[Segue articolo del Los Angeles Times: le elezioni italiane viste da fuori].
Nel periodo che portava alle recenti elezioni, più di una persona mi ha scritto invitandomi a “fare qualcosa di concreto” per cercare di impedire che la folla beota di italiani tornasse a votare le stesse persone che ci hanno preso palesemente in giro fino a ieri.
C’era chi suggeriva di “allearsi con Beppe Grillo”, chi di “lanciare una campagna per la democrazia diretta”, chi ancora di “tempestare sistematicamente giornali e TV con lettere di protesta”.
Vista però la situazione attuale, ho scelto di limitarmi ai “soliti” articoli contro il voto, nei quali si cercava di spiegare in ogni modo possible perchè la prima cosa da fare, prima di tornare ad aprir bocca per lamentarsi, sia quella di smettere di votare le stesse persone che ci hanno portato al disastro in cui ci troviamo oggi. (Sembrerebbe un assioma fuori discussione, invece non solo è necessario argomentarlo, ma si fatica persino a mostrarne l’ovvietà intrinseca).
Qualunque altra scelta sarebbe stata velleitaria e inutile (se non ridicola del tutto), in quanto luogocomune non aveva semplicemente la forza di fare nulla di più di ciò che ha fatto.
Questo però non significa che una cosa del genere non possa avvenire in un futuro non lontano. Non dimentichiamo infatti che nel 2006 siamo stati in grado di portare, nell’arco di pochi mesi, ... ... la questione 11 settembre dall’anonimato più assoluto fino alla ribalta dei media nazionali. Lo abbiamo potuto fare grazie ad una convergenza di situazioni favorevoli (dalla “discesa in campo” di Giulietto Chiesa, alla disponibilità di un film come Inganno Globale, alla maturazione del lavoro compiuto globalmente dal 9/11 Truth Movement), che indicavano chiaramente come fosse giunto il momento per tentare uno sforzo di quel tipo. Tre mesi prima nessuno osava nemmeno pensarci, tre mesi dopo era addirittura diventato superfluo parlarne.
La stessa cosa avverrà riguardo alla questione politica, quando verrà il momento giusto per affrontarla: quello che oggi ci appare impossibile, può tranquillamente avvenire un domani non lontano, nel momento in cui vengano a convergere alcune delle mille variabili che sono in gioco. Non possiamo sapere quali saranno, ma dovremo farci trovare pronti in ogni caso, come lo siamo stati nell’estate del 2006.
L’invito quindi è per ciascuno di noi a non demordere, cercando di sensibilizzare chi ci sta attorno sulla responsabilità effettiva che comporta l’aver votato nuovamente le stesse persone (chiunque sia ad andare effettivamente al governo). Attenzione però: non si tratta di fare processi personali, o di colpevolizzare i singoli individui – qui sul sito come nel nostro ambiente quotidiano - ed è necessario rispettare profondamente le motivazioni di chi ha scelto comunque di votare (ben pochi infatti lo hanno fatto a mente serena). E’ casomai sviscerando quelle motivazioni, e sensibilizzando la persona sugli aspetti negativi di quella scelta, che si può fare qualcosa di utile per il nostro futuro.
Dopotutto, ci sono voluti decenni per condizionare gli italiani a votare come pecoroni, e non si può certo sperare di richiamarli alle proprie responsabilità con un paio di discussioni davanti al caffè del bar sotto casa. Ma gli indicatori ci sono (la flessione del voto è stata notevole), e dicono chiaramente che la direzione è quella giusta: nessun ritorno a una condizione vivibile di questo paese sarà possibile, senza che prima la casta non venga cacciata a furor di popolo dai centri di potere (non parlo di “rivoluzioni violente”, ovviamente, ma di presa di coscienza collettiva). Teniamo quindi presente che è sempre e soltanto l’informazione l’arma primaria che porta verso quella presa di coscienza, e che la diffusione di un certo tipo di informazione dipende esclusivamente dall’impegno di ciascuno di noi nel portare più gente possibile all’uso della rete, togliendola dal giogo perverso del televisore.
Il resto, con i dovuti tempi, verrà da solo.
Massimo Mazzucco
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Forse può essere utile conservare, a futura memoria, questo articolo del Los Angeles Times del 13 Aprile scorso.
In Italia il reato paga, e ti può portare in parlamento
Tracy Wilkinson, Los Angeles Times, April 13, 2008
Quando voteranno in questo weekend, gli italiani potranno scegliere fra una vasta gamma di condannati, oppure la solita ballerina a go-go della TV. Per non parlare di amici personali, parenti e in un caso anche del massaggiatore personale dei leader di partito che mettono insieme i loro possibili governi.
I reati in questo paese non ti impediscono di candidarti, né sembra necessario avere delle qualifiche effettive per farlo.
La campagna elettorale per eleggere il sessantaduesimo governo in 63 anni ha messo in luce la lunga lista di problemi irrisolti che penalizzano il paese, impediscono importanti cambiamenti, e sminuiscono quella che una volta era una favolosa icona culturale.
Uno splendido paese romantico, fatto di panorami di ulivi e di antiche piazze di ciottolato, noto per il suo cibo, la sua moda e la bella apparenza, l’Italia è oggi un paese pervaso dalla corruzione, dalla crisi economica, dalla stanchezza politica e dall’impunità rampante, con un livello di vita che sta declinando rapidamente. L’inflazione è fra le più alte dell’Europa occidentale, la crescita economica la più bassa. Quantità sempre maggiori di persone denunciano di non essersi mai sentite così povere.
Lavorare in Italia è un’esperienza torbida e frustrante, a meno di appartenere alla Mafia, l’industria numero uno oggi in Italia, che secondo la Confindustria rappresenta il 7% del prodotto nazionale lordo.
Il sistema giudiziario non funziona quasi mai. Le cause possono languire non per anni, ma per decenni. I parlamentari italiani sono i più pagati di tutta Europa, ma secondo molta gente sono i meno efficaci, una elite intenta a replicare se stessa, che sembra diabolicamente intenzionata a portare a fondo il paese insieme a loro.
Con la sua tradizione politica bizantina e decadente, l’Italia è giunta a un punto di non ritorno - ha detto il sociologo Luca Ricolfi, autore della critica intitolata “L’arte del non governo”.
Impossibilità di attribuire responsabilità taglia alla radice ogni intento di dovere civico. E nessuno può illudersi che delle elezioni politiche possano cambiare le cose dall’oggi al domani.
L’uomo che in questo momento è in testa agli exit-poll, Silvio Berlusconi, è un chiassoso industriale miliardario che a 71 anni sta per diventare primo ministro per la terza volta. Per quanto abbia introdotto una certa stabilità, è accusato da più parti di governare allo scopo di arricchire se stesso, il suo impero mediatico e i suoi compari.
Berlusconi guida una lista che include il suo massaggiatore e un fascista irriducibile, come molte donne di centro destra che Berlusconi ha definito la settimana scorsa “sicuramente più carine” di quelle di sinistra. Fra di loro c’è anche una voluttuosa ballerina che normalmente appare in abiti succinti sulle sue reti nazionali.
Il suo maggiore antagonista è Walter Veltroni, popolare sindaco di Roma ed ex-comunista che ha cercato di riproporsi come fonte di cambiamento, nonostante i decenni passati in politica. Veltroni è alla guida di un raggruppamento informale della notoriamente frastagliata coalizione dei partiti di sinistra e di centro sinistra.
L’entusiasmo fra gli elettori è penosamente basso. Gli ascolti televisivi dei recenti interventi di Berlusconi e Veltroni sono stati frantumati dall’ennesima riedizione di un poliziesco italiano.
Gli italiani hanno assistito al naufragio di un governo dopo l’altro: dal disperato e maldestro tentativo di vendere la compagnia aerea nazionale, alla crisi della spazzatura alimentata dalla Mafia, che ha sepolto il sud e rovinato le riserve della famosa mozzarella locale, alla prematura caduta del governo uscente dovuta ad un singolo politico rimasto impigliato in faccende di corruzione dopo l’arresto della moglie.
Gli italiani si arrabbiano per questa situazione, ma la rabbia non porta automaticamente al cambiamento. Vi sono molti motivi per questo, compreso l’importanza che si dà alla priorità regionali rispetto alla coscienza nazionale, la fiducia cieca nella famiglia soltanto, ma non nelle autorità, il ruolo palliativo dell’ancora imperante Chiesa cattolica. Nonostante tutte le lamentele, gli italiani fino poco tempo fa non se la passavano nemmeno tanto male.
La reazione è quindi di rassegnazione, apatia e impotenza. Gli elettori italiani sentono di non aver una vera scelta e sanno che il governo non porterà loro alcun beneficio, e questo allontana molti di loro da un ruolo attivo nella democrazia. Una classe dominante corrotta, con chiari interessi nel mantenimento dello status quo, blocca ogni riforma effettiva.
“Questo è un sistema che sfrutta gli italiani, che succhia le migliori energie del paese, che impedisce alla meritocrazia di crescere, e obbliga chiunque ad adattarsi alle regole del gioco - dice Alexander Stille, un accademico specializzato in questioni italiane - l’Italia è sempre stato un paese in cui la gente pensa che a meno di frodare o infrangere le regole il destino è contro di te”.
Lo scorso anno, un libro per la prima volta ha messo nero su bianco la corruzione ufficiale a lungo nascosta. "La Casta" è divenuto un bestseller ed ha aperto un dibattito che ha coinvolto la nazione per mesi. Il termine casta è diventato parte del lessico nazionale ed è ora utilizzato universalmente per descrivere una elite politica indolente e straviziata.
Tra le esasperanti rivelazioni del libro:
- i membri del Parlamento italiano lo scorso anno hanno intascato i più alti stipendi in Europa (di oltre il 50% superiori a quelli dei loro colleghi britannici, tedeschi e francesi).
- il Parlamento italiano costa più di qualunque altro in Europa - 10 volte più di quello spagnolo. Nella scorsa legislatura, 16 legislatori hanno ricevuto condanne (e sono rimasti al loro posto) e un'altra decina avevano processi in corso.
- "E' impossibile cambiare la situazione finchè le persone sono le stesse" afferma Sergio Rizzo, un giornalista e coautore di "La Casta" col collega Gian Antonio Stella. Sull'onda del malcontento, l'irriverente comico Beppe Grillo ha tenuto enormi raduni lungo il paese, raccogliendo centinaia di migliaia di firme per chiedere un limite di due legislature per i parlamentari e l'espulsione dei condannati dal loro posto. Ha evitato i tradizionali media televisivi e la stampa (sostiene siano controllati da interessi particolari) ed ha utilizzato Internet e la parola verbale per rivolgersi in particolare ai giovani. Oggi Grillo è parte di un vero movimento, e schiera anche candidati locali.
Gli italiani hanno tollerato il loro rancido sistema politico, [Grillo] afferma, essenzialmente come dei sonnambuli.
"Facciamo leggi sull'economia, ma non c'è economia", ha detto. "Facciamo leggi sul lavoro, e non c'è lavoro. Abbiamo una costituzione che nessuno conosce. Siamo un paese che non si comporta come una nazione".
Un socievole 59enne con una testa piena di ricci argentei, Grillo è in aspro contrasto con i politici italiani, che sfoggiano vestiti di marca e trucco perfetto. Cacciato informalmente dalla tv per il suo stile non-si-fanno-prigioneri, Grillo ha lanciato una campagna sollecitando l'Unione Europea a non inviare più fondi pubblici in Italia, che secondo lui il governo ruba o dilapida. In seguito, ha invitato la Germania ad invadere l'Italia per salvarla.
Per un momento, c'è stato un barlume di speranza che la rabbia popolare si sarebbe affermata in qualcosa di più catalitico.
Ma poi ad inizio anno il governo del primo ministro Romano Prodi è collassato in un dispetto di politici insignificanti, 20 mesi su un termine di 5 anni e prima che passasse una legge per riformare il sistema elettorale. Senza cambi ad un sistema pieno di difetti, gran parte degli analisti concordano, il paese è condannato ad un altro turno di leader politici incontentabili dediti alla lotta per il potere soffocando così riforme creative.
Tra i vari difetti, il sistema elettorale corrente dà un'influenza sproporzionata ai piccoli partiti, alcuni formati da non più di una singola persona con un po' di soldi. E' stato uno di questi partiti-persona a buttar giù il governo; un partito persino più piccolo, guidato da un politico di nome Pizza, ha quasi mandato a monte le elezioni del weekend quando ha scatenato un putiferio per l'utilizzo del simbolo del proprio partito.
Gli italiani vivono nel loro caotico sistema politico da generazioni.
L'indignazione è ora forte, tuttavia, poichè molti qui si aspettavano miglioramenti dopo la fine della Guerra Fredda e dopo che uno scandalo di corruzione nei primi anni 90 scosse l'establishment politico.
Invece, hanno avuto un cavalier Berlusconi e, dopo di lui, un sonnacchioso Prodi. La realizzazione che i problemi vanno oltre un singolo partito o leader è infine arrivata.
"Ci vorranno circa 10 anni per cambiare questa classe politica", ha detto Ricolfi, il sociologo. "Ma il problema è che entro 10 anni saremo affondati così in basso che non riusciremo a venirne fuori di nuovo. Sarà troppo tardi, fine della storia".
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