Nel gennaio del 2007 il New York Times [1] segnalava una violenta controversia esplosa attorno al progetto di tornare a detonare ordigni atomici nel deserto del Nevada, riprendendo così gli “open-air testings” (sperimentazioni all’aria aperta), che furono espressamente proibite dal presidente Nixon nel 1969.
Mentre i militari sostenevano che l’esplosione avrebbe generato nell’area interessata una quantità di radiazioni “assolutamente insignificante”, gli ambientalisti e gli abitanti della zona – il luogo previsto per l’esplosione si trovava a sole 70 miglia da Las Vegas – si opposero con forza, ottenendo prima di rimandare il test al giugno 2007, e poi di farlo sospendere a tempo indeterminato.
Ma per i militari USA la voglia di liberarsi dalle pastoie imposte agli esperimenti open-air deve essere molto forte, visto che nel rapporto annuale che il Pentagono ha mandato al Congresso lo scorso Aprile, si legge una frase che sembra suggerire un imminente ritorno ai test open-air anche per le armi chimico- batteriologiche:
“Più di 30 anni sono trascorsi da quando le sperimentazioni con agenti biochimici furono proibite negli Stati Uniti, [...] e la maggior parte della strumentazione utilizzata per i controlli di tali esperimenti è ormai obsoleta, se non inesistente del tutto. Il rimodernamento di tale strumentazione, che è incluso nell’attuale budget, potrebbe migliorare notevolmente i risultati, sia nel campo dello sviluppo che in quello operativo, di sistemi completi, con una migliore simulazione delle minacce e una migliore caratterizzazione dei sistemi di risposta.“ [2]
Di fronte a un richiesta di chiarimenti su questo passaggio, il Pentagono ha preferito non rispondere, mentre nega categoricamente di avere in progetto ... ... una ripresa dei test open-air. Non si comprende però, a questo punto, perchè mai inserire tali voci nel budget annuale, se il ritorno alle sperimentazioni non è previsto.
Vi è infatti una clausola, nel famoso divieto firmato da Nixon, che permette a qualunque presidente di tornare ad autorizzare i test open-air in qualunque momento.
Non bisogna però dimenticare che nel 1972 gli Stati Uniti hanno aderito al trattato internazionale contro lo sviluppo e la proliferazione di armi chimico-batteriologiche, per cui una eventuale soppressione del divieto renderebbe i test legali in America, ma non risolverebbe la posizione degli Stati Uniti a livello internazionale.
A Washington però girano voci sempre più insistenti che il Pentagono abbia già acquisito e messo a punto un intero arsenale che lo mette in grado di lanciare un attacco all’antrace su vasta scala in qualunque momento e in qualunque posto al mondo. (Ricordiamo che la famosa antrace che terrorizzò – e convenientemente distrasse – l’America dopo l’undici settembre, proveniva da un laboratorio militare USA). E, come sappiamo, l’amministrazione Bush ha già dimostrato in passato una notevole disinvoltura nel liberarsi “unilateralmente” di qualunque trattato non le vada troppo a genio.
Il professor Francis Boyle, che insegna diritto internazionale all’Università dell’Illinois, sostiene che
”il Pentagono è del tutto pronto a lanciare una guerra con moderne armi all’antrace.” [2]
Naturalmente una ciliegia tira l’altra, e tutti sanno che nessun paese al mondo può permettersi di aggredirne un altro con armi chimiche, senza aspettarsi una risposta di pari portata. Ecco quindi nascere la “necessità” di implemenare il famoso Bio-Shield, o “scudo biologico”, il progetto della Homeland Security che ha già “aspirato“ dalle tasche dei contibuenti quasi 6 miliardi di dollari, per dotarsi di enormi quantità di vaccino contro l’antrace, il vaiolo e altri potenziali agenti biochimici.
Siamo quindi alle solite: si crea il problema, si attende la reazione, e si implementa la soluzione che era già stata preparata in anticipo.
Di recente inoltre il Congresso ha approvato un supplemento di un altro miliardo di dollari per Bio-Shield, perchè evidentemente sei non bastavano.
E pensare che il complesso militare-industriale oggi sarebbe praticamente estinto, se diciannove arabi senz’arte nè parte non avessero deciso, sei anni fa, di dirottare degli aerei con dei coltellini, e di abbattere tre torri in acciaio grazie all’incommensurabile potere comburente del kerosene.
E noi, dalle nostre parti, come stiamo?
Teoricamente non dovremmo preoccuparci, visto che il Nevada è abbastanza lontano, e che comunque nessun esercito al mondo dovrebbe poter disporre di arsenali chimico-batteriologici.
Questo documento della NATO, datato 1993, sembra però indicare l’esatto contrario. E’ un documento “non classificato”, e si intitola “Manuale per esercitazioni sulla pianificazione di attacchi chimici e per la valutazione delle perdite conseguenti”.
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A prima vista, si potrebbe pensare che si tratti di un documento di tipo difensivo. In fondo, essendo noi i “buoni”, dai cattivi dobbiamo sempre aspettarci di tutto, e quindi sarebbe igienico prepararsi comunque a difendersi da un attacco batteriologico. Ma già dalla prima pagina i dubbi sul reale intento di questo documento scompaiono. L’introduzione infatti dice chiaramente: “Pianificazione di un attacco chimico e stima delle perdite.” Avversarie, si intende.
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ll documento, di una ventina di pagine, passa poi ad analizzare le varie tipologie di armi chimiche, le diverse vie di ingresso nel corpo umano e il loro diverso effetto sulla persona colpita. La dettagliata analisi sui cosiddetti “aggressivi chimici“ va dal famigerato Sarin al Somar a miscele più o meno micidiali di Lewisite e Iprite. Tutti prodotti rigorosamente proibiti, ovviamente.
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Vengono poi discusse tutte le variabili che possono intervenire su un ipotetico campo di battaglia, quali la velocità del vento, la temperatura ambiente, le condizioni atmosferiche, la latitudine eccetera eccetera. Vi sono infine interi paragrafi dedicati all’analisi dettagliata dei vari sistemi di lanciamento, dalle granate di lunga gittata a vere e proprie bombe sganciabili direttamente dagli aerei in volo.
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In conclusione, se invece di catapultarci in Iraq a cercare come dei forsennati le armi di distruzione di massa di Saddam – che gli stessi americani gli avevano venduto, fra le altre cose - avessimo fatto una semplice gitarella, ad esempio, dalle parti di Livorno, forse le avremno trovate davvero.
Negli ambienti militari sembra che quello delle armi chimiche sia il segreto di Pulcinella.
Massimo Mazzucco
Fonti:
[1]
New York Times
[2]
Global Research
NOTA: Per quanto "non classificato", mi è stato segnalato che la pubblicazione del documento potrebbe contravvenire la legge /gli accordi esistenti, per cui ho momentaneamente rimosso sia le immagini che il link al file originale, in attesa di conferma sulla legittimità della pubblicazione.
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