradevole impressione quelli che urlano che basterebbe uscire dall’Europa e dall’Euro per sistemare ogni cosa.
Una cosa su cui tutti potremmo convenire è che gli Stati Uniti d’Europa non sono mai nati, per volontà di USA, Regno Unito e Israele, ... ... che immaginavano già un forte concorrente capace di concentrare capitali e cervelli in istituti comunitari di ricerca scientifica, di unificare leggi, regolamenti, costi del lavoro, di avere un esercito comune che rendesse superflue le basi americane e quelle della Nato, facendo vedere ben presto questa nuova potenza economica e politica, indipendente, esercitare una influenza di PACE verso la Russia, il Mediterraneo, il Medioriente.
Tutto questo non è successo. L’Europa è un nano politico, i paesi più forti hanno approfittato della crisi dei più deboli comprando a prezzi di saldo i pezzi pregiati e continuando a intascare gli interessi sul debito di Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia, senza decidere nulla sulla messa in comune del debito con gli euro bond. Spendiamo cifre enormi al seguito delle avventure militari USA, compriamo i loro bombardieri al posto degli Eurofighlter europei, ci facciamo dettare l’agenda economica dalla Banca Centrale Europea, per cui le decisioni politiche in Italia non contano nulla.
L’eventuale uscita dell’Italia da questo aborto di Europa e dall’Euro dovrebbe essere accompagnata per prima cosa da una rinegoziazione del colossale debito, dall’uscita dalla WTO, dalla protezione con dazi su tutte quelle merci che possono essere prodotte in Italia, per garantirci in pochi anni autosufficienza alimentare ed energetica con le rinnovabili con milioni di nuovi posti di lavoro, valorizzando il nostro patrimonio artistico, ambientale, unico al mondo oggi lasciato alla incuria, come Pompei, risanando di quei territori inquinati a morte dai convergenti interessi di industriali del Nord e camorristi.
E’ una pia illusione quella di pensare di sopravvivere come nazione manifatturiera all’interno di una globalizzazione che ha già decretato quali sono i vincitori e i vinti. Ormai il lavoro va dove costa meno e se ci sembra una follia che a Prato i cinesi schiavizzino i loro connazionali a un euro l’ora, dobbiamo registrare il fatto che presto si sposteranno in Bangladesh dove si lavora per un euro al giorno.
La globalizzazione premia solo chi possiede grandi banche d’affari internazionali, chi ha grandi multinazionali, chi possiede materie prime, chi ha milioni di lavoratori (schiavi) a basso costo, e chi protegge queste situazioni con potenti eserciti pronti ad intervenire su qualsiasi scenario.L’Italia in questo scenario non ha alcuna possibilità a meno che l’Europa non diventi un’altra cosa, ma di ciò non si vede neanche l’ombra.
E’ giusto parlarne, ma finchè non verrà fuori che la ripresa è una chimera e che le valutazioni di questa classe politica sono basate su frottole e invenzioni, il tempo del cambiamento non sarà maturo, ma non bisogna lasciare alla Lega Nord e alla destra l’esclusiva di questo discorso perché potrebbe rivelarsi un grave errore storico.
E’ evidente che una svolta nel senso del ritorno alla lira ha bisogno della emersione di una classe dirigente nuova, credibile, di una Banca nazionale senza fini di lucro che appoggi una profonda riconversione energetica e agricola, di Università che creino competenza e ricerca a favore dei settori economici nuovi.
Paolo De Gregorio
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